Tutti ricordano l’imperatore Federico II come uno dei più importanti e stimati uomini della Storia. Eppure il suo passato fu tutt’altro che pacifico: il padre, Enrico VI di Germania, fu protagonista dell’assedio di Napoli del 1191, l’ennesima occasione in cui la città fu costretta a combattere fino allo stremo per mantenere l’indipendenza, ed anche del sacco di Salerno del 1194, occasione in cui invece distrusse completamente la città.
Insomma, l’ultima pagina del Regno di Sicilia cominciò con un vero spargimento di sangue.
Un’occasione ghiotta e un uomo dalle ambizioni immense
Tutto cominciò con un matrimonio: Enrico VI, il figlio del leggendario Federico Barbarossa, si sposò con Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II di Sicilia. Fu questo il pretesto che usò Enrico per scendere in Italia con l’esercito e reclamare il regno di Sicilia.
Enrico di Svevia ci viene raccontato come un uomo dall’intelligenza superiore, freddo, cinico, calcolatore. I contemporanei dicevano che era sempre di umore nero e la sua presenza incuteva timore e soggezione. Non a caso, i suoi contemporanei lo soprannominarono “il severo” o addirittura “Il crudele”.
Costrinse gli Altavilla di Sicilia a sposarsi con Costanza, una donna di 11 anni più piccola che però non fu meno brillante di lui, capace di architettare trame politiche straordinarie e strategie militari invincibili.
Proprio come il padre, Enrico coltivava ambizioni immense: sognava di creare un impero tanto grande da poter comandare il Mediterraneo e il Sud Italia ne doveva essere il centro di controllo.
Il sangue, d’altronde, non mente: suo figlio, Federico II, sarà ancora più visionario ed ambizioso dei suoi genitori.
Il problema è che il Papa, che aveva il terrore di essere circondato da un regno imprevedibile e potente, cercò di correre ai ripari: nominò Tancredi d’Altavilla re di Sicilia, nella speranza di fermare l’arrivo di Enrico VI. E invece il Sud Italia si divise.
L’assedio di Napoli e l’eroica resistenza dei napoletani
Era un dolce maggio del 1191 quando le mura di Napoli furono circondate da un esercito di migliaia di uomini. Erano presenti Enrico VI e la moglie, Costanza d’Altavilla, assieme a militari provenienti da tutto il Nord Italia e dalla Germania.
Appena qualche mese prima i due avevano assunto il titolo imperiale del Sacro Romano Impero e, per questa ragione, decisero di sottomettere tutta l’Italia.
Le città cadevano come carte: prima Rocca d’Arce, saccheggiata e incendiata, poi Teano, Capua, Aversa. E ancora Caserta e infine eccoci a Napoli.
Riccardo di Acerra, un eroe dimenticato
Dall’altro lato delle mura, in quel maggio 1191 c’era Riccardo d’Aquino, più famoso col nome di Riccardo d’Acerra, che è uno di quei nomi famosi spariti fra le infinite pagine dei libri di Storia. E invece fu uno dei protagonisti dei suoi tempi, di quella schiera di eroi che da soli provano a fermare gli imperi anche senza alcuna possibilità di vittoria.
Fu un uomo carismatico, dalla forza di volontà immensa e dalla presenza magnetica: era il miglior condottiero dei suoi tempi e troviamo il suo nome in tutte le vicende politiche della Campania medievale.
Grazie alla sua guida la città riuscì a resistere per ben tre mesi, riscoprendo quell’orgoglio che per 700 anni l’aveva fatta sopravvivere alle prepotenze dei Longobardi ai tempi del Ducato. Poi, quando la resistenza stava per cedere, arrivarono due alleati: il pirata Margarito, che nel golfo di Napoli assaltò le navi dei pisani e dei genovesi, e la peste: le vittime furono tantissime e si ammalò addirittura Costanza, che fu chiamata in città dai salernitani.
Il doppio tradimento di Salerno
I salernitani, guidati dall’arcidiacono Arrigo, avevano fiutato l’affare: se avessero aiutato gli Svevi nella conquista del Sud Italia, magari la città avrebbe acquisito prestigio o, chissà, addirittura sarebbe stata scelta come capitale del futuro regno.
Mentre Enrico VI assediava Napoli, Costanza fu trasportata a Salerno, per essere curata dalla famosissima Scuola Medica. Poi si ammalò anche l’imperatore ed i salernitani lo accolsero con piacere, finché non fu costretto a ritornare in Germania.
Circolavano infatti strane voci: molti credevano fosse morto a Napoli ed erano scoppiate rivolte in tutto il regno.
Questa notizia fece riflettere i salernitani: vuoi vedere che Enrico VI, bloccato dalle questioni in casa, non torna più in Italia? Come si vendicheranno i normanni dopo aver aiutato un nemico?
Il salernitano Matteo d’Aiello, cancelliere del Regno e uomo più potente dopo il re normanno, cercò di salvare i suoi concittadini e propose una soluzione per riallacciare i rapporti con Tancredi: catturare l’imperatrice Costanza, che ancora era ricoverata in città, e consegnarla ai siciliani.
Fu così: l’imperatrice sveva fu improvvisamente imprigionata dagli ex alleati e spedita a Messina, nelle mani di re Tancredi d’Altavilla, che restituì la donna al marito dopo lunghe trattative e la promessa di non invadere più il regno.
L’imperatrice se l’era legato al dito quel tradimento. Ed Enrico VI, che non era un uomo dolce, promise vendetta.
Tornano gli svevi
Enrico VI ebbe bisogno di 3 anni per riorganizzarsi: nonostante un capolavoro diplomatico, con un esercito numerosissimo al suo seguito e con una forza praticamente inarrestabile, la resistenza di Napoli e il tradimento di Salerno erano stati davvero un colpo all’orgoglio.
Decise quindi di forzare la mano: era il 1194 e un evento fortunato lo aiutò: Tancredi d’Altavilla morì a soli 19 anni.
Era il segnale: radunati gli alleati genovesi e pisani, che non vedevano l’ora di eliminare Amalfi e le altre città marinare del Sud Italia, scelse la strada che ha premiato quasi tutti i conquistatori del Sud: sbarcò a Palermo e, presto, si fece incoronare Re di Sicilia poi diede inizio a un regime di repressioni violentissime che finirono in torture, esecuzioni di massa e carcerazioni di qualsiasi nemico della nuova corona.
Toccò a Salerno: la città fu messa a ferro e fuoco, si racconta che Enrico diede ordine ai militari di non avere pietà per nessuno. Poi la città fu incendiata e molti edifici demoliti. Ogni cosa di valore fu saccheggiata e non è un caso se ancora oggi molti documenti della Scuola salernitana si trovano sparsi nel Nord Europa.
Una breve gloria
L’eredità di questo tradimento fu un conto salatissimo per Salerno: la città non riuscirà mai più a riprendersi dalla batosta. Sarà solo Manfredi di Svevia a riallacciare i rapporti fra la corona e la città. Anche qui, però, c’è di mezzo l’intervento di un altro salernitano arrivato ai vertici dello Stato: Giovanni da Procida, la mente e il braccio di Manfredi.
Le ambizioni degli Svevi, cominciate con Federico Barbarossa, non riuscirono mai a realizzarsi: un po’ come la torre nei tarocchi, qui il sogno crollò fra i colpi dei nemici francesi e della Chiesa, terrorizzata da uomini tanto potenti e volitivi da opporsi anche al volere del Papa.
L’assedio di Napoli e il tradimento di Salerno, a distanza di un secolo, portarono quindi anche un altro strascico storico: la scelta di Napoli nuova capitale del regno.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Antonio Ghirelli, Storia di Napoli
Giovanni Antonio Summonte, Historia della città e del Regno di Napoli, Antonio Bulifon, Napoli, 1671
ENRICO VI di Svevia, imperatore, re dei Romani e di Sicilia in “Dizionario Biografico” (treccani.it)
PIETRO DA EBOLI in “Federiciana” (treccani.it)
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