Il termine “maliarda” si riferisce generalmente ad una donna che è capace di incantare ed ammaliare gli uomini con il suo indiscutibile fascino. Alla luce di ciò, trovo che non avrebbe potuto esserci appellativo migliore da conferire a donna Eleonora, della ricca e nobile famiglia dei Tomacelli, che visse a Napoli, sotto il regno di Alfonso d’Aragona. La donna, sebbene sposata con un ricco commerciante, pare non disdegnasse affatto avere una lunga schiera di amanti in genere appartenenti ai più alti ranghi del Regno. Ma questo, seppur disdicevole, non era certo poco comune per quei tempi, dunque non le sarebbe valso, per così poco, l’onorifico appellativo di Maliarda di Napoli. La particolarità di donna Eleonora consisteva nell’adescare tutti gli uomini tra i più influenti e maggiormente desiderati dalle altre donne, farli irrimediabilmente innamorare di lei, illuderli, per poi infine crogiolarsi nel sadico piacere di abbandonarli lasciandoli morire d’amore per lei, per poi successivamente vantarsi dell’impresa con le altre dame. Fino a quel momento, nessuno escluso, era sfuggito a questo triste destino.
Un giorno giunse a Napoli un giovane cavaliere siciliano, Giovanni Ventimiglia, su invito di re Alfonso d’Aragona. A corte subito cominciarono a girare voci sulle prodezze in combattimento e in campo amoroso del giovane Giovanni che aveva fama di ottimo spadaccino e grande sciupa femmine. Alto, biondo, occhi azzurri, presumibilmente di discendenza normanna, divenne presto oggetto delle attenzioni dell’aristocrazia femminile napoletana, alle cui lascive richieste pare rispondesse con accondiscendenza. Quando la Maliarda venne a sapere di lui reputò che, senza indugio, dovesse diventare la sua prossima vittima. Un giorno il re diede un ballo a Castelnuovo e questa fu l’occasione perfetta per Donna Eleonora per presentarsi al giovane cavaliere. Elegante nel portamento, dalla fulgida bellezza, piena di grazia e fascino, con la sua fervente fantasia e spiccata intelligenza, la Maliarda riuscì a conquistare il cuore di Giovanni, sbaragliando la concorrenza. Gli amici del giovane cercarono di metterlo in guardia, invitandolo dal guardarsi di cadere nella rete di donna Eleonora. <<Quella donna è come una Sirena. Ammalia gli uomini e li trascina a picco con il potere del suo fascino. Non farti ingannare. Ha sempre fatto così>> gli dicevano. <<Ma con me sarà diverso!>> rispondeva il giovane innamorato, ormai già caduto nella trappola. Diverso tempo durò l’illusione d’amore del giovane Giovanni Ventimiglia: quando si incontravano ad un ballo la Maliarda lo conduceva lontano da occhi indiscreti per dargli furtivi e cocenti baci; quando,in altre occasioni pubbliche, non potevano stare insieme, gli lanciava sguardi eloquenti da lontano; si scambiavano frasi d’amore che non potevano lasciare adito a dubbi;Giovanni faceva realizzare, quasi ogni giorno, meravigliosi gioielli in oro e pietre preziose dall’argentiere di corte per la sua innamorata e quando nel febbraio del 1456, nella piazza della Selleria, si svolse un torneo, il giovane Ventimiglia gareggiò alla giostra con i colori di donna Eleonora e quando vinse non mancò di dedicare la vittoria a lei. Da un giorno all’altro però donna Eleonora cominciò a non presentarsi più agli incontri clandestini organizzati dal suo amante, a non rispondere ai suoi biglietti e a non affacciarsi più al balcone di camera sua. Il giovane Giovanni riceveva solo sguardi glaciali e parole di circostanza da quella donna che appena poco tempo prima era stata la sua focosa amante. Un giorno la dama di compagnia di donna Eleonora fece recapitare al cavaliere un biglietto che così recitava: <Addio. Eleonora. >>. Solo in quel momento il giovane Ventimiglia fu costretto a fare i conti con la dura realtà: era stato solo l’ennesima vittima della Maliarda. Decise di chiudersi nei suoi appartamenti a Castelnuovo: non mangiava, dormiva poco, pensava solo a donna Eleonora per tutto il tempo. Aveva sacrificato tanto per lei, aveva affrontato tutte le prove d’amore a cui lo aveva sottoposto pur di stare con lei, avrebbe sacrificato la sua stessa vita per la donna che amava. Era sfranto dal dolore e ne sarebbe morto se una notte,in sogno, non gli fosse apparsa un’angelica visione: una donna dolcissima e bellissima, molto più di quanto sarebbe mai potuta essere Eleonora, che lo invitava a combattere il suo dolore e a cercarla. Il giovane cavaliere, con grande sorpresa di tutti, dal giorno successivo a questo miracoloso sogno, cominciò a rimettersi in forze, tornò in salute, dimentico di donna Eleonora e si gettò a capofitto nel lavoro, diventando un indefesso collaboratore del re Alfonso d’Aragona. Un giorno,poi, mentre era a cavallo appena fuori Castelnuovo venne circondato da una folla di popolane che, come era solito, nel riconoscere in lui l’aitante don Giovanni, gli si accostarono per ammirare più da vicino la sua ineffabile bellezza. Tra le popolane si ravvedette della presenza della donna che gli era apparsa in sogno. Quasi come un invasato, non padrone delle proprie azioni, scese da cavallo, si avvicinò alla fanciulla, prese le mani della ragazza tra le sue e guardandosi negli occhi capirono entrambi che quello tra di loro fosse un grande e sincero amore a prima vista. La fanciulla si chiamava Caterina Capece ed aveva origini tra le più modeste di Napoli ma malgrado ciò, vedendo il profondo amore che Giovanni provava per lei, re Alfonso la ammise a corte e ben presto si costruì la nomea di più dolce e bella damigella del Regno. Quando seppe di Caterina, donna Eleonora la Maliarda decise che avrebbe dovuto assolutamente riconquistare il cuore del bel Giovanni ed allontanarlo dalla popolana. Approfittando di una serata di gala, si parò al meglio di se’, indossò uno dei suoi più begl’abiti da sera e si ornò di preziosi gioielli. A quella serata parteciparono anche il giovane Ventimiglia e la sua innamorata. Per tutta la durata del gala, donna Eleonora cercò di attrarre su di sé le attenzioni del cavaliere ma ogn i tentativo fu vano. Ogni pensiero, gesto, parola di Giovanni erano rivolte unicamente alla bella Caterina. Tornata a casa dalla serata, livida di gelosia ed invidia, Eleonora cominciò ad escogitare numerosi piani per cercare di riportare a sé il bel Giovanni. Si rese conto che il sentimento che provava per lui era molto più profondo di quello che immaginava. Le tentò tutte, per molto tempo, ma dal soggetto dei suoi desideri le fu restituita nient’altro che indifferenza. Come finisce,quindi,la storia della famosa Maliarda? Se la vita,in genere purtroppo, non premia sempre i “buoni” e punisce i “cattivi”, in questa storia invece è possibile intravedere una certa giustizia del caso o per alcuni sarà una sorta di intercessione della Provvidenza: arrivata allo strenuo delle sue forze, in preda alle più atroci pene d’amore, donna Eleonora morì allo stesso modo di cui erano morti gli sventurati che erano caduti nelle sue grinfie. <<Quando a lei nulla era restato/non il suo amore, non il suo bene/ ma solo il sangue secco delle sue vene>>, canta De Andrè alla fine della ballata. Ma in questa storia il sangue non è della vittima ma del carnefice.
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