“Vittima del dovere“. In tre parole è raccontata la storia del sindaco di Aversa Giuseppe De Lieto. Si trovano scritte sulla targa all’inizio della strada che Aversa gli ha dedicato colpevolmente più di cent’anni dopo la sua morte, in quella che un tempo era “Via dell’Agricoltura”.
Il sindaco de Lieto fu per davvero vittima del suo dovere: fu infatti ucciso nel 1910 in un attentato, con l’unica colpa di essere troppo onesto.
Negò infatti un sussidio economico a un pregiudicato che, tramite raccomandazioni, viveva da anni a spese del Municipio in cambio di voti a favore di questo o quel politico.
Questa azione fu un vero sgarbo per Angelo Vitale, che era un guappo noto dalle parti di Aversa, che, furioso per aver perso il suo “diritto”, si vendicò brutalmente.
Giuseppe de Lieto, un uomo nobile
Il sindaco de Lieto era nobile sia di cuore che di lignaggio: era infatti l’ultimo rampollo di una famiglia aversana di antichissima tradizione: nacque il 2 febbraio 1869. Dal padre, Gennaro, aveva ereditato il titolo di duca e l’amore per la giurisprudenza, che frequentò a Napoli laureandosi a pieni voti. Poi tornò ad Aversa perché era legatissimo alla sua terra: fu un avvocato molto apprezzato.
Fu ad Aversa prima viceprefetto e poi sindaco, dal 1907 al 1910. Durante il suo mandato fu molto ambiguo nei suoi schieramenti politici e riuscì ad ottenere l’antipatia di tutti i potentati della zona aversana. Si distinse anche per le sue attenzioni durante l’emergenza di colera che colpì la zona del casertano nel 1907.
La storia per cui è ricordato, però, è legata ad una cosa che apparentemente ci sembrerà una sciocchezza. Si presentò infatti un giorno al comune un tale signor Vitale, da poco scarcerato. Chiedeva un impiego al comune di Aversa. Anzi, lo pretendeva in virtù delle sue raccomandazioni e di amici potenti che vantava.
Il sindaco rigettò la richiesta e l’uomo di tutta risposta cominciò ad andare in escandescenze perché “non sapeva come mangiare“. Il sindaco decise di offrirgli dei soldi personalmente, per dargli la possibilità di rifarsi una vita. Non bastarono.
Ma Vitale voleva quel posto comunale. O almeno un sussidio. E allora cominciò a inviare minacce di morte al sindaco che, preoccupato, avvisò le forze dell’ordine senza essere ascoltato.
La storia non finì bene.
Un grande intrigo politico
La politica aversana dei primi del ‘900 era una vera cancrena. Fu descritta nella relazione del prefetto di Caserta richiesta dal Parlamento dopo la morte del sindaco di Aversa. A dir la verità, i giornali vicini al mondo socialista come “La Propaganda” da anni denunciavano il sistema di potere fra politica e camorra, con nomi potentissimi che gestivano pacchetti di voti in ogni città in cambio di impieghi pubblici, sussidi e raccomandazioni.
Aversa era contesa fra gli accoliti di Peppuccio Romano e i lacchè del marchese Gerardo Capece Minutolo di Bugnano, che da un decennio davano spettacolo per episodi di violenza in tutto l’agro aversano.
Spiega lo storico Paolo De Marco che il Prefetto, incalzato dal presidente del Consiglio Luigi Luzzatti, spiegò che l’area dei Mazzoni (fra Sessa Aurunca e Aversa) era in piena emergenza camorrista e che i politici locali, specialmente ad Aversa, Acerra e Nola, ingaggiavano camorristi “per guadagnare terreno con i mezzi più riprovevoli e riprovati“.
Ma la morte di Giuseppe de Lieto era “un fatto isolato dovuto alla brutale malvagità di un degenerato”. Il che era vero. Ma era solo la punta di un iceberg gigantesco fatto di corruzione e criminalità, dove addirittura una raccomandazione in Comune era considerata un diritto.
L’attentato al sindaco
Era la mattina del 17 novembre 1910 e, mentre Napoli stava per essere sconvolta dai fatti del Processo Cuocolo, la criminalità aversana nessuno se la filava e vivacchiava serenamente fra amicizie politiche e gestione dei mercati. Giuseppe de Lieto, particolarmente mattiniero, dopo la consueta camminata mattutina stava avviandosi per Via Umberto I per andare al Municipio. Erano le 9 del mattino e una figura losca lo seguiva con passo costante. Non se ne accorse.
“Loro non mi danno da mangiare? Embè? Io levo la vita a uno di loro“
L’assassino Angelo Vitale nell’interrogatorio dopo l’arresto
Il sindaco era ormai a Piazza San Domenico (il Municipio si trovava all’incrocio fra Via San Domenico e Via del Plebiscito) quando, improvvisamente, spuntò proprio Nicola Vitale con un coltello. Infilzò con decisione de Lieto e scappò via, lasciandolo in una pozza di sangue.
L’uomo agonizzante fu portato in fretta in ospedale, ma la sua vita riuscì a durare solo ulteriori tre giorni, essendo i suoi organi vitali ormai compromessi. In quei tre giorni, sul letto d’ospedale, ebbe il coraggio di dire “perdonate il mio uccisore“.
Morì a 41 anni per colpa di un impiego comunale non concesso.
E la politica? Litigò.
La morte del sindaco Giuseppe de Lieto non lasciò nemmeno lo spazio del lutto della cittadinanza, che accorse al Duomo per il funerale. Tra le persone vestite di nero in quel luogo sacro, c’erano due che se la ridevano sotto i baffi: i due protagonisti della politica aversana erano abbastanza felici per la dipartita del sindaco. L’onorevole Peppuccio Romano e il marchese Capece Minutolo, con i rispettivi sostenitori, sfruttarono la tragedia per accusarsi a vicenda di essere vicini alla camorra, un po’ come il bue che dice cornuto all’asino.
La notizia della tragedia, nel frattempo, giunse sulle prime pagine dei giornali di tutta Europa e fu un grande imbarazzo anche per Giolitti che, incalzato ancora di più dai suoi avversari politici, fu costretto a chiedere spiegazioni per ottenere una testa da condannare.
Già Napoli, d’altronde, gli aveva dato numerosi problemi una decina di anni prima, a causa dell’inchiesta sulla Camorra Amministrativa.
La soluzione? Molto italianamente, non si trovò. Nessuno spiegò mai perché la polizia non gli diede una scorta o non presidiò mai le strade di Aversa, nonostante il sindaco avesse denunciato numerose volte le minacce di morte ricevute.
Si spiegò l’omicidio come una casualità dovuta alla “depravazione morale dei cittadini aversani“, considerati “ignoranti, apatici, amorali e dotati di scarso spirito civile“, come descritto nella relazione del Prefetto di Caserta.
Un nome addirittura dimenticato
Dovremo aspettare il 1927 per ritrovare di nuovo. Fu Benito Mussolini a parlarne nel suo “discorso dell’ascensione“, spiegando di aver “definitivamente sconfitto la Camorra in Campania” grazie ad una vera e propria guerra portata avanti dai Carabinieri. Possiamo dire che le cose non andarono proprio così. Anzi, proprio in quel periodo fu inaugurata una statua e una strada alla complessa figura dell’onorevole Pietro Rosano, suicidatosi nel 1903 dopo una serie di attacchi personali in cui si parlava delle sue amicizie, mai dimostrate, nel mondo della camorra aversana.
Serviranno poi ben cent’anni dopo la morte del sindaco Giuseppe de Lieto per smuovere qualcosa: era il 2012 e il sindaco di Aversa decise di ricordare la storia di un uomo che, incredibilmente, nell’annuario dei primi cittadini era addirittura indicato erroneamente come “Pietro Leto”. Pochi anni dopo gli fu anche intitolata una piccola strada residenziale, per ricordare un uomo di Stato che, per dovere d’onestà, perse la vita schiacciato da una cancrena che ancora oggi affoga le nostre terre.
-Federico Quagliuolo
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