Il Tondo di Capodimonte e le scale della Principessa Jolanda sono un luogo incantevole della città che nacque grazie alla testardaggine di un architetto.

Il percorso urbano da Capodimonte al Centro Storico regala infatti panorami mozzafiato grazie a un progetto di Antonio Niccolini, architetto molto caro ai Borbone, che fu paradossalmente osteggiato dal ministero di Francesco I.

C’è anche una curiosità: la piazzetta che precede le scale ha un odonimo quasi unico in Italia: si chiama infatti “Tondo” e non “piazza” o “largo”. C’è solo a Catania un luogo con lo stesso nome: il “Tondo Gioeni”.

I giardini della Principessa Jolanda
Giardini della Principessa Jolanda. Tutte le fotografie sono di Federico Quagliuolo, tutti i diritti di utilizzo sono riservati.

Il Tondo di Capodimonte, un’opportunità di espansione

Il primo a intravedere le potenzialità di un’espansione a Capodimonte fu Gioacchino Murat. Fu infatti sua l’idea di creare il “Corso Napoleone“, che doveva essere un’espansione di Santa Teresa degli Scalzi, che finiva con uno strapiombo sulla Sanità. E fu sempre lo stesso Murat ad ordinare la costruzione del Ponte della Sanità, che cambiò completamente il modo di vivere gli spazi cittadini: la Sanità, che era un quartiere in pieno fermento sul finire del XVIII secolo. Prima del ponte era l’unico modo per risalire Capodimonte e giungere alla Reggia, dopo il ponte si ritrovò improvvisamente tagliato dalla vita cittadina e dalle attenzioni dei Re.

Il Corso Napoleone (poi Corso Amedeo di Savoia, dopo l’Unità d’Italia), rimase a sua volta incompleto a causa della caduta di Gioacchino Murat. Fu Francesco I di Borbone a riprendere in mano i progetti passati circa 10 anni dopo. Come solitamente d’uso presso la corte borbonica, decise di far realizzare un accesso a capodimonte monumentale e panoramico, sfruttando anche la prospettiva creata dal corso.

Giardini Principessa Jolanda Tondo di Capodimonte
I giardini della Principessa Jolanda e il Tondo di Capodimonte dall’alto

Una nascita molto travagliata

L’architetto selezionato dal Re fu Antonio Niccolini, che ebbe l’appalto per diverse grandi opere della nobiltà e della corona napoletana. Oggi lo chiameremmo “archistar“: possiamo giusto pensare a lavori come la ricostruzione del Teatro San Carlo e la progettazione della Villa Floridiana, senza contare le innumerevoli opere di restauro e ricostruzione di tenute nobiliari in giro fra Napoli e Campania.

Era il 1826 quando ricevette l’incarico assieme a Tommaso Giordano ed era chiaro a tutti, urbanisti e politici, che andava creato un collegamento rapido fra il centro e la collina, per favorire lo sviluppo urbano. Il problema è che ognuno aveva un’idea diversa.

Il progetto originale proposto da Niccolini prevedeva una scalinata monumentale con un giardino contenente “ogni rara specie di piante arboree“, capace di creare “una delizia di passeggiata“. Allo stesso tempo le grotte di tufo, che ancora oggi caratterizzano Capodimonte, dovevano essere preservate e diventarono parte dello stesso giardino che doveva estendersi fino all’inizio di Viale Colli Aminei nei piani originali. Possiamo dire che fu realizzato per metà.

Il ministro di ponti e strade, quando vide la proposta dell’architetto del Re, bocciò l’idea. La trovava inutilmente costosa, anche perché sarebbe stato ben più remunerativo vendere i terreni a privati e creare una semplice scalinata per il popolo, vicino a un piccolo spiazzoin cui piantare tutte le piante rare di cui parla il Sig. Niccolini“. Una frase che lascia ben intendere la bassa stima verso il progetto.

Scalinate di Capodimonte
Le scale di Capodimonte

La determinazione di Niccolini

L’architetto Niccolini era però particolarmente affezionato al suo progetto, tanto da seguirlo fino alle estreme conseguenze: portò in tribunale il ministero e perse la causa. Decise però di non fare appello. La questione giudiziaria giunse alle orecchie del nuovo sovrano, il giovane Ferdinando II, che più volte cercò di trovare inutilmente una conciliazione fra le parti. Nel frattempo, a beneficiarne furono i due fratelli Meuricoffre, che comprarono una porzione del terreno destinato al giardino e costruirono una bellissima villa, che fu abbattuta negli anni ’70 del ‘900 per costruire l’attuale facoltà di teologia. Costruirono anche una seconda villa gemella, Villa Domi, che invece è sopravvissuta. Gli altri terreni rimasero invece nelle mani dei numerosissimi enti religiosi che si spartirono la zona.

Niccolini, sconfitto anche dinanzi al giudice, pur di non far fallire il progetto della sua scalinata monumentale decise di impegnarsi personalmente per realizzare la scala: vendette alla Real Casa parte della sua collezione di antichità per assicurarsi la proprietà del terreno sul quale realizzare il progetto dell’attuale Scala principessa Jolanda. E di nuovo si mise di traverso il Corpo di Ponti e Strade, che realizzò con estremo ritardo i lavori di propria competenza sul Tondo di Capodimonte.

Alla fine, fra interventi del Re per sollecitare l’esecuzione dei lavori pubblici e il 1836, 10 anni dopo dall’inizio dei lavori, e finalmente l’opera fu inaugurata.
Insomma, possiamo dire che la litigiosità in tribunale che blocca le opere pubbliche è una caratteristica insita nel DNA italiano.

Giardini principessa Jolanda Capodimonte Tondo di Capodimonte
Un’altra prospettiva dei giardini, si intravedono in fondo le transenne dei lavori

Una scalinata che cambiò Capodimonte

Dalla fontana sul Tondo di Capodimonte alla scalinata Principessa Jolanda, l’opera rivoluzionò completamente la Storia del quartiere: i collegamenti diretti con i Colli Aminei e con la Reggia velocizzarono gli scambi commerciali con il piccolo borgo di Capodimonte e facilitarono anche le comunicazioni con la parte nord della città. Allo stesso modo, la scalinata fu dotata di un belvedere, che oggi è rimasto abbandonato, ed era dotata di piccoli sedili di pietra ad ogni rampa di scale, con alla fine un piccolo piazzale con al centro un albero, oggi sopravvissuto in condizioni pressoché identiche a 200 anni fa. In realtà quest’albero non doveva essere presente nei progetti originali: l’architetto aveva immaginato un obelisco in stile neoegizio: notiamo questo dettaglio anche dalla presenza di due decorazioni con geroglifici e teste di sfinge proprio all’inizio della scalinata, all’altezza del Tondo di Capodimonte. Questo stile lo ritroviamo nel Mausoleo Schilizzi.

I giardini tanto sognati da Antonio Niccolini, insomma, furono realizzati solo parzialmente. La parte anteriore della scalinata è infatti un piccolo parco con un giardino all’inglese, purtroppo preda oggi di abbandono e incuria.

Scale della Principessa Jolanda canopi egizi Tondo di Capodimonte
Canopi egizi che decorano le scale della Principessa Jolanda, si vedono gli edifici originali del Tondo di Capodimonte

E la principessa Jolanda?

Rimane un’ultima domanda: cosa c’entra la principessa Jolanda di Savoia, titolare del giardino e delle scalinate?
Nulla.
Le scalinate e i giardini furono infatti intitolati alla figlia primogenita di re Vittorio Emanuele III nel 1907: la principessa fu particolarmente riverita in tutta Italia (anche perché inizialmente si pensava sarebbe diventata regina d’Inghilterra con un matrimonio combinato dalla nonna. Iolanda invece fece una scelta d’amore e sposò un ufficiale di cavalleria) e anche le amministrazioni di Napoli vollero intitolarle un luogo della città.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Giancarlo Alisio, Alfredo Buccaro, Napoli Millenovecento, Electa Editore
Alfredo Buccaro, Gennaro Matacena, Architettura e urbanistica dell’età borbonica, Electa Editore, Napoli, 2004
Enciclopedia De Agostini, Antonio Niccolini

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