Se a Napoli crolla un pavimento, si scopre un acquedotto romano. Questo è quanto capitato nel 2011 con l’acquedotto augusteo del Serino, una delle opere ingegneristiche più imponenti del mondo antico, che per buona parte ormai passa fisicamente sotto il suolo di Napoli. Oggi è infatti parte delle fondamenta del palazzo Peschici Maresca, di proprietà dell’Arciconfraternita dei Pellegrini. Dobbiamo ringraziare per la scoperta Carlo Leggieri di Celanapoli, l’associazione “Riformisti del Mezzogiorno” e i ragazzi dell’associazione Vergini Sanità, che oggi organizzano visite guidate nella struttura, tenuta in modo eccellente.
Basta aprire una piccola porticina, un tempo murata, per scendere ad appena 5 metri sotto terra, in una cavità dalle forme strane e di certo innaturali: un tempo il terreno doveva invece essere la strada calpestabile e l’acquedotto doveva scorrere all’aria aperta, un po’ come il tratto dei Ponti Rossi. E non è finita qui, perché l’acquedotto fu a sua volta costruito su una necropoli greca, che si trova ancora più in basso e che, purtroppo, non è possibile riscoprire senza compromettere la struttura del palazzo.
La metafora delle “due città” di Napoli, una sopra e una nel sottosuolo, si riscopre vera per l’ennesima volta: dal teatro di Nerone sotto alla camera da letto, passando per tutti gli ipogei greci di Sanità e Centro Storico, come il Giardino di Babuk. Tutta la città è una somma di costruzioni stratificata come una torta.
Storia dell’Acquedotto del Serino nella Sanità
Bisogna innanzitutto chiedersi come sia finito sotto terra un acquedotto. Duemila anni fa gli antichi napoletani camminavano sotto gli archi, mentre oggi l’intera struttura è finita sotto i piedi. La colpa è dei tantissimi detriti caduti dalle colline: il fenomeno è noto nella Sanità come “Lava dei Vergini”, ma in generale colpisce tutt. D’altronde, non è un caso se poco lontana c’è la chiesa di San Carlo all’Arena e l’intera Piazza Cavour, secoli fa, era una piccola pozzanghera: tutte storie sopravvissute nei toponimi. Tutti questi movimenti, fra acqua e terra, hanno portato ad un rapidissimo innalzamento del livello stradale, di fatto seppellendo piano piano le antiche strutture romane.
Un tempo l’acquedotto doveva affiancare una strada romana e, almeno fino al ‘500, era ancora visibile.
L’Acquedotto augusteo, un’opera colossale
L’idea degli antichi romani era avanti di millenni: portare acqua fresca, pulita e controllata da Serino, comune nell’Irpinia che già 2000 anni fa era famoso per le castagne e per le fonti pulite (le acque di Napoli, come il Sebeto, erano invece eccessivamente cariche di minerali). I romani dovevano infatti rifornire la gigantesca Classis Misenensis, la più importante flotta del mondo antico, che era di stanza a Miliscola. E lo fecero attraverso un acquedotto lungo 96 chilometri, che partiva dal monte Terminio e arrivava, appunto, fino alla Piscina Mirabilis di Baia.
L’acquedotto possedeva anche delle particolari rientranze piramidali che, durante il percorso, permettevano una corretta ossigenazione dell’acqua, in modo da farla arrivare in ottime condizioni nelle varie città che attraversava: Nola, Pompeii, Acerra, Herculaneum, Atella, Pausillipon, Nisida, Puteoli, Cumae e Baiae. Poi, una volta giunta nei centri abitati, l’acqua era raccolta in enormi vasche di depurazione, nella quale veniva ripulita da fogliame, terreno e altre impurità raccolte durante il viaggio. E poi veniva incanalata in tubazioni di piombo verso le strutture cittadine: il sistema dei tubi di piombo è stato utilizzato fino agli anni ’70 del secolo passato!
Un acquedotto non basta!
Bisogna notare un dettaglio fondamentale: gli archi sono divisi in due rami, ma tendono ad avvicinarsi in un punto della grotta e, se non fosse stato per un piano interrato costruito distruggendo proprio il punto d’incrocio degli archi, avremmo sicuramente visto una importante diramazione dell’acquedotto romano del Serino.
Si tratta sicuramente di una diramazione costruita circa 2 secoli dopo, come si nota anche dalle differenti tecniche di realizzazione, in avanzata età imperiale: serviva a portare l’acqua a Posillipo, altra zona amatissima dai romani.
Tracce di guerra
L’acquedotto romano del Serino era una fonte di vita e, quando fu costruito, nessuno pensò che 2000 anni dopo sarebbe diventato riparo per la vita.
Era il 1943 e Napoli era terrorizzata da bombe, nazisti e fame. E proprio qui, nel sottosuolo, trovava salvezza.
Ad ogni sirena gli abitanti aprivano le porte delle antiche cavità e, sotto gli archi romani, pregavano.
Ci sono ancora oggi i fili di rame dell’antico impianto elettrico di fortuna ricavato forando il laterizio scolorito, così come è ancora presente un punto forato che, un tempo, ospitava un altarino di marmo di San Vincenzo Ferrero.
Con profonda ingratitudine, dopo la guerra, le stesse persone che videro salva la vita in queste cavità decisero di riempirle con spazzatura e ogni altro materiale di risulta usato per la costruzione dei nuovi mostri di cemento che oggi hanno deturpato il volto di Napoli e provincia.
E così la storia di questa cavità e dell’acquedotto, come quella di tante altre cose perdute nel sottosuolo, sembrava ai titoli di coda, soffocata da spazzatura e cemento. Finché non è crollato un pavimento nel 2011 ed ha risvegliato, in tempi nuovi e moderni, la sensibilità di tutte le persone che amano la storia di questa città.
-Federico Quagliuolo
Dedicata a Ida Raiola per la sua generosa donazione. Sostieni anche tu Storie di Napoli!
Contatti per visitarlo: Associazione Vergini Sanità