Ogni giorno l’acquaiolo di Piazza Trieste e Trento chiude le serrande pensando di essere uno degli ultimi highlander, rappresentante di un mestiere antichissimo e pieno di fascino antico, che caratterizzava un tempo le città del Sud Italia e che oggi, in un certo senso, si rinnova nei chioschi degli spritz.
Se gli acquaioli, con i loro carretti delle bibite, sono praticamente spariti o resistono in versione “pezzotta” fuori allo stadio durante le partite del Napoli, gli ultimi acquafrescai godono di una salute leggermente migliore e lavorano ancora negli stessi claustrofobici chioschi ricavati in anfratti di palazzi antichi, ereditati di famiglia in famiglia come il bene più prezioso del mondo. E in passato era proprio così: il carretto o il sognato chiosco erano quel bene essenziale che garantiva “la fatica”, il lavoro stabile, che è sempre mancato fra le strade più povere di Napoli.
Un tempo erano dei veri e propri scienziati delle bibite rinfrescanti come il Sarchiapone, prodotte con l’acqua zuffregna e un po’ di limone, oppure si trasformavano di sera in esperti acquavitari, per fantastici cocktail alcolici.
Il mestiere dell’acquaiolo, per giunta, nacque dall’inventiva del popolo per risolvere un problema sempre attuale: “apparare” la crisi del lavoro giovanile.
Le speranze di lavoro di un popolo analfabeta
Nei quadri antichi troviamo spesso personaggi che si aggiravano per la città con carretti che portavano più o meno qualsiasi cosa: dai panettieri “cafoni” che venivano da Marano ai trippaioli, arrivando, ovviamente, agli acquaioli. Questa varia umanità di venditori ambulanti
era composta per lo più da giovani, dai 15 ai 25 anni, alla ricerca. Fino al secolo passato buona parte del popolo in città era completamente analfabeta e non aveva particolari speranze occupazionali, non esistendo nemmeno un sistema economico sviluppato. Così, in mestieri semplici e artigianali, molti riuscivano a trovare il piccolo guadagno che garantiva il pane sulla tavola.
Di mattina, prestissimo, gli acquaioli caricavano sul carretto le anfore e i barilotti carichi d’acqua. Il mestiere era particolarmente remunerativo d’estate, quando il caldo intenso del clima napoletano creava sempre una folla di passanti che, per poche piastre (la moneta borbonica dal minor valore), si assicuravano una bella bevuta di acqua fresca. E non dimentichiamo lo strategico Sarchiapone, la bevanda dei pranzi della domenica e delle feste estive: con la sua carica di bicarbonato, limone e ghiaccio, è ancora oggi un digestivo e dissetante eccellente.
Gli acquaioli migliori in maggioranza appartenevano al Rione Santa Lucia a causa della ricchezza di fontane di acqua frizzante, proveniente dalla fonte del Monte Echia, l’acqua delle mummarelle che tutti i napoletani amavano.
Il carretto dell’acquaiolo: un bene più prezioso dell’oro
Il carretto dell’acquaiolo era costruito di solito con materiali di fortuna, spesso anche scarti di mobili, ed era il primo strumento del mestiere per ottenere qualche guadagno in qualsiasi attività: si adattava al trasporto dell’acqua e del pane, ma molti si improvvisavano anche traslocatori o addirittura tassisti con i propri carretti.
I più bravi riuscivano ad accumulare anche piccole fortune durante le estati, spesso piazzandosi strategicamente in prossimità di cerimonie religiose o dalle parti di Mergellina, dove l’alta borghesia napoletana faceva le sue passeggiate. In questo modo, gli “imprenditori da strada” migliori riuscivano a comprare minuscoli loculi o piccole edicole in cui svolgere la propria attività. Ecco che si arrivava all’evoluzione della specie: l’acquafrescaio.
Gli acquafrescai napoletani
Il chiosco dell’acqua fresca, la banca dell’acqua, era un traguardo sociale: una garanzia di posto fisso per l’acquaiolo e per tutta la sua dinastia. Addirittura spesso nei testamenti c’erano veri e propri anatemi nei confronti degli eredi in caso di vendita del chiosco.
In effetti, un luogo di proprietà, anche p era segno di prestigio sociale oltre che di guadagni. E spesso, grazie agli immancabili ipogei che caratterizzano tutto il centro di Napoli, si godeva anche di immensi depositi freschi per l’acqua. Spesso i chioschi erano arricchiti con limoni, arance e altri agrumi che pendevano attorno al tavolaccio in marmo.
Un metodo “rubato” agli antichi romani
Il sistema usato dagli acquaioli per tenere l’acqua davvero ad una temperatura gradevole, soprattutto in giorni torridi come quelli estivi, era lo stesso dei romani: anfore di terracotta. I più fortunati che invece potevano garantirsi un piccolo locale, invece, utilizzavano “frigoriferi” che consistevano in cavità con le pareti ricoperte da argilla, nelle quali si conservavano le forniture d’acqua ad una temperatura sempre gradevole: esempi di questi contenitori si trovano a Pompei. Ed è una usanza che collega questa storia addirittura a tempi remotissimi in cui, come sempre accade, l’ingegno degli antichi romani riesce ancora a stupirci.
-Federico Quagliuolo
La storia è dedicata a Luigi Rocco per la sua generosa donazione. Sostieni anche tu Storie di Napoli!