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La violenza sulle donne è una storia, ahinoi, antica. Fra le botte di bruti senz’anima, l’umiliazione al di fuori delle mura di casa e quell’atroce e straziante sensazione di non essere creduti, il criminologo Abele De Blasio nei suoi studi riporta nel dettaglio gli atti di un processo avvenuto nel 1895 contro un giardiniere di Casoria che uccise la moglie dopo anni di violenze e umiliazioni.

Una storia che sembra più attuale che mai ma, ai tempi in cui avvenne, non destò particolare scandalo se non per la particolarità che fu coinvolta una fattucchiera per realizzare il veleno.

Tutto nacque da un tradimento

Tutto comincia nel centro di Casoria, che all’epoca era un casale di Napoli di 9000 abitanti. La vittima della vicenda era una donna adulta e già sposata, tale Anna Cimmino.

Ormai più che cinquantenne, conduceva un matrimonio tranquillo e infelice concordato da giovane “per sistemarsi” con un uomo più anziano, ma ricco. Nelle sue noiose giornate fu sorpresa e piacevolmente colpita dalle avances di un giovane giardiniere, Vespasiano Giuseppe di Carmine, che era suo compaesano: cominciò una tresca segreta che durò fino alla morte del primo marito. Fu così che la donna ebbe il via libera per sposarsi di nuovo.

Violenza sulle donne casoria quadro
Violenza sulle donne, un problema mai risolto

Dal matrimonio alle violenze

Il matrimonio fece discutere tutto il paese: Anna Cimmino era infatti molto più grande di lui ed era abbastanza strana per la moralità dell’epoca un’unione di questo genere.

Tutto sommato, però, il primo anno di matrimonio andò bene e il marito fu ben contento di godersi le sue 2000 lire di dote, scialacquandole in taverne e nell’amante, Agata Croc, che frequentava contemporaneamente sia il fratello della povera Anna che il marito.

Poi arrivarono le prime violenze, con percosse e botte, con urla di dolore e lividi che svegliavano il paese anche in piena notte. I testimoni del processo, che avvenne quasi 10 anni dopo, si dissero “indignati e inorriditi” verso le violenze del signor Vespasiano, ma quando l’uomo menava le mani nessuno mosse un dito.

Anzi, quando la signora Cimmino mostrava i suoi lividi e le ferite ai vicini, rifugiandosi nelle loro case per giornate intere cercando di non vedere l’uomo al quale aveva giurato amore eterno sull’altare, giunto il crepuscolo era con cortesia invitata a tornare nella casa coniugale. E il mostro, suo marito, perdeva la testa nell’immaginare chissà quali “calunnie” fossero state dette sul suo conto. La povera moglie fu vista in inverno dormire per settimane intere in mezzo alla strada per assurde punizioni, altre volte la si sentiva piangere e singhiozzare per notti intere.

Di giorno continuavano incessanti le richieste d’aiuto ai vicini e al resto della città, ma se la cavava con poche frasi di compatimento. Il marito, chiamato dai vicini a discuterne pacificamente, spiegò che la moglie lo stava calunniando e lo stava infamando per aiutare suo fratello e colpire l’amante. Cacciò allora la moglie di casa e lei, senza un tetto, senza nessun aiuto e senza nemmeno mangiare, visse per giorni interi per strada.

Alla fine la donna cedette e chiese di tornare in casa: in una domenica di messa, nei pressi della chiesa del Carmine, la signora Anna fu costretta a subire l’umiliazione peggiore: si dovette inginocchiare davanti all’amante di suo marito chiedendole scusa dinanzi all’intera cittadinanza, nella speranza di essere riammessa in casa dal marito violento e traditore. Le violenze cessarono per un po’ e i vicini si rallegrarono ipocritamente perché, dopo l’episodio, “vedevano la donna finalmente felice vicino al marito“.

Le violenze diventano sempre più estreme

Improvvisamente l’uomo cambiò idea, incalzato forse dall’amante o forse perché non ne poteva più di sentir parlare male di lui.

Decise che era giunta l’ora di farla finita: un giorno, raccontano i testimoni, la donna fu vista correre per le strade di Casoria urlando e chiedendo aiuto, poi cadendo per strada in preda a spasmi. Era stata avvelenata, ma l’intervento tempestivo di un medico la salvò.

Tempo dopo “cadde” dal balcone di casa e per pura fortuna se ne uscì con un braccio fratturato. Ai vicini preoccupati, il marito spiegò costernato che la donna aveva tentato più volte di suicidarsi.

Alla fine arrivò il colpo finale: durante un pranzo, Vespasiano mandò la moglie a comprare del vino in una bettola sotto casa: mentre la commerciante si complimentava con la donna per la pace fatta con il marito e le augurava un felice matrimonio, l’uomo stava approfittando della breve assenza per avvelenare la minestra della moglie. Quando tornò in casa, donna Anna fu costretta dall’uomo a mangiare tutto.

La sua vita finì in un letto fra spasmi, vomito, dolori di stomaco e febbre altissima: stavolta il veleno non la risparmiò e le cure non furono efficaci.

Castel Capuano
Il processo si svolse, come sempre, a Castel Capuano

Il processo e i testimoni

Servì solo la morte della signora Anna per far scattare l’indignazione generale: tutta la città di Casoria si rivoltò contro il signor Vespasiano ed arrivò una fiumana di testimoni a Castel Capuano, per raccontare tutte le sue nefandezze. In sua difesa, l’uomo disse solo che la moglie soffriva di depressione ed aveva cercato più volte di suicidarsi. Anzi, si racconta che al funerale il marito pianse a singhiozzi, baciando disperatamente il volto e l’addome della donna.

Le indagini dell’autorità giudiziaria ricostruirono la dinamica che portò alla morte della donna: secondo l’accusa, il veleno era stato procurato da Agata Croc, che si era rivolta ad una nota fattucchiera di Casoria. L’amante poi l’aveva somministrato a sua moglie, dopo altri tentativi falliti di omicidio. Delle violenze non se ne fa menzione nel carico d’accusa, ma dobbiamo immaginare che all’epoca non esisteva la sensibilità moderna sul tema delle violenze domestiche.

Furono i tantissimi testimoni, usciti ormai a tempo scaduto, a garantire la condanna del giardiniere di Casoria per omicidio con l’aggravante della premeditazione, mentre Agata Croc e la fattucchiera furono rimesse in libertà e assolte per insufficienza di prove.

Un’ordinaria storia di violenza sulle donne

Si chiude così, con una sentenza di condanna del 15 giugno 1895, una piccola e ordinaria storia di quelle violenze atroci dietro le porte di casa, di quelle che, come un segreto di Pulcinella, sono conosciute da tutto il paese e addirittura volutamente e ipocritamente ignorate le botte, i pianti e i dolori di una donna che fu umiliata davanti all’intera città.

Finì tragicamente la vita della signora Anna, vittima di una esistenza sfortunata e infelice. Sopravvive però la sua storia che, in tempi nuovi e progrediti, serve ancora oggi a farci riflettere sulle conquiste fatte sul tema della violenza sulle donne e sui femminicidi e quanta strada, ancora, ci sia da percorrere prima che spariscano per sempre i mostri con la maschera dell’amore.

-Chiara Sarracino

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