Immaginiamo di entrare in una casa con statue troppo reali per essere state scolpite da qualcuno, maniglie fatte da reali mani umane, ossa, animali e addirittura il busto tagliato a metà di una adolescente. Non è la Famiglia Addams, ma la villa napoletana di Efisio Marini, un medico sardo ossessionato dalla pietrificazione degli esseri umani.
Molti lo consideravano pazzo, altri strano, altri ancora un fanfarone. Frustrato dalle dicerie sul suo conto, voleva dimostrare di essere il nuovo Principe di Sansevero, l’Uomo che aveva sconfitto la morte pietrificandola come Medusa.
In cuor suo diceva di essere lo scienziato migliore del secolo, che aveva trovato il primo modo di bloccare i processi della natura. Nel frattempo, regalava ai suoi ospiti parti di corpo umano pietrificate, creò addirittura un tavolino fatto di ossa, parti di cervello, bile e sangue pietrificato. Con un piede a far da centrotavola.
La sua formula segreta per pietrificare e “resuscitare” i cadaveri, però, la portò nella tomba per dispetto.
Per non urtare eccessivamente la sensibilità dei lettori, nell’articolo saranno risparmiate fotografie di bambini, neonati o esseri umani tagliati a metà e pietrificati. Alcuni di questi si possono trovare nel Museo Anatomico di Napoli, oppure in quello di Sassari o ancora a Parigi.
I primi esperimenti
La storia del nostro Efisio Marini cominciò a Cagliari, nel lontano 1835. Era un giovane di buona famiglia, ambizioso e con un’intelligenza assolutamente fuori dal normale: a soli 25 anni aveva già conseguito due lauree nella prestigiosissima Università di Pisa ma, come tutti i figli della Sardegna, il giovane Efisio aveva un legame speciale con la sua terra e desiderava solo tornare lì: rinunciò quindi alla carriera in Toscana e decise di far l’assistente per il museo di storia naturale della sua città natale.
Proprio mentre il giovane sistemava le collezioni della sezione di paleontologia, la sua curiosità cadde sui fossili: come potevano essersi conservati così perfettamente reperti organici risalenti a millenni fa? Ed essendo la vita, dopotutto, un procedimento chimico, è possibile invertirlo e riportare in vita i fossili? Bisognava scoprirlo, superando i limiti morali e religiosi che hanno sempre vincolato gli scienziati del passato. Cominciò le sue ricerche in solitudine .
Quando si concentrava nella lettura entrava in uno stato di trance e rompere la concentrazione significava litigare furiosamente: per questa ragione i suoi colleghi cominciarono a detestarlo: già la sua nomea di “studente prodigio” non deponeva affatto bene. Ma lui andò avanti: aveva un tarlo nella testa e doveva portare a termine le sue ricerche, anche col mondo contro. Voleva dimostrare di essere lui una sorta di “eletto”.
Si può fare!
Gli studi di Efisio Marini procedevano a gonfie vele, ormai la notte e il giorno erano un tutt’uno: sempre piegato sui libri, con occhiaie enormi e il cervello a mille. Cominciò ad annotare con precisione tutti i processi chimici che portano un essere organico alla decomposizione. Cercò di invertirli e provò prima con piante, poi con piccoli animali. Cominciarono così le prime uccisioni: “è per la scienza“, diceva lui. Ma anche per le sue ambizioni personali.
Gli esperimenti andavano così bene che decise di fare il grande passo: provare il suo siero su un essere umano. Andò al cimitero di Cagliari e decise di riesumare un povero sconosciuto che, nottetempo, portò nella sua casa. Era giunto il momento della grande prova.
La giovane sposa di Efisio dormiva, così come sua figlia. Lui era nella sua stanza con un cadavere di uno sconosciuto. Gli segò un braccio e lo immerse in un siero segreto. Le articolazioni si sciolsero e la pelle assunse un colore quasi naturale: l’esperimento funzionava!
Aveva sviluppato due sieri: con una immersione trasformava in pietra i cadaveri, con un altro bagno scioglieva le articolazioni e li faceva tornare normali.
Efisio Marini, ormai trentenne, si fiondò all’Università di Cagliari per sottoporre la sua scoperta, ma suscitò solo reazioni di sdegno da parte dei colleghi che, anziché apprezzare la trovata scientifica del medico, cominciarono a farsi il segno della croce. Cominciarono a circolare voci sinistre sul suo conto: era un rapitore di bambini? O un mangiatore di cadaveri? Era un adepto del Diavolo?
La cattedra da docente a Cagliari di certo non la ottenne.
Cercò allora di stupire tutti: nel 1866 decise di riesumare il cadavere di Pietro Martini, illustre storico di Cagliari, e lo sottopose al procedimento “rivitalizzante”. Poi lo vestì, gli diede una carta in mano e gli fece scattare una foto dal suo migliore amico, il fotografo Agostino Lay Rodriguez.
Consegnò la fotografia del parente morto alla famiglia, ma la stampa lo trattò come un fenomeno da baraccone. Un politico locale disse: “ma non era meglio impiegare tutto quel tempo per costruire una strada?“
L’esilio di Efisio Marini a Napoli
Umiliato, disgustato, furioso, fuori di sé per la sua Ingrata Patria, per dirla come Scipione, a trent’anni si autoesiliò dalla Sardegna. Portò via tutto e si diresse a Napoli con un biglietto di sola andata. In città diventò medico presso l’Ospedale degli Incurabili: superò i concorsi con un’agilità disarmante, aiutato dal suo cervello che viaggiava ad una velocità decisamente superiore rispetto alla media. Conobbe Libero Bovio e, più tardi, diventò amico anche un giovanissimo Salvatore Di Giacomo. Ma nella sua testa rimaneva solo la sua Sardegna.
In città continuò gli esperimenti sulla pietrificazione dei cadaveri e possiamo ben immaginare che, data la scaramanzia dei napoletani, nemmeno nell’ambiente accademico locale dovesse essere ben visto, anche se proprio in quegli anni circolava nell’università un certo Antonio Cardarelli, fra i migliori medici d’Italia. E poi eravamo in piena epoca positivista, dove c’era nell’aria la ferma convinzione che l’Uomo è padrone dell’Universo e la scienza è un mezzo senza alcun confine, compreso quello della vita.
Ancora oggi nel cimitero di Poggioreale ci sono cadaveri segretamente pietrificati da Marini o arti amputati segretamente e portati in laboratorio. Sappiamo che pietrificò personaggi del calibro di Luigi Settembrini, e il marchese d’Afflitto, che portò come un trofeo a Vienna, Londra, Parigi, Milano, Torino e Roma. Addirittura pietrificò anche il sangue di Garibaldi, quando fu ferito in Aspromonte, modellandolo a forma di medaglione con tanto di incisione: “il sangue di Garibaldi arrossisce eternamente“.
Un artista della morte
Le cose cominciarono a degenerare: nella sua casa decise infatti di incominciare a collezionare reperti umani. A volte erano mani, altre piedi. Poi cominciò ad accumulare organi pietrificati. E poi animali, pezzi di cani, gatti, bestie di ogni tipo.
Arrivò addirittura a tenere nel suo salone una neonata pietrificata, bianca come una bambola di porcellana.
Poi diventò artista: cominciò a creare tavolini e mobili con pezzi di essere umano.
Rimase solo nel suo spettrale museo della morte.
“Fissando il piede di questa donna pietrificata, bianca come il marmo di Paro, mi viene da pensare quanti uomini abbia fatto emozionare nei vortici insensati della danza“
Efisio Marini
Un novello Sansevero
A Napoli ebbe modo di conoscere le gesta del Principe di Sansevero, che diventò la sua anima guida: nei suoi studi il Cristo Velato era il suo vangelo, le Macchine Anatomiche la sua stella polare e le formule alchemiche più segrete erano una strada da seguire verso la salvezza della specie umana.
Perché forse proprio questo voleva raggiungere: il modo per fregare la morte, interrompere il ciclo naturale degli eventi che, da milioni di anni, regola le cose dell’esistenza terrestre. L’intento di Efisio Marini era quello di poter bloccare la decomposizione in modo tale da poter perfezionare la formula e, magari un giorno ridonare l’impulso vitale agli esseri umani. E nel frattempo era facile immaginare i tantissimi usi che la medicina avrebbe potuto fare di corpi perfettamente “funzionanti” anche dopo la morte.
Efisio Marini all’Esposizione Universale
Le voci su questo geniale pietrificatore di esseri umani cominciarono a girare in tutta Europa, tanto da incuriosire presto gli organizzatori dell’Esposizione Universale di Parigi del 1867: Efisio Marini fu invitato e nel suo stand riuscì a restituire la consistenza “viva” al piede di una mummia, morta più di 3000 anni prima. Fu uno stupore colossale.
La notizia giunse alle orecchie di Napoleone III che volle personalmente conoscere lo scienziato prodigio: dopo aver assistito al procedimento chimico, gli conferì la Legion d’Onore e lo invitò a rimanere in Francia, per continuare i suoi studi ed ottenere una prestigiosa cattedra a Parigi. Il prezzo? Rivelare la formula magica della pietrificazione.
Il dottor Marini fece le valigie e tornò subito a Napoli. In compenso, regalò all’Imperatore un tavolino fatto di pezzi di essere umano: orecchie, cervello, sangue, bile, fegato e altre cose. Ancora oggi questo complemento d’arredo esiste e si trova in Francia.
La morte e i misteri della formula della pietrificazione
Per quarant’anni il dottor Marini continuò imperterrito a perfezionare la sua formula della pietrificazione e dello scioglimento del corpo. Data la sua fama, cominciò ad essere contattato dai genitori di bambini persi precocemente che, con un desiderio degno di Black Mirror, volevano conservarli a casa come se fossero vivi. E allora lo scienziato si adoperò per soddisfare il loro bisogno.
Arrivato nell’età anziana tutto ciò che rimaneva nel suo cuore era solo un gigantesco odio verso il mondo scientifico italiano che, alla faccia del positivismo, lo dipinse come un pazzo necrofilo e pure mostro senz’anima e senza religione. Era stato coperto di lodi, premi e attestati di ammirazione internazionali, mentre l’Italia si limitò a nominare una commissione parlamentare per conferirgli un premio morale, a patto che…. rendesse di pubblico dominio la sua formula segreta.
Il gelosissimo scienziato rilanciò: lo avrebbe fatto, ma voleva la cattedra di Cagliari.
Niente da fare.
Credimi, mio buon signore, credilo: finirò per gettare tutto in mare!
Efisio Marini a Luigi Ferrara
Anche la morte di Efisio Marini è tutta un mistero. Morì in casa a Napoli, da solo e in condizioni di estrema povertà, l’11 maggio 1900. Non c’era donna che potesse amare un uomo che amava la morte più della vita stessa e non c’era più persona disposta ad ascoltare i deliri d’odio di un settantenne che ce l’aveva con il mondo intero, se non un caro amico: il professor Luigi Ferrara.
E infatti, prima della sua morte, ben pensò di bruciare la sua formula segreta della pietrificazione dei cadaveri: era riuscito a non cederla a nessuno per tutta la vita e nessuno l’avrebbe dovuta avere anche dopo la morte.
E morì così a Napoli, lontano dalla Sardegna che inseguì per tutta la vita proprio come il successo che non vide mai riconosciuto. Ironicamente non esiste nemmeno un busto di pietra alla memoria di questo scienziato.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
EFISIO MARINI E LA SOPRAVVIVENZA DEL CORPO | la porta aperta (laporteouverte.me)
Martini Pietro – Cimitero Monumentale di Bonaria – Cagliari (cimiterobonaria.it)
Esiste un sito web dedicato esclusivamente alla storia di Efisio Marini: Efisio Marini il Pietrificatore
MARINI, Efisio in “Dizionario Biografico” (treccani.it)
Antonio Maccioni, Efisio Marini e la conquista dell’eternità, Studi Sardi, Cagliari, 1992
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