Il diritto al paesaggio e alle bellezze naturali, uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, trova le sue origini in una antichissima legge di Ferdinando II di Borbone. Si tratta del Rescritto del 19 luglio 1841, seguito da altre integrazioni successive.
A dirlo è stato Benedetto Croce in persona, quando si fece promotore della legge 778 del 1922, la prima legge italiana che stabilì il Diritto al Paesaggio e creò una prima tutela per gli immobili di interesse storico. Una normativa che è stata in vigore fino al 2009, per quasi novant’anni.
Una innovazione borbonica
Spiegò il filosofo abruzzese nella relazione al parlamento che, prima di formulare il testo di legge, aveva effettuato numerose ricerche storiche negli archivi degli Stati preunitari. Ed aveva individuato tre rescritti borbonici che, di fatto, anticipavano la normativa appena approvata in Parlamento (letteralmente: “nulla di nuovo, quindi, si è escogitato nel presente regolamento“). Per giunta i regolamenti del Regno delle Due Sicilie, dopo l’Unità d’Italia, furono trascritti nel regolamento del Comune di Napoli.
La legge promossa da Croce titolava “Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di interesse storico” fu quindi un’innovazione nella Storia d’Italia, ma era già conosciuta da quasi cent’anni a Napoli.
“Il paesaggio è la rappresentazione materiale e visibile della
Benedetto Croce
Patria”
Nei sogni del legislatore, la legge 778/22 sarebbe stata il primo passo verso una tutela delle bellezze d’Italia. In effetti, per la prima volta diventò un diritto da tutelare la possibilità di godere vedute cariche di bellezza e storia.
Il fascismo, che si impose pochi anni dopo, continuò a lavorare su una regolamentazione dei beni culturali. Durante e subito dopo la guerra cambiò tutto. Una normativa moderna arriverà solo nel 1975, con la nascita delle sovrintendenze. Gli scempi edilizi in tutta Italia, però, all’epoca ormai non si contavano più. E tanti panorami di Napoli erano ormai spariti.
Prima della Legge Croce i costruttori avevano un ampio grado di libertà nel costruire edifici, anche perché la proprietà privata era considerata un bene di primaria importanza. Lo dimostrano i tanti lavori che coprirono gli antichi quartieri di Napoli, come ad esempio la costruzione di Santa Lucia, Galleria Umberto e Corso Umberto, oppure addirittura la proposta di abbattimento del Castel dell’Ovo durante il Risanamento.
Una legge modernissima
Il principio tracciato dalla prima norma di Ferdinando II di Borbone fu estremamente innovativo per l’epoca: nel Regno delle Due Sicilie il concetto di proprietà privata doveva essere limitato dal diritto a godere del panorama, ritenuto una “servitù pubblica” più importante. In pratica, il diritto del popolo di godere delle bellezze naturali era più importante del diritto di un privato nel poterci costruire sopra.
Tant’è vero che, nel rescritto del 19 luglio 1841, fu vietata la costruzione di edifici troppo alti in zona Mergellina, Posillipo, Capodimonte e Campo di Marte (oggi Capodichino), “i quali togliessero amenità di veduta“.
Un altro passaggio importante, che testimonia l’estrema attenzione di Ferdinando II e della corte di Napoli per il paesaggio, fu il Rescritto del 31 maggio 1853.
In questo provvedimento furono tracciate le basi per la costruzione di una nuova strada per collegare rapidamente il Vomero con Chiaia: la prima “tangenziale” d’Italia. All’epoca si chiamava Corso Maria Teresa, dopo il 1860 diventerà Corso Vittorio Emanuele.
Nel regolamento borbonico, spiega Croce, fu sottolineata la massima attenzione che gli ingegneri avrebbero dovuto riporre nella tutela del paesaggio: gli edifici non dovevano in alcun modo ostacolare il godimento dei panorami. In effetti la storia andò proprio così: Corso Vittorio Emanuele è una strada che conserva tantissimi scorci panoramici proprio nella parte più antica.
L’Italia tardò ad adeguarsi
La legislazione del Regno di Sardegna era poco sensibile nei confronti della tematica paesaggistica e questo “handicap” fu trasferito anche nello Stato Italiano. Durò per circa 60 anni dopo l’Unità d’Italia: fino al 1922, appunto.
Le battaglie più accese per tutelare i beni culturali dello Stato arrivarono dalle regioni d’Italia più sensibili nei confronti del patrimonio storico. Su tutte furono in prima fila Campania, Lazio e Toscana.
A Napoli ci fu un contributo interessante del giurista Giuseppe Lustig, che scrisse sulla rivista “Il Filangieri” un articolo in cui spiegava che anche gli edifici antichi vanno tutelati.
Prima della Legge Croce furono bocciate decine di proposte in parlamento per tutelare il paesaggio e i beni culturali, avanzate tutte da deputati del calibro di De Sanctis, Nitti, Molmenti, Rosadi. Proprio Giovanni Rosadi, orgoglioso esponente della Toscana, fu uno dei più accesi promotori della tutela dei beni culturali e, assieme a Croce, festeggiò la legge del 1922 dopo trent’anni di battaglie in parlamento.
La battaglia per la tutela dei paesaggi entrò nella sua fase clou sul finire del XIX secolo, proprio mentre a Napoli stava concludendosi l’opera di Risanamento. Tutte le proposte, però, finirono in un nulla di fatto perché all’epoca il parlamento riteneva più importante il diritto al pieno godimento della proprietà privata. Inserire delle limitazioni nelle costruzioni, quindi, sarebbero stati una “violenza” nei confronti dei diritti dei proprietari dei terreni.
Un precedente siciliano
In realtà la normativa sulla tutela dei beni culturali è ancora più antica e risale ai tempi di Carlo di Borbone. Nell’interessantissimo studio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, infatti, è stato rinvenuto un precedente interessante. Bisogna andare a scavare negli archivi del 1745, quando l’ordine del Real Patrimonio di Sicilia dichiarò “protetti” i boschi alle pendici dell’Etna e le antichità di Taormina. Fu probabilmente una delle prime normative per la tutela del paesaggio in Italia.
La storia ci insegnerà che la legge sulla tutela del paesaggio fu tanto nobile quanto, purtroppo, poco applicata nel dopoguerra, come ci insegna il film “Le Mani sulla città“. Con buona pace di Ferdinando II di Borbone e Benedetto Croce.
-Federico Quagliuolo
Per approfondire:
La legge è reperibile su questo indirizzo web: https://www.eui.eu/Projects/InternationalArtHeritageLaw/Documents/NationalLegislation/Italy/leggen778del1922.pdf
Lo studio dell’università Ca’ Foscari di Venezia, dettagliato e molto approfondito:
Altre fonti:
http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=506
http://www.tangenzialedinapoli.it/it/chi-siamo/la-storia
http://www.sbapbo.beniculturali.it/index.php?it/100/un-po-di-storia#:~:text=657%20del%2014%20dicembre%201974,Ambientali%20e%20Architettonici%20dell’Emilia.
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