Siamo sempre meridionali di qualcuno“, diceva Luciano De Crescenzo. E, nel ‘500, erano i napoletani a considerare veri e propri “terroni ante litteram” gli uomini provenienti dalle sette C: Castellonicchi, Capraresi, Costaioli, Cetaresi, Cavaiuoli, Cilentani e Calabresi.

Dalle province meridionali del Regno, infatti, giungevano in cerca di lavoro, in altri casi fuggivano da assalti di pirati. Una storia di intolleranza verso immigrati italiani che ci insegna come, nonostante 500 anni di distanza, non cambia mai nulla nei rapporti fra gli esseri umani.

Assedio pirati turchi
Un assedio dei pirati turchi: le città della zona costiera furono flagellate, specialmente in Sicilia. Immagine del Royal Museum di Greenwich

Sinan il Giudeo e l’arrivo dei Cetaresi

Il momento simbolico in cui, secondo Summonte, cominciò “l’invasione straniera” fu stabilito nel 1533, quando il pirata Sinan il Giudeo, terrore del Mediterraneo, assaltò la piccola cittadina di Cetara: la saccheggiò e la portò con sé 300 prigionieri cetaresi che, creando gran trambusto nella nave, costrinsero i pirati a scaricarli dalle parti di Napoli, rinunciando alla parte del bottino derivante dalla tratta degli schiavi.

E i poverini, che non poterono più tornare a casa, decisero di stabilirsi in città e cercare fortuna: ci riuscirono presto, dato che Cetara e dintorni c’erano eccellenti muratori che misero subito a frutto la propria arte e furono molto apprezzati nei cantieri cittadini. Altri invece si diedero al commercio: essendo popolo di mare, avevano ottime abilità nelle trattative.
Un episodio analogo accadde con i “cavaioli”, i cittadini di Cava de’ Tirreni, che pure giunsero in gran numero in città a seguito di numerose incursioni dalle coste.

Napoli era ancora ricordata come “città gentile” non ancora investita dalla rivoluzione urbanistica di Pietro di Toledo (che, scherzo del destino, fece gran fortuna delle manovalanze!). E così, nei quartieri antichi oggi sostituiti da Corso Umberto, i cittadini si ritrovarono con migliaia di ospiti in più provenienti dalle province più povere. Di fatto considerati immigrati che “rubavano lavoro” ai napoletani, che cercarono di trovare un colpevole di questa ondata inaspettata.

Summonte raccontò la reazione del popolo in modo abbastanza chiaro:

la plebe con grandissimo sdegno maledì la venuta di quel cane Giudeo, perché diede occasione ai Cetaresi di venire a Napoli“.

E fu così che cominciò l’intolleranza dei napoletani verso i nuovi arrivati con episodi violenti non tanto diversi da ciò che vediamo nei giorni nostri.

Sinan Rais intolleranza napoletani
Il pirata Sinan Rais, conosciuto come Sinam il Giudeo, considerato dai napoletani “padre” dell’intolleranza verso gli stranieri. Fu un ufficiale dell’Impero Ottomano

Storie di odio comune: attenti alle 7C!

L’intolleranza dei napoletani verso i provinciali si fece sempre maggiore perché, ovviamente, i paesani che ottennero successi personali e commerciali a Napoli cominciarono ad attirare altre persone dalle proprie terre d’origine. In particolare i cetaresi e i calabresi crebbero talmente di numero che, “oggi se eglino tutti da Napoli partissero, ne restarebbono molte strade della città quasi disabitate“.

Fu così che uno sconosciuto, di notte, andò a scrivere con il gesso sulle porte di tutte le strade “G CCCCCCC“. Molti si chiesero cosa significassero queste lettere scritte sui muri di alcune case e la risposta fu data da un tale Pietro Sale:

Non vi accorgete che la città vostra è assai mutata per la presenza di artefici forestieri? La scritta significa “Guardatevi dalle 7C“, cioè sette nazioni che a Napoli sono arrivate. I Castellonicchi (di Castellammare di Stabia) sono tristi, i Capraresi sono cattivi, i Costaioli peggiori, i Cavaioli impraticabili, i Cetaresi nella malizia, i Cilentani intrattabili e senza ragione e i Calabresi superano tutti“.

La G, invece, indicava i “Giudei“, che furono cacciati con un editto di Pietro di Toledo nel 1540, trasformando Napoli, a sua detta, nella “prima città senza giudei“. Gli ebrei erano famosi per essere usurai e per avere l’abitudine di saccheggiare cadaveri e tombe in cerca di oro e altri oggetti da rivendere.

Il signor Sale spiegò che, più si scendeva al di sotto di Napoli, più i costumi delle popolazioni diventavano orribili e inverecondi ed era, tutto sommato, giusto che venissero “identificati” come una sorta di razza inferiore. E poi giù con citazioni latine che giustificavano l’intolleranza degli onesti cittadini.

Napoli nel 1572
Napoli nel 1572

Un popolo povero e una guerra scampata da poco

Più in generale, le province meridionali dell’antico Regno di Napoli se la passavano davvero male: erano per lo più zone depresse e molto povere, con picchi di eccellenze cittadine miste a immensi latifondi.
Ma la colpa, secondo il popolo napoletano, rimase sempre del pirata Sinam il Giudeo che, nonostante non fosse sicuramente uno stinco di santo, non era nemmeno uno scafista.
L’immigrazione fu infatti un fatto quasi naturale dovuto alle condizioni economiche della città di Napoli che erano di gran lunga le migliori del regno. Allo stesso tempo, la città era appena uscita da una colossale crisi economica: nel 1525 era stata presa d’assedio dal sanguinario Conte di Lautrec, che aveva ridotto alla fame i cittadini e solo grazie a un’epidemia di peste Napoli si salvò dal saccheggio.

Grazie all’intervento di Pietro di Toledo, un decennio dopo, ci furono enormi rinnovamenti in campo urbanistico e sociale e questo attirò in città tantissime persone in cerca di fortuna, ma il popolo non aveva migliorato la sua condizione economica. E questo diede spazio a forti episodi di intolleranza.

Pedro de Toledo, il viceré riformatore

“Non sono razzista, ma…”

Il testo finisce con un ammonimento: “quando in città incontrerai truffatori, venditori che cedono cose al doppio del prezzo, ladroni e assassini di strada, non farti ingannare, non sono napolitani, ma stranieri“. Insomma, anche Summonte, sotto sotto, non era particolarmente amante dei “terroni del Sud”.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Gio. Antonio Summonte, Historia della Città e del Regno di Napoli, Libro VII, Antonio Bulifon, Napoli, 1675

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