Il topazio di Ferdinando II può essere considerato tra i maggiori lasciti artistici del mecenatismo degli ultimi Borbone di Napoli. Le tecniche che furono utilizzate per la sua lavorazione e gli indirizzi artistici della stessa sono fortemente intrisi della cultura e delle tendenze figurative che caratterizzarono il meridione tra la prima e la seconda metà dell’800.
L’arrivo nel regno
Si legge sulla rivista “Vita d’arte, mensile d’arte antica e moderna” (numero 7, luglio 1908, Siena) che il topazio di Ferdinando II giunse nel sud Italia durante il regno di Carlo III. Esso presenta un vivo colorito arancione con sfumature bianche, sembianze tipiche dei topazi brasiliani famosi in tutti il mondo per la loro pregevolezza. Originariamente la gemma pesava ben 4 kg. In seguito, per decisione di Ferdinando IV, essa fu divisa in due parti, entrambe da incidere e decorare. La lavorazione del prezioso fu però impossibilitata dall’eccessivo spessore dello stesso. Si dovrà aspettare il regno di Ferdinando II affinché il topazio riceva nuove attenzioni.
La lavorazione a Napoli, tra difficoltà ed incertezze
Il topazio di Ferdinando II fu al centro di innumerevoli peripezie presso la corte partenopea. Secondo le iniziali decisioni del monarca le due metà della gemma dovevano essere incise e posizionate rispettivamente sul portone della cappella palatina della Reggia di Caserta e su quello della Basilica di San Francesco di Paola. La collocazione del topazio doveva inserirsi in un più ampio programma di rifacimento dei monumenti della corona duosiciliana attuato da Ferdinando II. Pochi anni prima era stata conclusa l’opera di edificazione della “basilica dei tre re” e la stessa Reggia di Caserta era interessata da numerose attività di restauro e rifacimento. Il topazio doveva quindi collegare simbolicamente i più importanti siti religiosi della corona. I mezzi adoperati dalle maestranze reali furono però, ancora una volta, insufficienti. La gemma appariva troppo spessa e dura per le apparecchiature dell’epoca. Qui la storia del topazio va a frammentarsi: una parte, destinata alla Reggia di Caserta, resterà parzialmente incompiuta. L’atra, come vedremo, avrà un destino ben diverso.
Andrea Cariello: il grande artista che incise il topazio
La lavorazione del topazio fu portata a termine dal grandissimo artista Andrea Cariello (Padula – 1807, Napoli – 1870), maestro della zecca di Napoli, tra i più grandi incisori della sua epoca. Estremamente apprezzato nel mondo numismatico per le sue opere nel campo della medaglistica fu fortemente coinvolto nel restauro della Reggia di Caserta. Fu a lui che il re affidò una delle metà del topazio. Le tecniche da lui adoperate seguivano le pratiche in uso nella real zecca: fu fondamentale l’utilizzo di punte di diamante nell’incisione del topazio. Tali punte erano generalmente utilizzate per incidere i punzoni destinati poi alla produzione di coni per medaglie e monete.
La mano del Cariello appare inconfondibile: fortemente influenzato dall’arte classica e specializzato nella ritrattistica il suo stile si riflette nella lavorazione del topazio. Stupiscono, nel bassorilievo, il dinamismo e l’leganza del panneggio, nonché la gestualità e forte espressività del cristo ritratto nell’atto di spezzare il pane.
La lavorazione impegnò l’artista per ben 10 anni della sua carriera. Essa ebbe inizio nel 1853 e venne portata a termine solo due anni dopo l’unità nazionale.
Il topazio di Ferdinando II a Taranto
Nonostante la splendida riuscita del lavoro il topazio non arrivò mai nel luogo a cui era destinato: dopo l’unità, caduta la dinastia, non vi era più nessuno intenzionato a pagare il Cariello per il lavoro svolto. La gemma restò quindi nella famiglia dell’incisore che si premurò di dare lustro e popolarità ad una tale opera, esponendola presso importanti mostre d’arte, tra le quali quelle tenute a Milano e a Chicago nei primi del 900. L’opera trovò grande ammirazione anche presso i concittadini del Cariello. La città di Padula, pur possedendo poche opere del maestro, decise di rendergli onore “riproducendo galvanicamente in rame dorato il topazio da lui scolpito” utilizzando tale riproduzione per “ornare la porticina della custodia del nuovo altar maggiore eretto […] nella chiesa della SS. Annunziata“. Il topazio di Ferdinando II venne poi acquistato, dopo vari passaggi d’asta, dall’avvocato tarantino Raffaele Latagliata. Nel 1936 l’ultima discendente della famiglia Latagliata lo donò alla diocesi di Taranto, dove è ancora oggi conservato nel museo diocesano ad essa associato. Negli ultimi anni la gemma è tornata all’attenzione del pubblico: fortemente pubblicizzata presso il museo diocesano di Taranto (considerata tra i pezzi forti della loro raccolta) è stata al centro di molte ricerche da parte di vari studiosi. Appare in tal senso fondamentale l’inclusione della stessa nel volume “Il Medagliere dei Re”, di Salvatore D’Auria. In tale opera il topazio è incluso in un più ampio studio dei lavori del Cariello (specialmente in campo numismatico).
-Silvio Sannino
Bibliografia
Salvatore D’Auria: Il Medagliere dei Re, volume II
Arcangelo Rotunno: IL CENTENARIO DI UN ILLUSTRE INCISORE, articolo pubblicato sulla rivista “Vita d’arte, mensile d’arte antica e moderna” (numero 7, luglio 1908, Siena)
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