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Nei primi anni dell’Ottocento, in una agiata casa borghese di Napoli, un bambino intelligente e curioso passava giornate intere tra i libri della biblioteca di famiglia.

Il bambino era Francesco Mastriani, e la biblioteca alla quale attingeva con voracità contava circa 400 volumi. Da Dante a Shakespeare, da Alfieri a Basilio Puoti, da Rosseau alla Cottin, il piccolo Francesco iniziava il suo tortuoso e intenso percorso da autodidatta dell’inchiostro e della penna.

Percorso che lo avrebbe portato a scrivere niente di meno che il primo giallo italiano.

francesco mastriani storie di napoli

Ma andiamo con ordine. La vita di Francesco fu da subito agitata, tra alti e bassi di povertà e ricchezza, traslochi infiniti in lungo e in largo per tutta Napoli (se ne contano almeno una trentina), e la sua personalità unica e intraprendente rimase a lungo impressa nella memoria dei napoletani.

Capace come una spugna di imparare, anche da autodidatta, lingue straniere, studiò il greco, il tedesco, l’inglese e il francese. Affacciato alla finestra di casa, scrutava i passanti in strada e, quando vedeva qualche turista, si precipitava con entusiasmo e un po’ di invadenza tutta napoletana a fare da guida, sfoggiando il suo repertorio di conoscenze linguistiche e arrotondando così, di tanto in tanto, le sue misere finanze.

Con comicissima serietà, credeva profondamente al malocchio e alla iettatura (in merito soleva dire: “ci credo, anzi ci stracredo!”), circondandosi di amuleti tradizionali come il corno e il ferro da cavallo e attribuendo al malocchio le sue numerose disgrazie, dal colera (al quale sopravvisse miracolosamente) ai numerosissimi sfratti.

Dopo un tentativo fallito di prendere una laurea in Medicina e un lavoro presto abbandonato alla dogana, Francesco Mastriani comprende giovanissimo di volersi dedicare anima e corpo alla sua più antica vocazione: la letteratura. Inizia così a scrivere qualche articolo di costume e qualche bizzarra novella per alcuni giornali locali.

Ma Mastriani è un giovane coraggioso, dall’intelligenza vivace, che non si accontenta di rimanere nei rigidi limiti del vecchio e ama sperimentare il nuovo. La sua acuta sensibilità allora fa virare la sua attenzione sulle classi subalterne di Napoli e dintorni: nel 1852 viene pubblicato il romanzo che porterà il nome di Mastriani nei cuori delle folle, La cieca di Sorrento.

Questo romanzo, e la lunga serie di opere ad esso affini, seppure ancora intrise profondamente del gusto romantico melodrammatico, contengono spunti sorprendenti sulle tematiche sociali che, per certi versi, anticiperanno alcune tendenze veriste. Grattando via la patina opaca dei lasciti romantici, in queste opere si scorge una limpidissima innovazione letteraria che sarà la base della nascita del romanzo sociale.

Ma non è questo il primato di Mastriani che oggi vogliamo ricordare: soffermiamoci invece su un altro romanzo, che vede la luce nel 1852. Il suo titolo è Il mio cadavere ed è considerato oggi, quasi dall’intera comunità critica, il primo romanzo giallo italiano.

“Se un viandante qualunque, trattovi per casualità o per vaghezza di solitarie meditazioni, in sull’imbrunire d’una bella sera di està dell’anno 1826 si fosse trovato a scendere pei greppi posti a ridosso del Real Albergo de’ Poveri e di S. Maria degli Angeli alle Croci, si sarebbe certamente soffermato passando da costo a un povero abituro, diruto in gran parte per le scosse del tremuoto detto di S. Anna, avvenuto a Napoli nella sera del 26 luglio 1805”. (Incipit de Il mio cadavere).

In una Napoli noir di inizio Ottocento, infatti, si intrecciano le inquietanti vicende di un giovane e talentuoso musicista, di una nobildonna viziata e lussuriosa, di un misterioso padre Ambrogio e di una giovane pia e religiosa, sotto la nera e pesante scure di un terribile delitto che pesa sulle spalle di ciascuno dei protagonisti.

Alcuni elementi di quest’opera permettono alla critica di distinguerla da quella di un romanzo d’appendice: innanzitutto l’approfondimento psicologico dei personaggi, ma anche l’attenzione inquietante e maniacale alla figura del medico legale, il dottor Weiss, e al terribile potere di un’arma invisibile come il veleno.

Mastriani_CadavereLa vita non fu dolce a questo vulcano napoletano d’inventiva: funestata da disgrazie e lutti, non riuscì tuttavia a togliergli mai la dedizione alla letteratura. Persino sul letto di morte, nei primi giorni del gennaio 1891, Francesco continuò a lavorare ai suoi romanzi, incurante della malattia e della sofferenza. E con la penna tra le mani morirà.

Una scia d’inchiostro continuerà a muoversi dalle sue pagine attraverso gli anni, lasciando un solco profondo nel cuore della gente, prima, e solo in seguito della critica. Una giovane Matilde Serao ricorderà con affetto la scomparsa dello scrittore e sarà solo Bendetto Croce, nel primo Novecento, a sottoporre all’attenzione del mondo letterario l’opera di uno scrittore che sotto il manto, spesso pesante, del secolo passato, riuscì ad intuire e raccontare i profondi mutamenti del secolo presente.

“Questo povero vecchio che si è spento oscuramente, carico di anni e di dolori, affranto da un duro e incessante lavoro che gli lesinava il pane, tormentato da una invincibile miseria […] questo martire della penna era, veramente, fra i più forti e più efficaci nostri romanzieri. L’opera sua, formata da cento e più romanzi, appare grezza, disuguale, talvolta ingenua nella scarsezza delle risorse artistiche; e negli ultimi romanzi suoi è la fretta, lo stento, l’intima straziante pena di chi deve guadagnare, ogni giorno, quelle tre o quattro lire che gli davano: ma da tutta quanta l’opera sua, considerata insieme, emana una così fervida potenza d’invenzione che ha rari riscontri […]”. (Matilde Serao su Mastriani) 

Beatrice Morra 

Disegno in copertina di Eleonora Bossa 

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