In un palazzo un po’ fatiscente, coperta dai cavi telefonici e da rovi che spuntano da un tubo vicino, c’è una targa che ricorda la storia di Pietro Bianchi, un abitante speciale dei Quartieri Spagnoli.
Non facciamoci ingannare dal nome: si tratta di un architetto svizzero, degno erede di Domenico Fontana. Nacque a Lugano nel 1787, viaggiò a lungo in Italia e giunse a Napoli nel 1816 per costruire la Basilica di San Francesco di Paola. Da allora non si mosse più dalla città.
Fu anche soprintendente agli scavi di Pompei, direttore del Museo Archeologico Nazionale, progettista della Sala Reale della Reggia di Caserta, scopritore dell’Anfiteatro di Capua. Ed ogni sera tornava lì, tranquillo, in una piccola casetta a Salita Trinità degli Spagnoli.
Architetto? No grazie. Chiamatemi archeologo!
L’architetto svizzero ha firmato solo due opere: la Basilica di San Francesco di Paola (il colonnato non l’ha nemmeno realizzato lui, ma è stato ripreso dai progetti di Antonio Laperuta, che lavorò per Murat 10 anni prima) e un palazzo nobiliare di Varese. Punto. Anzi, le sue opere furono molto criticate perché ritenute “prive di fantasia” e “banali“: non si può dire che l’interno della chiesa del Plebiscito sia indimenticabile, in effetti.
Pietro Bianchi, nonostante sia ancora oggi ricordato come un archietto, non amava la professione. Ottenne a Milano un diploma di laurea in “ingegneria-architettura“. Era innamorato dell’antichità e dei reperti storici. E non nascose mai la sua passione, a maggior ragione quando andò a vivere a Roma.
A Napoli trovò espressione per tutte le sue passioni, che diventarono poi il vero lavoro dell’architetto. Eppure il suo “biglietto da visita” fu proprio il nuovo assetto della piazza di Palazzo Reale.
Poi lo troveremo fra le mura romane di Pompei e di Ercolano, senza dimenticare la scoperta dell’Anfiteatro di Capua e i lavori a Paestum ed ai Campi Flegrei.
Nei suoi lavori di archeologia si fece affiancare da Carlo Bonucci, ex direttore generale degli scavi di Ercolano e Pompei che fu paradossalmente scalzato proprio dallo svizzero.
Un borbonico fedelissimo: la statua di Ferdinando IV nel Museo Nazionale e uno scambio di favori
L’architetto Bianchi tradì la tradizionale neutralità degli svizzeri. Nato come napoleonico (ottenne nel 1808 una borsa di studio a Parigi, studiò nella Milano napoleonica e lavorò a Roma fino ai suoi 30 anni come sovrintendente agli scavi del Colosseo).
Poi si trasferì a Napoli nel 1816 e rinnegò le sue simpatie napoleoniche. Anzi, diventò fedelissimo alla monarchia borbonica tanto da guadagnare la fiducia di Ferdinando I di Borbone.
D’altronde, fu raccomandato al re napoletano da Antonio Canova in persona, una delle massime autorità nel mondo dell’arte. E dopo l’inizio dei lavori alla Basilica di Largo di Palazzo, la carriera dell’architetto svizzero prese il volo.
Pietro Bianchi ricambiò il favore: dopo essere stato nominato “direttore del museo farnesiano“, l’attuale Museo Nazionale, richiamò proprio Canova, ormai anziano, per concludere la realizzazione della statua di Ferdinando I al centro dello scalone del Museo. La statua era stata commissionata dal re napoletano circa vent’anni prima, ma l’invasione napoleonica bloccò il colossale progetto, lasciando la statua a poco più di un abbozzo nei magazzini del museo. La statua fu completata dal maestro su richiesta di Bianchi e desiderio del Re.
Il monumento fu inaugurato il 7 febbraio 1822 e, pochi mesi dopo il momento simbolico che segnò il ritorno a Napoli dell’antico ordine, morì Canova.
Un dirigente pubblico richiestissimo
Pietro Bianchi, dopo la morte di Ferdinando I, continuò la sua carriera all’interno delle massime cariche dirigenziali nel Regno. Diventò professore all’Accademia di Belle Arti, ottenne la croce di ferro dell’Imperatore d’Austria e fu anche socio dell’Accademia Borbonica.
E non solo: restaurò la fontana della Coccovaja nel porto (che oggi è stata spostata a Posillipo), creò una depandance per la villa Favorita di Resina e sistemò la Villa Comunale di Chiaia, progettando la fontana “delle paparelle“, la vasca maestosa nel viale centrale.
Morì il 6 dicembre 1849 nella sua casetta dei Quartieri Spagnoli, lasciando la vita terrena a 62 anni e con qualche acciacco fisico. Ed oggi ricordiamo il suo volto solo con un busto all’ultimo piano della casa in cui visse per tutta la vita.
-Federico Quagliuolo
La storia è dedicata a Salvatore Iodice, Gennaro Giugliano e Fabio De Rienzo per averci fatto scoprire le meraviglie dei Quartieri Spagnoli.
Riferimenti:
https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/024513/2010-01-13/
https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-bianchi_(Dizionario-Biografico)
https://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-bonucci_(Dizionario-Biografico)/