Tra le cinquanta novelle che compongono il suo Novellino, Masuccio Salernitano ne ambientò alcune proprio nella città alla cui corte viveva: Napoli.

La diciannovesima, infatti, vede protagonisti due cavoti, ovvero due uomini di Cava de’ Tirreni (provincia di Salerno) che, in qualità di artigiani, partono per Napoli per lavorare presso il Castel Nuovo.

La storia dei due Cavoti a Napoli

L’esordio

Masuccio racconta una storia divertente per parlare dei suoi compaesani, i Cavoti.

cavoti
Cava de’ Tirreni

Il narratore inizia con lo spiegare che, un tempo, gli abitanti della Cava erano famosi per essere ottimi muratori e tessitori, e grazie a questi mestieri erano diventati ricchi. I loro discendenti, però, invece di seguire le orme dei padri, avevano scelto altre carriere (avvocati, medici, notai, cavalieri), e così erano finiti col perdere la ricchezza e la stabilità di un tempo.

Gli sviluppi

Durante i lavori per la costruzione del Castel Nuovo di Napoli, molti di questi artigiani si trasferirono in città. Due giovani cavoti, curiosi di vedere Napoli e sperando di guadagnare qualcosa lavorando nel castello, partirono una domenica mattina con altri muratori. Non abituati a camminare tanto, però, rimasero indietro. Quando arrivarono nei pressi della Torre del Greco, uno dei due, stanchissimo, decise di fermarsi lì per dormire. L’altro, più tenace, continuò a camminare, ma fu sorpreso dalla notte e dalla pioggia. Senza sapere bene dove fosse, arrivò a Ponte Ricciardo (attuale ponte della Maddalena, vicino a Piazza Mercato) vide un portone e, non ottenendo risposta dopo aver bussato, si sedette lì per aspettare il mattino.

Quella stessa notte, un povero sarto amalfitano era partito con un sacco pieno di vestiti da vendere al mercato di Napoli. Anch’egli aveva dormito presso Ponte Ricciardo e si era svegliato nel cuore della notte. Camminando al buio, cominciò a spaventarsi pensando i cadaveri degli uomini che lì si diceva venissero impiccati. Terrorizzato, per farsi coraggio, disse ad alta voce:
“Ehi, appiccato! Vuoi venire a Napoli?”

Il Cavoto, che dormiva nei pressi e pensava si trattasse del suo compagno, rispose subito:
“Eccomi, sto arrivando!”

L’Amalfitano, udendo la voce, si convinse che un impiccato si fosse davvero mosso e stesse venendo verso di lui. Impaurito a morte, scappò via gridando, abbandonando il suo sacco. Il Cavoto, credendo che l’uomo stesse fuggendo da un pericolo, lo rincorse dicendogli:
“Aspettami, non avere paura, sono io!”

Questo aumentò ancora di più la paura dell’Amalfitano, che corse verso le taverne del ponte gridando. I doganieri lo fermarono e lui raccontò di aver visto un impiccato che lo inseguiva. Tutti lo credettero, e per sicurezza rimasero chiusi in casa fino al mattino.

La conclusione

Il Cavoto, nel frattempo, trovò il sacco abbandonato pieni di vestiti e, comprendendo che l’uomo che aveva visto non era il suo compagno, decise di tenerlo. Il mattino seguente si riunì con l’amico e, insieme, ritornarono a casa passando per un’altra strada per non farsi scoprire. Divisero tra loro il contenuto del sacco e tornarono poi a Napoli.

Nel giro di poco tempo, si diffuse questa storia e la convinzione che i morti impiccati si muovevano di notte per inseguire i passanti. Così la gente cominciò a evitare quella zona o a passarvi facendo segni di croce e altri gesti scaramantici.

Nella novella, dunque, il Ponte Ricciardo è descritto come un luogo inquietante, associato a racconti di impiccati e apparizioni notturne, riflettendo le credenze popolari e le paure legate a quell’area in epoca medievale.

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