Tutta Piazza del Plebiscito parla Svizzero. Dal Palazzo Reale, che fu fatto dal ticinese Domenico Fontana, alla Basilica di San Francesco di Paola, fatta dal “collega” Pietro Bianchi.
Questa è una storia che riunisce Calabria, Svizzera, Napoli e Roma. Un bel mix di cultura che non poteva non creare un monumento indimenticabile.
Perché proprio San Francesco di Paola?
Per due ragioni. Innanzitutto, Ferdinando IV, durante il periodo di esilio da Napoli, pregò a lungo il santo calabrese per chiedergli aiuto nell. Il legame tra Ferdinando e la Calabria fu sempre forte: proprio un esercito di calabresi, guidati dal Cardinale Ruffo, appena 20 anni prima permise al re di tornare a Napoli dopo la rivoluzione del 1799.
In secondo luogo la storia si lega ad un episodio della vita del santo cosentino che, nel XV secolo, giunse a Napoli mentre si stava recando in Francia a piedi. Si dice che in quell’occasione abbia incontrato Ferrante I D’Aragona, che volle mettere alla prova il santo. Gli diede prima un cesto di monete d’oro per fargli costruire un convento. Lui rifiutò, dicendo non accettava elemosine fatte con i soldi altrui: il re stava infatti versando i soldi delle tasse pagate dai suoi cittadini.
Il giorno dopo, prima della partenza, Ferrante diede al santo una moneta d’oro. Lui la spezzò ed uscì del sangue dal metallo: il santo spiegò al re che era il sangue dei suoi sudditi, sfruttati e mal pagati, e che il regno aragonese sarebbe presto finito.
Prima della creazione della Basilica di San Francesco di Paola, inoltre, c’era già una chiesa dedicata al santo calabrese. Qui abbiamo raccontato la sua storia.
Un antefatto storico
Siamo in tempi in cui il Plebiscito non era nemmeno immaginabile. Nel 1816, dopo la fine di Gioacchino Murat, Ferdinando delle Due Sicilie tornò sul trono di Napoli per la terza volta. Per l’occasione decise di realizzare l’Unità del Sud Italia, creando il Regno delle Due Sicilie e proclamandosi “Ferdinando I”. Fu anche l’occasione per creare nuove opere che celebrassero il nuovo corso del regno più antico d’Italia.
E quindi decise di riprendere un piano di ristrutturazione di Largo di Palazzo, lo spazio antistante il Palazzo Reale, che era stato proposto da Murat pochi anni prima. E il bando di concorso fu vinto da Pietro Bianchi, architetto svizzero che si era trasferito da pochi mesi a Napoli in cerca di fortuna.
La piazza prima della Basilica di San Francesco di Paola: un quartiere degradato
Largo di Palazzo era un luogo davvero mal frequentato prima della costruzione della Basilica di San Francesco di Paola. Documenti risalenti all’epoca di Carlo di Borbone testimoniano infatti che c’era una casa da gioco chiamata “Camorra Avanti Palazzo“: è la prima testimonianza certa della comparsa del termine “camorra” a Napoli. Il resto del quartiere Pizzofalcone era mal frequentato da secoli, così come il vicino Rione Santa Brigida. Una cosa che proprio non si addiceva ai re.
Nei progetti francesi del 1809, la nuova piazza doveva chiamarsi “Foro Murat” e doveva ospitare un grande giardino pubblico con un colonnato e una statua dedicata a Napoleone (che fu terminata, ma con il volto di Carlo di Borbone). Ferdinando I riprese le bozze del progetto e lo riadattò con la costruzione della basilica di San Francesco di Paola.
Un omaggio al Pantheon e a San Pietro
Pietro Bianchi, come tutti gli svizzeri, era innamorato di Roma. Ed ebbe un rapporto molto intenso con l’architettura classica, che studiò a fondo durante il suo periodo milanese e romano. La Basilica di San Francesco di Paola fu infatti un omaggio alla forma del Pantheon, con il suo soffitto a cassettoni, e un omaggio al colonnato di San Pietro.
Ritroviamo un’altra versione della stessa architettura nella basilica della Madonna di Kazan a San Pietroburgo. E non è detto che, dati gli intensi scambi culturali fra Napoli e la Russia, che il buon Bianchi non sia rimasto affascinato dalla chiesa russa.
Una piazza sotterranea per omaggiare i Borbone
La basilica di San Francesco di Paola non è magnifica solo sopra. Nel 2000 è stata riscoperta una gigantesca cavità sotterranea, grande diverse migliaia di metri quadri, dalla quale si accede proprio dalla basilica (non è il tunnel borbonico, che è un altro luogo). Doveva ospitare, nei progetti originali, un gigantesco sacrario della famiglia Borbone, con le tombe di tutti i regnanti futuri.
Il progetto fallì, un po’ perché la chiesa fu completata nel 1846, trent’anni dopo l’inizio dei lavori, un po’ perché l’intero ipogeo avrebbe potuto ospitare solo la tomba di Ferdinando II, dato che poco dopo sarebbe finito il Regno delle Due Sicilie.
La cavità ha rischiato più volte di sparire: inizialmente doveva diventare una stazione della prima metropolitana d’Italia nel 1913, ma questo progetto andò a farsi benedire. Poi, negli anni ’90, sarebbe stata affiancata dalla Linea 6, con una fermata che 40 anni dopo non ha visto la luce. Oggi sono in costruzione i condotti di aerazione della nuova metropolitana.
Ultimo, ma non ultimo, c’è anche un gigantesco maxischermo inutilizzato e nascosto davanti al colonnato.
E allora, in un immenso spazio vuoto da rivalutare e in un colonnato che di notte illumina la piazza con i suoi riflettori, la Basilica di San Francesco di Paola è ancora oggi protagonista di un palcoscenico mozzafiato.
-Federico Quagliuolo
La storia è dedicata a Luigi Rocco per la sua generosa donazione. Sostieni anche tu Storie di Napoli: sopravviviamo solo grazie a te!
Riferimenti:
Vittorio Glejeses, Napoli e i suoi dintorni, 1971
Touring Club Italiano, Guida di Napoli e Dintorni, 2000
https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/arte_e_cultura/18_ottobre_05/ipogeo-plebiscito-era-destinato-spoglie-dinastia-borbone-9fe884a2-c88e-11e8-bc93-97fa64fa5847.shtml
http://www.federica.unina.it/architettura/storia-della-citta-paesaggio/storia-piazze-plebiscito/#:~:text=Gioacchino%20Murat%20promulg%C3%B2%20il%20Decreto,la%20demolizione%20delle%20fabbriche%20conventuali.