Scopa, asso pigliatutto, tressette, solitari e chi più ne ha più ne metta nelle carte napoletane. Mazzi mescolati, figure stropicciate, occhiatacce, partite estive fra amici ed i leggendari tornei di briscola dei vecchietti: dopo averle maneggiate per tutta la vita, chi si è chiesto quale sia l’origine delle carte italiane più famose al mondo?
Le carte napoletane sono una cosa seria. Anzi, una vera e propria opera d’arte, figlia del legame strettissimo che lega Napoli e la Spagna con un rapporto quasi filiale.
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Fra Spagna e medio oriente
Dove siano nate le carte è un bel mistero, c’è chi pensa che le abbiano create i cinesi nel X secolo, chi pensa che siano nate proprio a Napoli nel basso medioevo (si racconta che la Regina Giovanna si recasse spesso a Sorrento per “giocare con le carte“), chi invece guarda alle antichissime arti magiche degli Egizi e dei Persiani.
L’unica certezza è che, se le carte moderne sono così famose, dobbiamo ringraziare proprio gli arabi e la loro leggendaria abilità nel commercio. Oltretutto, tutti i giochi di carte richiedono abilità matematica e di calcolo, cosa di cui gli arabi sono maestri assoluti: il successo era una ovvia conseguenza.
Durante l’occupazione araba della Spagna, quindi, fu facile immaginare come le tradizioni arabe abbiano influenzato i costumi spagnoli. La prima città produttrice delle carte da gioco moderne fu proprio Barcellona nel 1377, ma a Costantinopoli, l’odierna Istanbul, erano già conosciute da cent’anni. Le carte si chiamavano “naibbe“, parola dalle origini misteriose, sicuramente orientali.
Arrivano le carte napoletane
Ed eccoci a Napoli. La prima volta in cui si sentì la parola “carta da gioco” in un atto ufficiale fu duecento anni dopo: 1577, anno del Vicereame: il governo spagnolo, infatti, impose una tassa di “un carlino per ogni paio di carte da gioco“. Si stimava che all’epoca, di 58.000 carte prodotte in tutto il Regno di Napoli, ogni anno se ne vendevano 42.000 solo nella capitale del regno.
E proprio in Italia, luogo in cui tutto è arte, e specialmente a Napoli, le carte diventarono una vera e propria forma d’arte, una magia, il simbolo addirittura di una setta segreta. Le carte erano la voce del popolo perché costavano poco e tutti potevano produrle.
Niente Luca Giordano, Solimena ed artisti immortali. Nessuno è mai stato pagato per inventare questi disegni: il gioco delle carte è la voce del popolo ed i suoi simboli rappresentavano scene quotidiane, tutte disegnate a mano. E così il 10 di spade diventava Re Ferdinando a Napoli, Federico II in Sicilia e, addirittura, dopo i Savoia, il re iniziò ad avere le sembianze di Vittorio Emanuele. Allo stesso tempo, un personaggio tradisce le origini arabe: il 9 di spade, infatti, rappresenta un cavaliere con scimitarra e turbante, tipico dei cavalieri mediorientali.
I produttori di carte erano una vera e propria casta: i disegni si trasmettevano da padre in figlio, ogni luogo aveva i suoi migliori disegnatori, che erano quasi trattati come maghi. Allo stesso tempo, i disegni potevano essere adattati ai tempi, ma i semi non possono mai essere modificati: porta male. E così, dalla Spagna a Napoli, le coppe, gli ori, le spade ed i bastoni hanno sempre mantenuto intatta la loro forma.
-Chiara Sarracino
Foto di Valerio Iovane
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