La leggenda della sirena Leucosia
Quella che ora leggerete non è la solita leggenda della sirena Leucosia che ormai quasi tutti conoscono ma è un racconto di dolore e di pazzia.
Siete curiosi?
Tutte le sere Leucosia osservava il suo principe guardare il mare e le stelle riflesse in esso, lui affacciato, lei nascosta tra le onde. Non le importava più di nulla; durante la giornata era passiva qualunque cosa facesse, come un burattino che si muove solo in virtù dei fili, perché l’unico suo obiettivo dal momento in cui si svegliava era andare a spiare il suo principe per tutta la notte, finchè lui non si fosse lasciato andare al sonno. E così, giorno dopo giorno, anno dopo anno, sentiva sempre di più la necessità di vederlo. Era un sentimento logorante, asfissiante e , alla fine, di Leucosia non ne rimase che un’ immagine sbiadita: magra, pallida, il volto scavato, gli occhi spiritati e la voce flebile che ripeteva senza sosta: “Lui sarà mio”. Leucosia era impazzita. Era stata consumata dall’interno da questo amore ossessivo.
Una notte, poi, vide il principe affacciarsi con un viso sorridente e luminoso come non mai e con una fotografia in mano che lo distraeva dal solito panorama che a lui piaceva guardare: si capiva, era innamorato. Ma l’amore, a volte, porta a distorcere la realtà e, infatti, lei non fece caso al radicale cambiamento che ci fu da quel giorno in poi nell’umore del principe.
Dopo qualche giorno ad affacciarsi al balcone furono in due.
Leucosia diede sfogo a tutta la sua pazzia: iniziò a urlare, a graffiarsi e a strapparsi i capelli, disperandosi come essere umano fu mai capace di fare; il sangue che scorreva copioso e tingeva le acque del mare di uno scarlatto che faceva contrasto con la sua carnagione candida. Quando non ebbe più forze, si trascinò su un isolotto lì vicino, staccò un pezzo di roccia dagli scogli e se lo conficcò nel petto. Quell’isola sarebbe poi stata chiamata Licosa, in sua memoria.
Il giorno dopo il principe passeggiava sulla spiaggia dell’isola, finchè non vide il corpo di Leucosia sporgere dagli scogli, sotto cui era intrappolata la sua coda che, quindi, era nascosta. Si avvicinò a lei e la guardò meravigliato e, allo stesso tempo, malinconico. “Che peccato, una così bella fanciulla … magari, in un’altra vita – disse, chiudendole gli occhi vitrei – ci saremmo potuti innamorare”.
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