Nel cuore dell’area metropolitana di Napoli, tra Capodichino, Sant’Antimo e Torre Annunziata, si nasconde una storia industriale poco conosciuta ma affascinante: quella dei sugherifici campani. Questi piccoli centri di lavorazione rappresentano l’anello finale di una catena produttiva millenaria che collega il Sud Italia alle foreste mediterranee di querce da sughero.

Le radici antiche di un materiale moderno

La storia del sughero affonda le sue radici nella notte dei tempi. Già 3000 anni fa, i popoli del Mediterraneo utilizzavano questo materiale straordinario per le applicazioni più diverse. I Greci lo chiamavano “phellos” e lo impiegavano per sigillare anfore e realizzare galleggianti per le reti da pesca. Non è un caso che proprio nel golfo di Napoli, crocevia di culture e commerci sin dall’antichità, si sia sviluppata una tradizione nella lavorazione di questo prezioso materiale.

Durante l’epoca romana, il sughero divenne protagonista di un aneddoto curioso: Plinio il Vecchio racconta nella sua “Naturalis Historia” di come le donne romane utilizzassero sottili fogli di sughero come primitive “ciabatte da bagno” per non scivolare sui pavimenti bagnati delle terme. Una testimonianza che dimostra quanto questo materiale fosse già apprezzato per le sue proprietà antiscivolo e impermeabili.

Dal Regno di Napoli all’Italia unita

Il vero sviluppo industriale del sughero in Campania inizia nel XVIII secolo, sotto il Regno di Napoli. Carlo di Borbone, lo stesso sovrano che nel 1743 fondò la Real Fabbrica di Capodimonte per la produzione di porcellane, favorì anche lo sviluppo di manifatture specializzate nella lavorazione di materiali naturali. In questo contesto nascono i primi laboratori artigianali dedicati al sughero, principalmente concentrati nelle aree portuali di Napoli, dove arrivavano le materie prime dalla Sardegna, dalla Corsica e dalle coste tirreniche.

Un aneddoto particolare riguarda il celebre botanico Domenico Cirillo che, nel 1780, utilizzò tappi di sughero lavorati a Napoli per sigillare i contenitori delle sue collezioni di erbe medicinali destinate all’Orto Botanico della città. Cirillo aveva scoperto che i tappi prodotti dai maestri napoletani garantivano una tenuta superiore rispetto a quelli importati dall’estero, grazie a tecniche di lavorazione tramandate di generazione in generazione.

Il boom industriale del Novecento

Il XX secolo segna una svolta decisiva per l’industria del sughero in Campania. Negli anni ‘20 e ‘30, l’area tra Capodichino e Sant’Antimo diventa un importante centro di trasformazione, specializzato nella produzione di tappi per l’industria vinicola e di pannelli isolanti per l’edilizia. È in questo periodo che nascono alcune delle aziende storiche del settore, come i sugherifici De Luca, che ancora oggi operano sul territorio.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, i sugherifici napoletani vissero un momento di particolare importanza strategica. Il sughero era infatti considerato un materiale bellico essenziale per la costruzione di mine navali e dispositivi di galleggiamento. La produzione venne quasi interamente requisita dall’esercito, e molti artigiani del settore furono costretti a lavorare sotto stretto controllo militare.

L’evoluzione contemporanea

Oggi la Campania, pur non producendo materia prima (le querce da sughero crescono principalmente in Sardegna, che fornisce l’80% della produzione nazionale), mantiene un ruolo importante nella trasformazione del sughero grezzo in prodotti finiti. Le aziende del territorio si sono specializzate in nicchie specifiche: dalla produzione di tappi per l’industria enologica campana – che vanta eccellenze come il Taurasi e il Fiano di Avellino – alla realizzazione di materiali isolanti per l’edilizia sostenibile.

Un aspetto curioso della lavorazione moderna riguarda il processo di “stagionatura” del sughero. Nelle aziende dell’area napoletana, la corteccia viene fatta riposare all’aria aperta per almeno sei mesi, sfruttando il particolare microclima della zona vesuviana. L’umidità marina e le escursioni termiche contribuiscono a migliorare l’elasticità del materiale, rendendolo particolarmente adatto per applicazioni di precisione.

Un futuro sostenibile

La sfida contemporanea per i sugherifici campani è duplice: da un lato, l’innovazione tecnologica che ha introdotto tappi sintetici e alternative al sughero tradizionale; dall’altro, la crescente sensibilità ambientale che vede nel sughero un materiale perfettamente sostenibile. Le querce da sughero, infatti, vivono fino a 200 anni e possono essere “decorticate” ogni 9-12 anni senza danneggiare la pianta.

Le aziende del territorio stanno puntando su questa carta vincente, sviluppando nuovi prodotti per l’edilizia verde e l’isolamento termico. Il sughero campano trova così una nuova vita, mantenendo viva una tradizione che attraversa i millenni e guarda al futuro con rinnovata fiducia.

La storia dei sugherifici napoletani è, in definitiva, un microcosmo della più ampia evoluzione industriale del Mezzogiorno: dalla tradizione artigianale all’innovazione contemporanea, passando attraverso sfide e trasformazioni che hanno plasmato il volto moderno di un territorio ricco di sorprese.


Riferimenti bibliografici e fonti

  • Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, Libro XVI
  • Archivio di Stato di Napoli, Fondo Real Segreteria di Azienda, XVIII-XIX secolo
  • Wikipedia, “Sughero”, per informazioni sulla produzione industriale moderna
  • Sale&Pepe, “La storia curiosa del tappo di sughero”, novembre 2018
  • Orto Botanico di Napoli, sezione storica
  • Il Sole 24 ORE, “La produzione del sughero verso l’edilizia”, gennaio 2020

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