Nella sacrestia di San Domenico Maggiore troviamo le “arche aragonesi”, i monumenti sepolcrali dei re catalani che dominarono Napoli nel XV secolo.
La sacrestia fu edificata nel 1477 su parte dell’area originariamente occupata dalla chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa; le sepolture dei re aragonesi dopo essere state conservate sino alla fine del Cinquecento nell’abside della chiesa, come scrive Carlo Celano, sono state trasferite qui e fatte restaurare nel 1594 dal viceré Giovanni di Zunica per ordine di Filippo II, re di Spagna.
I reali aragonesi, che governarono il Regno di Napoli dal 1442 al 1501, fecero di questo luogo il loro pantheon privato, costituendo nei secoli successivi un complesso funerario tra i più importanti dell’Italia meridionale.
L’ultima casa di uomini illustri
Nel XV secolo le arche aragonesi di Alfonso e Ferrante furono poste dunque nell’abside della basilica di San Domenico Maggiore, sulla parete accanto all’altare maggiore; sul loro esempio i corpi di molti altri personaggi illustri, come re Ferrandino e la regina Giovanna, o ancora Isabella Sforza d’Aragona e Francesco Ferrante d’Avalos e di altri meno noti, trovarono la loro collocazione nello stesso luogo. I numerosi incendi che nel corso del Cinquecento interessarono l’abside e l’intervento di Papa Pio V, che nel 1568 fece togliere dalle chiese questi depositi lignei (che costituivano un serio rischio di incendi e che creavano effetti di poco decoro) furono decisivi per lo spostamento delle arche. Nel caso di San Domenico non si vollero ovviamente seppellire dei corpi tanto illustri e quindi si procedette all’imbalsamazione e alla loro ricollocazione.
Una somma di ristrutturazioni
La sacrestia, almeno fino al Seicento, non doveva segnalarsi per peculiarità artistiche; è nel 1709, con l’intervento generale promosso dal marchese Giovan Domenico Milano che assume la fisionomia che tuttora conserva.
A questa data le arche sepolcrali degli aragonesi già si trovavano in sacrestia anche se con una disposizione del tutto differente. Fu nell’ambito di questa ristrutturazione complessiva che venne realizzato il ballatoio ligneo, con balaustra e baldacchino continui su tre lati; su questa struttura creata ad hoc furono quindi disposte le arche in due file sovrapposte.
Nello stesso anno (1709) la volta della sacrestia fu decorata con il grande affresco di Francesco Solimena, raffigurante la Fede cattolica che trionfa sull’eresia per opera dell’Ordine domenicano. Pochi anni dopo (1713-1715) veniva completata anche la decorazione della cappella Milano con gli affreschi di Giacomo Del Po; sulle pareti laterali vediamo i medaglioni con i ritratti funerari di Giovan Domenico e di suo padre Giacomo Milano. A completare l’arredamento della sacrestia troviamo i bellissimi armadi in radica di noce del beneventano ed i tavoloni dei banchi in quercia di Calabria, progettati ed eseguiti contestualmente al ballatoio delle arche.
Le arche aragonesi: colori diversi per ospiti diversi
Le arche aragonesi sistemate sulla balaustra della controfacciata sono ricoperte da stoffa bianca, in questo modo si distinguono dalle altre, decorate invece da stoffe di diversi colori, poiché appartengono ai quattro sovrani aragonesi qui sepolti: partendo da sinistra, troviamo l’arca di re Alfonso I di Napoli il capostipite della dinastia, la quale però è vuota perché come da testamento il corpo del re fu trasferito nel 1666 nel monastero spagnolo di Santa Maria di Poblet; a seguire, troviamo le casse sepolcrali di suo figlio Ferrante I (o Ferdinando I) morto nel 1494 e quella del pronipote re Ferrandino (o Ferdinando II), morto forse nel 1498. L’ultima, color avorio, appartiene alla regina Giovanna IV, morta nel 1518.
A partire dagli anni ’80 del Novecento i corpi conservati nelle arche aragonesi sono stati esaminati dai ricercatori della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa; sono stati esplorati 38 dei 42 sarcofagi collocati nella sacrestia e grazie alla datazione al radiocarbonio e alla dendrocronologia è stato possibile identificare con certezza 18 individui, altri sono stati identificati in modo incerto, per altri ancora manca l’identificazione perché si tratta di deposizioni secondarie o rideposizioni, un’arca conteneva addirittura due corpi e altre invece erano vuote.
Dove è stato possibile, le vesti dei corredi funebri sono state recuperate per essere poi restaurate ed esposte nella Sala degli arredi sacri, dove ancora oggi è possibile vederle.
-Anna Cozzolino
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