Il Monte Nuovo: la montagna nata in una notte
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Come e quando è nato il Monte Nuovo? Beh, per raccontarvelo bene, bisogna prima fare un cappello, o meglio un cratere, sui Campi Flegrei. Qui, nei comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto e in buona parte dei comuni a ovest di Napoli, non c’è un Vesuvio, non c’è un singolo vulcano, ma vi è un’unica grande caldera, ora in stato di quiescenza, con un raggio di circa 15 km e con almeno 24 piccoli edifici vulcanici.

Il Monte Nuovo

Il termine “Flegreo”

La parola “flegreo” deriva dal greco “flègo” e significa “ardo”. In quest’ampia area di bellezza flegrea, infatti, coesistono fenomeni quali bradisismo, manifestazioni gassose effusive (come la Solfatara) e sorgenti di acque termali; ed è proprio da queste acque che la nostra storia ha inizio.

Sappiamo bene che i Romani sono stati davvero i cultori delle cure termali; ne è testimonianza la Villa di Poppea a Torre Annunziata, ma anche l’antico villaggio di Tripergole, un insediamento su una collina di tufo a ridosso del Lago Lucrino, dove non solo sorgeva la villa di Cicerone, ma dove in epoca più moderna, Re Carlo II d’Angiò fece addirittura costruire un ospedale che poteva ospitare fino a una trentina di ammalati, curati anche grazie all’amenità dell’area.

La fine di Tripergole

Il toponimo “Tripergole” potrebbe derivare sia dalle “tre stanze” utilizzate nei complessi termali (frigidarium, tepidarium e calidarium), sia dalla possibile presenza di tre osterie. C’è da dire, però, che se tale luogo fu scelto dai Romani proprio per poter usufruire di piacevoli “cure termali”, lo si dovette al fatto che, per ben 3.000 anni, l’intera area non aveva dato segnali di risvegli eruttivi, almeno fino alla data che oggi ci interessa: 29 settembre 1538.

Testimonianze riportano di un fenomeno eruttivo lungo diversi giorni e che con ogni probabilità, anche alla luce dei ritrovamenti che sono stati fatti, partono proprio da quella serena domenica di fine settembre.

L’eruzione

I puteolani erano in festa perché dal giorno prima avevano assistito ad un fenomeno che aveva portato il mare a ritrarsi per più di 350 metri e che aveva lasciato sul fondale un’infinità di pesci morti. Fu così che una buona parte fu venduta a Napoli, considerando una “manna dal cielo” tale avvenimento. Solo all’indomani, il 29 settembre, gli abitanti dell’area flegrea compresero perché, invece, ciò che era accaduto stava per portare spiacevolissime conseguenze.

Poche ore prima dell’eruzione iniziò un’intensa fase sismica, l’area di Tripergole subì uno sprofondamento di quasi quattro metri, per poi innalzarsi nuovamente, con un conseguente rigonfiamento, al culmine del quale si aprirà la bocca eruttiva che spazzerà via l’antico e famoso villaggio termale.

L’eruzione, iniziata intorno alle 19:30, fu preceduta da un fortissimo terremoto, con la conseguente rottura del fondale marino e la fuoriuscita di vapori. Come in qualsiasi eruzione che si rispetti, diversi sono i materiali espulsi dalla bocca eruttiva e che a seconda del peso ricadono in luoghi diversi. Migliaia di pomici copriranno un’area vasta otto chilometri, con buona parte galleggiante sull’acqua; una cenere bagnata, molto simile al fango, arriverà fino a Napoli, mentre ceneri più asciutte e sottili raggiungeranno, “cullate dal vento”, Cilento, Puglia e Calabria, coprendo un’area pari a circa diecimila chilometri quadrati. Stava per succedere qualcosa. Stava per nascere il Monte Nuovo.

L’arrivo di Don Pedro di Toledo

Lunedì 30 settembre, il Vicerè di Napoli, Don Pedro di Toledo, si recò con tutta la sua corte, in compagnia di filosofi e cavalieri, per assistere da vicino al fenomeno. Fu costretto a fermarsi nei pressi della Chiesetta di San Gennaro alla Solfatara, sia per godere di una visuale molto più ampia, sia perché non era possibile proseguire oltre, per via dell’intensa attività eruttiva che continuava a “sganciare” pietre intorno tutta l’area.

Rimase molto colpito dall’evento e, in seguito, per risollevare le sorti di Pozzuoli, esentò dal pagamento delle tasse i puteolani che fossero tornati in città e si fece costruire una villa, invogliando i nobili a fare lo stesso.

Nei giorni successivi, il celebre medico Pietro Giacomo Toleto, approfittando di una pausa dell’attività eruttiva, si recò sulla sommità del cratere e descrisse la scena che si presentò davanti ai suoi occhi, come un ribollire di pietre in una caldaia sul fuoco. Fu fortunato, perché all’indomani una nuova, violenta, seppur breve eruzione, “sganciò” pietre grosse fino a Nisida, per poi diminuire nuovamente la sua attività, al punto da far credere che fosse finalmente finita.

E, invece, dopo giusto sette giorni dall’inizio dell’eruzione, domenica 6 ottobre, alle 16:00 circa, ben ventiquattro persone persero la vita, proprio perché – credendo che le eruzioni fossero finite – decisero di recarsi fino al cratere, ritrovandosi, così, nel pieno dell’ultima eruzione e diventando le uniche vittime di tutta la vicenda, in quanto il grosso della popolazione era già scappata verso Napoli.

La nascita del Monte Nuovo

Il fatto che non ci siano state vittime, ad esclusione di quelle che si avventurarono sul cratere, non deve, però, far pensare a un’eruzione di lieve entità. Si trattò, infatti, di un avvenimento che modificò l’intera morfologia costiera, al punto che le superfici del lago di Lucrino e del lago d’Averno si ridussero notevolmente, interrompendo la comunicazione tra essi. Pozzuoli fu distrutta, le case che resistettero furono pochissime, metà Duomo crollò e la città era completamente ricoperta di cenere, mentre l’antico villaggio di Tripergole fu raso al suolo e inglobato nei prodotti eruttivi.

L’ultima eruzione dei Campi Flegrei, pertanto, diede vita ad un nuovo cono piroclastico chiamato Monte Nuovo e che attualmente è alto circa 134 metri. In realtà, all’inizio della sua storia, il Monte Nuovo fu denominato “Mons Ceneris”, per ovvi motivi e, successivamente, con la rinascita della flora, assunse un nuovo accattivante aspetto, al punto che molti viaggiatori stranieri iniziarono a visitarlo, diventando anche tappa del Grand Tour.

Fu così che il botanico inglese John Ray, nel 1663, descrisse il Monte Nuovo come un luogo dove vi crescevano mirto, erica e lentisco. Ancora una volta, una storia fatta di morte e distruzione, porta con sé il “nuovo” che non ti aspetti; quel “nuovo” che ridisegna un territorio donandogli bellezza e fertilità.

Fonti consultate:

https://ingvvulcani.com/2019/11/15/storia-del-monte-nuovo-lultima-eruzione-dei-campi-flegrei/

http://www.vincenzoboccardi.altervista.org

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