Maschio Angioino o Castel Nuovo? Tantissimi napoletani hanno dovuto chiarire le idee ai turisti confusi: si tratta dello stesso castello che, stranamente, conserva ancora il suo nome originale, anche se di angioino ormai ha ben poco e il “maschio” non esiste nemmeno più.
Quel che è certo è che, più di ogni altro monumento cittadino, è stato il protagonista assoluto della Storia di Napoli capitale, dai tempi di Carlo d’Angiò al crollo del Regno delle Due Sicilie.
Le sue pietre hanno conosciuto re, papi e regine. Hanno vissuto guerre, congiure, assalti e bombardamenti da terra, mare e addirittura cielo. Se dovessimo guardare ogni ferita sul tufo del Maschio Angioino, potremmo trovare alabarde di 600 anni fa così come i proiettili dei nazisti durante le Quattro Giornate. Fu anche sede del Papato.
E non dimentichiamo le leggende che lo circondano: dal coccodrillo nel suo fossato ai fantasmi degli amanti della regina.
Questo castello è il vero re di Napoli, tutt’oggi vivente e in ottima forma nonostante i suoi 7 secoli di vita. Il suo aspetto, però, è cambiato radicalmente nel corso dei secoli. Scopriamo tutta la sua storia.
Il palazzo del potere di Napoli Capitale
Gli Angioini guidati dal potente figlio di Luigi VIII di Francia, Carlo d’Angiò, giunsero nel Sud Italia con un bagno di sangue. Furono chiamati dal Papa per risolvere una volta e per tutte i suoi problemi con il Regno di Sicilia, governato dai ribelli e troppo indipendenti Svevi di Federico II e poi da suo figlio Manfredi. Siamo nel pieno del conflitto fra guelfi e ghibellini e il pontefice fece un vero e proprio all-in degno di una partita di poker, finanziando personalmente i francesi e tutti i sovrani a lui fedeli per spazzare via gli Svevi. Fu un successo, anzi, molti baroni tradirono il povero Manfredi con un gesto che il sospettoso Re Carlo non vide di buon occhio: convinto che poteva essere tradito anche lui a sua volta, li fece massacrare.
Ci troviamo nel 1266 e Carlo I d’Angiò prese una decisione che cambiò per sempre il corso della Storia d’Italia: spostò la capitale del Regno di Sicilia a Napoli, che all’epoca era il centro abitato principale della Terra di Lavoro e, soprattutto, la città più vicina a Roma.
La fortezza reale della città era all’epoca il piccolo Castel Capuano che, ad avviso del Re, non era adatta. Idem per il Castel dell’Ovo, che era una ex villa romana trasformata in fortificazione fatiscente.
Un castello diverso
Non fu napoletano nemmeno l’architetto che progettò il castello: nel 1279 arrivò infatti da Parigi Pierre de Chaule, incaricato di realizzare un castello degno di un re in tempi da record: ci mise solamente tre anni per completarlo, un tempo da record anche per il III Millennio. La sua struttura originale era completamente diversa da come la conosciamo oggi: era infatti molto più piccolo e di forma squadrata.
In realtà, però, Carlo d’Angiò non lo vide mai completato perché morì pochi anni dopo l’inizio dei lavori. Nel 1285 si trasferì Carlo II e, da quel momento fino ai tempi della costruzione di Palazzo Reale, il Maschio Angioino rimase la casa dei sovrani del Regno di Napoli.
La sede della cultura e del Papato
Al tempo degli Angioini, il Maschio Angioino diventò non solo il luogo del potere di una delle monarchie europee più potenti, ma anche la casa della cultura.
Al tempo di Roberto d’Angiò, il “Re Saggio”, il castello fu frequentato dai migliori artisti e intellettuali della sua epoca: Giotto ad esempio affrescò la Sala del Trono, dove oggi si svolgono i consigli comunali, e la Cappella Palatina. Purtroppo quasi tutto è andato perso.
Proprio in queste sale re Roberto esaminò Petrarca per conferirgli l’incoronazione poetica, il massimo onore al quale un letterato poteva aspirare, e qualche anno prima il re desiderò ospitare un giovane talento di nome Giovanni Boccaccio.
Se torniamo indietro di qualche anno, precisamente nel 24 dicembre 1294, fra le mura di Castel Nuovo fu nominato uno dei Papi più famosi della Storia: era Bonifacio VIII, al secolo Bendetto Caetani, che Dante ci ha insegnato ad odiare in plurimi modi nella sua Commedia.
Anche il suo predecessore, Celestino V, diventò Papa a Napoli: sarà famoso per il “gran rifiuto” e per aver lasciato la guida della Chiesa Cattolica, ma anche per aver fissato la sede della Curia proprio nel Castel Nuovo e per aver ratificato un trattato che avrebbe fatto tornare la Sicilia nelle mani degli Angioini dopo la morte di Pietro d’Aragona.
Un castello catalano a Napoli
Alfonso d’Aragona, il primo Rex Utriusque Siciliae, giunse a Napoli mettendo la parola fine alla dinastia Angioina, che ormai già da diversi anni tirava avanti fra mille difficoltà, dimenandosi fra intrighi nobiliari ed eredi poco carismatici come il povero Renato d’Angiò.
Quando giunse in città, il re catalano assediò il Castel Nuovo, entrando poi simbolicamente nel suo cortile. Poi, quando diventò re di Napoli, volle rinnovare completamente il palazzo del potere. Anche stavolta fu chiamato uno straniero a realizzare la nuova fortezza: era Guillem Sagrera, architetto di Maiorca, che rivoluzionò completamente l’edificio, donandogli quel gusto catalano che ha mantenuto ancora oggi: ha infatti le torri circolari e una struttura architettonica tipica dei castelli iberici, con le caratteristiche “scale catalane” e i pavimenti fatti con maioliche bianche e azzurre provenienti da Valencia. Non dimentichiamo poi il colossale arco di trionfo che ci accoglie all’ingresso: mostra Re Alfonso mentre entra trionfante in città.
Alfonso, proprio come Carlo d’Angiò, non visse però mai all’interno del “suo” castello, dato che fu completato diversi anni dopo la sua morte.
Ci verrà a vivere il figlio, Ferrante I, che lo legherà ad uno dei ricordi più famosi della sua storia personale: la Congiura dei Baroni del 1487, che finì con un massacro proprio come fece Ulisse con i Proci: dopo aver passato la vita intera a combattere contro i nobili che gli avevano reso la vita impossibile con trame, complotti e guerre intestine, Ferrante invitò tutta la nobiltà del Regno ad una festa e, dopo aver fatto sbarrare le porte, fece arrestare e condannare a morte tutti i traditori.
Ferrante fece anche realizzare una porta in bronzo meravigliosa che, come ogni dettaglio di questo castello, ha una storia a sé che ancora oggi racconta con la sua palla di cannone nel foro.
Perché Maschio?
In realtà è una storia che nasce da un equivoco. Il suo nome originale è Castel Nuovo, poiché era un castello che andava ad aggiungersi ai due già presenti in città. Per la sua forma fu chiamato Mastio, che è una tipologia di fortezza, ed ovviamente Angioino per la dinastia reale che lo commissionò. Poi il popolo storpiò il nome fino a farlo diventare “Maschio”, il termine ancora oggi utilizzato.
Anche quando fu ristrutturato conservò i suoi nomi antichi: anche se tutta la Campania è strapiena di Castelli Aragonesi sorti sulle macerie di vecchie fortezze, come quello di Ischia o di Baia, il Maschio Angioino continuò ad essere chiamato con il nome della vecchia dinastia, oppure si continuò ad usare il termine Castel Nuovo, anche se nuovo non era più: ai tempi di Ferrante I, questa dimora reale di anni ne aveva già 200.
Un pensionato in guerra
Gli ultimi 400 anni del Maschio Angioino non sono stati belli come la sua gioventù. Dopo la caduta degli Aragona, Napoli diventò una provincia del gigantesco Impero Spagnolo e, di lì, per 200 anni non si vedranno re in città.
Il castello fu prima abbandonato, poi trasformato in caserma di fanteria, mentre perdeva gli onori, gli arazzi e l’eleganza che lo rendevano unico e distinto. Nel frattempo la città cominciò ad espandersi in modo irregolare, sgraziato e caotico verso la parte dell’attuale Piazza del Plebiscito, grazie alla creazione di Via Toledo che prese il nome dall’omonimo viceré. In quegli anni cominciò ad essere costruito il Palazzo Reale di Napoli, una residenza colossale destinata a rimanere abbandonata per quasi due secoli, e il castello diventò un ingombrante vecchio rottame carico di truppe spagnole.
Sotto i Borbone si provò a restaurarlo, ma il gusto dell’epoca si rivolse alle residenze reali di Capodimonte, di Caserta e allo stesso Palazzo Reale, quindi il nostro castello rimase così, come lo conosciamo, fino alla ristrutturazione dell’intero quartiere fatta in epoca fascista e promossa dall’ingegner Pietro Municchi.
Se infatti ci fossimo trovati nei primi del ‘900, avremmo trovato una Piazza Municipio completamente diversa da quella attuale: il Maschio Angioino era sommerso da edifici vecchi e case costruite senza razionalità. La facciata era nascosta da mura fatiscenti e cariche di erbacce, le pareti del castello erano cadenti e rovinate, la facciata est era piena di finte finestre costruite nel ‘700 per dargli un senso di regolarità.
Il restauro del 1923 fu un atto quasi dovuto dalla città di Napoli, che riportò il Castel Nuovo ai tempi d’oro degli Aragonesi, quando nel suo cortile passeggiavano poeti, nobili e papi. Il costo di questa operazione, però, fu la perdita delle antiche mura: il castello che vediamo oggi è infatti “nudo“, senza la sua originale cinta muraria, che fu sostituita da un bellissimo prato.
Intanto quei muri mancanti sarebbero stati molto utili qualche anno dopo: era infatti il 1943 e Napoli, nel pieno della II Guerra Mondiale, era stremata fra i bombardamenti alleati e le rappresaglie tedesche: nessuno avrebbe immaginato che un castello di 500 anni fa sarebbe stato costretto a tornare di nuovo in campo per difendere la sua città. Lo fece, ospitando militari e civili nelle sue prigioni. E dell’ultima guerra porta ancora oggi le ferite, con una parete sfregiata da un’esplosione. La torre crollata, invece, è stata ricostruita. La Cappella, invece, è stata completamente distrutta.
Un Castello Nuovo custode della storia antica
Il Castel Nuovo, o Maschio Angioino che dir si voglia, oggi si presenta con l’eleganza dei suoi tempi migliori, illuminato e possente nei momenti dopo l’imbrunire; maestoso e fiero mentre saluta tutti i turisti che sbarcano al Molo Beverello.
Mentre guarda da un lato i lavori della Metropolitana e gli scavi dell’antico molo angioino, che lui vide quando l’acqua del mare arrivava fino alle sue fondamenta, nel suo cuore custodisce una delle istituzioni più importanti di Napoli: la Società Napoletana di Storia Patria, il più grande archivio di documenti sulla Storia locale, con una biblioteca ricchissima di rarità.
Non poteva avere altra sede se non la casa dei Re di Napoli.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Alfredo Buccaro, Giancarlo Alisio, Napoli Millenovecento, Electa, Napoli, 2003
Ferdinando Ferrajoli, I castelli di Napoli, Fausto Fiorentino, Napoli, 1964
Rosario Bianco, Gianpasquale Greco, I castelli di Partenope, Rogiosi Editore, Napoli, 2020
Antonio Ghirelli, Storia di Napoli, Einaudi, Milano, 2013
Agostino Catalano, Castelnuovo. Architettura e tecnica, Luciano, Napoli, 2001
Lucio Santoro, Castelli angioini e aragonesi nel Regno di Napoli, Rusconi, Napoli, 1982
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