Piazza Di Vittorio a Capodichino è un luogo muto. Si sente che c’è qualcosa di strano, fra i suoi 9 obelischi grigi e quello strano edificio monumentale, ma non c’è spiegazione apparente nella normalità del traffico che va verso Calata Capodichino o verso l’Aeroporto Ugo Niutta.
Questa piazza, che sembra così diversa dall’anonimato dei palazzi di Capodichino, era in realtà l’antica dogana di Napoli, per giunta la più importante della città. C’era infatti l’ingresso del “Muro Finanziere” costruito da Ferdinando I per combattere i fenomeni di contrabbando e fu ristrutturata nel modo in cui la vediamo oggi da Ferdinando II di Borbone. Presto sarà anche la fermata della Metropolitana.
A cosa servono gli obelischi di Piazza Di Vittorio?
Sono di ornamento. Un tempo in questa piazza, al posto del traffico verso l’estero, c’era una lunga coda di mercanti e contadini che erano tenuti a dichiarare alla dogana i propri beni da importare a Napoli, pagando le tasse. Era infatti lo snodo principale fra le province a nord di Napoli (l’attuale via Francesco De Pinedo era l’inizio della Strada Sannitica che portava a Benevento e Telese) e l’ingresso in città. Questo dettaglio lo scopriamo ad esempio nel palazzo monumentale che oggi è un edificio comunale, mentre un tempo era la Scuola Elementare Ludovico Ariosto.
Proprio per valorizzare l’importanza della piazza, Ferdinando II di Borbone decise di realizzare un profondo restyling nel 1848, facendo costruire l’edificio. Fu invece sotto il regno di Francesco I che l’architetto Stefano Gasse realizzò l’edificio del Muro Finanziere.
Chi era Giuseppe Di Vittorio?
Il personaggio che ha dato il nome alla piazza, che un tempo si chiamava semplicemente Piazza Capodichino, ricorda la storia di uno degli uomini più importanti della storia della lotta sindacale in Italia.
Nacque come bracciante semianalfabeta a Cerignola, in Puglia e passò la sua intera vita a combattere a favore degli oppressi, sin dai tempi della guerra civile spagnola, in cui partecipò come volontario a favore dei repubblicani. Poi tornò in Italia, con un’intensa attività politica che lo caratterizzò . Fu anche uno dei padri costituenti, dove contribuì con la sua esperienza a stendere la parte della Costituzione relativa al lavoro.
Dopo la guerra diventò nel 1949 il presidente della Federazione Sindacale Mondiale. Fu uno dei massimi esponenti del Partito Comunista Italiano e diventò il più amato presidente della CGIL, che era il più grande sindacato d’Italia. Con Napoli non ebbe molto a che fare, se non in comizi operai, ma è senz’altro motivo d’orgoglio poter vantare in città una Piazza Di Vittorio.
Un attentato a Ferdinando II
Il giorno che cambiò la storia di Piazza Di Vittorio arrivò nel 1856. L’Italia era ormai una polveriera di correnti politiche che operavano nell’ombra per raggiungere l’unità nazionale e il Regno delle Due Sicilie stava ormai contando i suoi ultimi giorni.
All’epoca di Ferdinando II di Borbone, la zona di Capodichino era il “Campo di Marte“, un’area della città usata per le esercitazioni militari. Ed il re, l’8 dicembre 1856, stava passando in rassegna le truppe nel giorno dell’Immacolata Concezione, quando un soldato uscì improvvisamente dai ranghi e cercò di spararlo con il suo fucile. Il colpo non partì per miracolo e allora si lanciò con la baionetta, ferendolo al petto.
Milano fu impiccato a Piazza Mercato il 13 dicembre 1856 e il re, per essere scampato all’attentato, fece costruire la Chiesa dell’Immacolata che ancora oggi si trova alle spalle di Piazza Di Vittorio.
-Federico Quagliuolo
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Riferimenti:
Romualdo Marrone, Le strade di Napoli
Giacinto de’ Sivo, Storia del Regno delle Due Sicilie dal 1847 al 1861
https://www.raicultura.it/storia/articoli/2019/01/Giuseppe-Di-Vittorio-dbbec512-cf67-48e0-bc2d-9174c5c3e65c.html