Se potessimo fare un viaggio nel tempo davanti alle moderne linee del palazzo delle Poste, scopriremmo un luogo incredibile: cent’anni fa, nello stesso punto, sorgeva un gigantesco monastero del 1400 con sette chiostri, il Complesso di Monteoliveto, sopravvissuto in due tratti che oggi sono parte della caserma dei Carabinieri.
Una storia che ci racconta come il volto della città moderna riesca a nascondere in ogni dettaglio storie antichissime.
Dai frati al primo parlamento: il Complesso di Monteoliveto
Il famoso “Complesso di Monteoliveto” fu attivo per poco meno di mezzo millennio in prossimità dell’omonima chiesa del ‘400. Fu costruito su volere di Gurello Origlia, uno degli uomini di fiducia di Re Ladislao, e nella sua lunga storia ospitò eventi importantissimi per la storia di Napoli, come ad esempio il primo parlamento della storia d’Italia.
Quattro secoli di storia sono tantissimi: quando fu costruito il Complesso di Monteoliveto, i chiostri erano “solo” quattro (quello più grande è ancora esistente) e la zona adiacente all’attuale Rione Carità e Via Toledo era una parte periferica di Napoli, divisa fra i grandi edifici nobiliari che sorgevano sui resti romani di Spaccanapoli e gli intricatissimi vicoli dei quartieri medievali del Porto. All’epoca Pedro di Toledo doveva ancora nascere e con lui sarebbe arrivata l’intera costruzione della parte “nuova” della città, che oggi è l’arteria principale del centro storico. Gli olivetani erano particolarmente cari ad Alfonso d’Aragona, che donò diversi terreni per far espandere il monastero.
Facciamo allora un nuovo salto storico lunghissimo: sotto Ferdinando IV di Borbone la forma della città è molto più simile a come la conosciamo oggi e il complesso di Monteoliveto è diventato, dopo 400 anni, un gigantesco monastero che si estende dall’attuale Piazza Carità alla fine di Via Sant’Anna dei Lombardi, arrrivando all’intera Piazza Matteotti. Possiede adesso 7 chiostri ed è un “hortus clausus“, una sorta di cittadella autosufficiente come il monastero dei Santi Severino e Sossio sul Colle Monterone.
Gli olivetani erano però un ordine in lento declino e Ferdinando IV nel 1799 trovò l’occasione per cacciare via i frati, privatizzando parte del complesso e lasciando un’altra parte alla congregazione dei Lombardi, che trovarono casa nella chiesa di Sant’Anna. Questo fu un fatto anomalo per la dinastia borbonica: sono abbastanza rari i casi di decisioni a danno degli ordini religiosi, essendo i Borbone sempre fedelissimi alla Chiesa di Roma.
All’interno di questo monastero sappiamo che c’erano giardini, fontane, dipinti cinquecenteschi e orti degni probabilmente dell’Arcadia di Sannazaro. Purtroppo non abbiamo rappresentazioni grafiche di ciò che c’era, ma solo racconti di fonti indirette.
Architettura di regime nel Palazzo delle Poste
Le architetture fasciste, come la Mostra d’Oltremare, erano immaginate con lo scopo di creare monumenti immensi, luminosi, protagonisti per la loro stazza gigantesca, ma anche incombenti per i loro colori tendenti al grigio o al nero.
Insomma, in tempi in cui le parole da inculcare nella testa dei cittadini erano “futuro” e “obbedienza“, il Palazzo delle Poste riuscì certamente a restituire entrambe le sensazioni, con gli spazi ampi e i finestroni luminosi, ma anche con il rigore dell’orologio nero in marmo che si trova in fondo ad ogni lunghissima e regolare fila di sportelli postali.
Probabilmente avremmo avuto la stessa sensazione, ancora più grande, se fossero iniziati i lavori per il Centro Direzionale fra gli anni ’40 e ’50, come previsto dal piano regolatore del 1939.
In questo caso, però, l’edificio fu voluto dal ministro Costanzo Ciano in persona nel 1928, durante la prima “fascistizzazione” del paese. Al concorso per la demolizione del Rione Carità e la costruzione del nuovo centro politico di Napoli parteciparono i migliori architetti d’Italia. Ognuno vinse un progetto diverso ed oggi abbiamo in eredità non solo il palazzo delle poste, ma anche il colosso dell’INA (Istituto Nazionale Assicurazioni) a Piazza Carità, oltre ai tantissimi edifici che si trovano nel rione al di sotto di Via Toledo.
Una vita contraddittoria
La nuova costruzione rimpiazzò in un battito d’occhi il monastero dei frati olivetani, cambiando per sempre il volto del centro storico di Napoli. Il rimpiazzo, però, non fu completo: ancora oggi si vedono numerosi pezzi dell’antico chiostro di Monteoliveto fra la caserma dei Carabinieri ed il Palazzo delle Poste. Ed incuriosisce un piccolissimo pezzetto di loggia attaccato alle spalle dell’immenso edificio fascista, lasciato appunto per ricordare l’estensione dell’antico monastero.
Durante la II Guerra Mondiale l’edificio rischiò già di sparire per colpa di un attentato tedesco: i nazisti misero infatti una bomba all’interno del palazzo per farlo saltare in aria ma, per fortuna, l’edificio non crollò. Ci rimisero la vita però diversi lavoratori che avevano appena riaperto la sede dei telegrafi.
Oggi, oltre alla sede delle Poste Italiane, c’è anche l’Emeroteca Tucci, che è uno dei più grandi archivi italiani di periodici, bandi e manifesti dal XV secolo ad oggi.
E così proprio l’edificio che nacque con l’intento di cancellare il passato al suo interno ospita l’associazione che, al contrario, ha come missione la conservazione di tutte le testimonianze storiche. Un paradosso perfetto per Napoli.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Maria Rosaria Costa, I chiostri di Napoli, Newton Compton, 1996
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