Vincenzo Tecchio è stato l’unico fascista a cui sia stata dedicata una piazza a Napoli dopo la guerra. Fu un uomo ambizioso e spregiudicato, ricoprì numerosi incarichi di prestigio, riuscendo a raggiungerre i vertici di molte società del Regime e fu coinvolto direttamente nei grandi cambiamenti urbanistici che Napoli subì durante il Ventennio.
Le origini: un fascista della prima ora
Tecchio nacque a Napoli, da una famiglia di artigiani, partecipò come volontario alla prima guerra mondiale, durante la quale diventò tenente e, da buon soldato, ricevette anche una medaglia per le azioni sul campo di battaglia. Al termine della sua esperienza militare, tornò a Napoli, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’ Università Federico II.
Il 30 marzo 1919 fu fondato il Fascio di combattimento di Napoli, dal carismatico quanto minaccioso Aurelio Padovani. Pochi giorni dopo, vi fu la prima riunione, in Galleria Umberto I, a cui un appena ventiquattrenne Tecchio partecipò con entusiasmo, aderendo al nascente movimento e diventando uno dei più fedeli seguaci di Padovani. Poco dopo si laureò ed intraprese la carriera di avvocato, ma la sua ambizione si cominciò a posare sulla pubblica amministrazione.
Da rivoluzionario a burocrate
Con l’affermarsi del fascismo, il suo nome cominciò ad affermarsi a livello locale. Nel 1923 divenne segretario federale del Partito Nazionale Fascista. Quello stesso anno, Mussolini decise di “ripulire” il partito dall’ala più reazionaria, che pochi anni prima lo portò in auge, in vista di una maggiore focalizzazione sull’aspetto più composto, più adatto ad un parlamento.
Tra gli elementi che non si vollero piegare a questo cambiamento, c’era Aurelio Padovani, che fu espulso dal partito. Tecchio lo volle seguire senza esitazione, eppure, di lì a poco, si reintegrò nel partito, proprio su direttiva di Padovani ai suoi seguaci nel suo discorso d’addio.
Tuttavia, i rapporti tra Mussolini e Padovani si ruppero completamente di lì a poco (Mussolini lo definì pubblicamente “Il fascista più indisciplinato d’Italia“) e, mentre i due si facevano guerra verbalmente, Tecchio prese la decisione di schierarsi sul fronte dei vincitori, distanziandosi in definitiva dal suo mentore e, addirittura, esprimendosi contro una sua riammissione nel Partito.
Padovani morì il 16 giugno 1926, il giorno del suo onomastico, per il crollo del balcone di casa sua, insieme a numerosi altri ospiti.
Gli anni ’30 e l’apice della carriera
Dopo la morte di Padovani, Vincenzo Tecchio acquisì una posizione di ancora maggior prestigio tra i ranghi del PNF, venendo tuttavia rimosso dall’incarico di segretario federale. Divenne membro del consiglio d’amministrazione del Mezzogiorno e poi del Roma, noti giornali locali, contribuendo a garantire un diretto controllo governativo della stampa locale.
Nel 1929, fu eletto deputato, ricoprendo numerosi incarichi in commissioni parlamentari. Partecipò come volontario, nel 1935, alla guerra d’Etiopia.
Nel 1937 divenne membro del Direttorio nazionale del sindacato degli avvocati, poi presidente del consiglio provinciale dell’economia corporativa e fu tra i fautori degli importanti cambiamenti urbanistici che Napoli subì in quegli anni.
Dal 1934 al 1939 fu presidente della commissione per i bilanci e rendiconti consultivi.
Continuò ad intrattenere un ottimo rapporto con Mussolini, che gli giovò particolarmente, poichè quest’ultimo gli concesse un posto nel consiglio d’amministrazione dell’Alfa Romeo. Gli fu poi attribuito l’incarico di presidente di una società statale per la costruzione di navi da guerra ed ottenne perfino un ruolo dirigenziale nell’Università di Napoli.
La mostra d’Oltremare
Tra i momenti più iconici della sua carriera, proprio in quel fatidico 1937, ricevette l’incarico di commissario generale per la costruzione di una delle più grandi opere del Regime a Napoli, che ha modificato radicalmente la struttura urbana del nascente quartiere di Fuorigrotta: la Mostra d’Oltremare. Forse la più grande opera di bonifica di quegli anni a Napoli.
Un’imponente complesso di edifici, un milione e duecentomila metri quadri, ampi spazi verdi, viali alberati, fontane, laghi artificiali, teatri, edifici imponenti che costituiscono i cinquantadue padiglioni del complesso, volti a glorificare le recenti imprese coloniali dell’Italia fascista. Il progetto fu terminato nel 1940, realizzato da giovanissimi architetti ed ingegneri, la cui età media era 28 anni. Ci vollero solo cinquecento giorni per il completamento dell’opera e fu abbattuta buona parte del Rione Castellana durante la realizzazione.
Fu inaugurato il 9 maggio dello stesso anno alla presenza di Vittorio Emanuele III e dei Principi di Piemonte, guidati dall’avvocato Tecchio in persona nella visita. Questo fu il suo più grande successo. La piazza antistante fu nominata Piazzale Littorio.
L’importanza dell’opera è anche correlata alle imponenti modificazioni che subì l’intera area di Fuorigrotta: furono tracciate o allargate molte strade e implementati i collegamenti tramite mezzi pubblici. I lavori si interruppero con la guerra e furono ripresi solamente tra gli anni ’50 e ’60.
Non fu molto, infatti, il tempo per poter apprezzare la nuova opera pubblica, per via del dilagare del secondo conflitto mondiale. Il complesso fu gravemente danneggiato dai bombardamenti e fu recuperato solo negli anni ’50. Attualmente, alcuni edifici non sono ancora accessibili.
Gli anni della guerra
Nel 1941, Tecchio partecipò in prima persona alla guerra in Grecia ed Albania, per poi tornare a Napoli, dove ricoprì un ruolo di grande responsabilità nella gestione locale del Partito. Non mancarono altri ruoli ed incarichi di prestigio, specialmente nel settore dell’industria.
Dopo l’8 settembre del 1943 aderì alla Repubblica di Salò, tuttavia, l’anno successivo, dimostrò ancora la sua spietata ambizione, il suo voler rimanere a galla a tutti i costi: insieme ad altri industriali, organizzò il Comitato per la costruzione postbellica, che aveva il compito di riconvertire fabbriche adoperate per la produzione di oggetti militari in fabbriche civili, sostenendo, inoltre, che dinanzi all’imminente sconfitta tedesca, era fondamentale stringere al più presto i rapporti con gli Stati Uniti.
Proprio grazie al suo abbandonare la nave che affonda, come fece con Padovani, riuscì nel suo intento: quando fu giudicato da una commissione per le sanzioni contro il fascismo, ciò gli risultò un tale attenuante da potersi reinserire senza problemi nella vita civile.
Tecchio e la Repubblica Italiana
Nel 1946, Vincenzo Tecchio spostò nuovamente la sua attenzione sulla politica: si trasferì a Roma, dove fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano.
Non smise di sfruttare le sue influenti conoscenze per avere ancora una volta ruoli di prestigio: ebbe un ruolo dirigenziale in una società editoriale ed arrivò anche a diventare vicepresidente della Società Italiana editori di giornale, oltre che membro di consigli d’amministrazione di altre società.
Si spostò nuovamente a Napoli all’inizio degli anni ’50. Fu proprio lì che, il 9 settembre 1953, morì, all’età di 58 anni.
Quello stesso anno, il sindaco Achille Lauro gli dedicò il piazzale antistante la Mostra d’Oltremare, la perla della sua carriera. Solo nel 2018 fu proposto un cambio del nome con quello di Giorgio Ascarelli, imprenditore ebreo, noto per aver fondato l’Associazione Calcio Napoli, nel 1926. Attualmente, è ancora nominato “Piazzale Vincenzo Tecchio”.
Tutt’oggi, la Mostra d’Oltremare è un importante polo fieristico, tra i maggiori d’Italia.
-Leonardo Quagliuolo
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Per approfondire:
“Napoli sotto il regime“, Giacomo de Antonellis
“Napoli millenovecento“, prof. Giancarlo Alisio, prof. Alfredo Buccaro
“Le nuove strade di Napoli“, Gianluca Infusino