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La frittura è una tecnica di cottura nata in Egitto, arrivata ai Romani, attraversando il Mediterraneo, e che trova all’ombra del Vesuvio terreno fertile per profumare bassi, vie e piazze. Questa, amatissima in ogni angolo del globo, a Napoli ha un’importanza di primo ordine, in quanto la maggior parte dei piatti partenopei è fritto.

La frittura attraversa il Mediterraneo

La frittura è una tecnica culinaria antichissima, adoperata in Egitto fin dal 2500 a.C, che veniva utilizzata per cucinare pietanze per lo più dolci. Abbiamo queste notizie grazie ad Apicio, autore di uno dei primi ricettari, il De re coquinaria. Per friggere non era essenziale usare l’olio, ma questo poteva essere facilmente sostituito dal lardo o dal grasso animale, un po’ come facevano e fanno le nostre nonne tutt’ora, perché “è più saporito friggere nella nzogna del maiale paesano”.

Questo ci fa capire come la cucina nei secoli si sia tramandata tra paesi differenti, influenzandosi a vicenda, formando un’unica cultura e un’unica dieta, quella mediterranea. I Romani non usavano molto friggere gli alimenti, soprattutto se con l’olio, di cui non preferivano il sapore troppo acre. Questo condimento, era invece usato come cosmetico o anche per i riti religiosi.

Durante il Medioevo e il Rinascimento si continuavano a friggere gli alimenti nei grassi animali, tranne il pesce, che veniva fritto nell’olio d’oliva. Nel Mediterraneo e non solo si friggeva nel grasso, nell’olio e addirittura nel garum o nel miele qualsiasi tipo di alimento, una tecnica antichissima che dura da anni e che dona alle pietanze un gusto esplosivo.

La frittura a Napoli dopo il secondo dopoguerra divenne un’istituzione, essendo il forno a legna una spesa troppo costosa, si usava friggere, tutto immergendo il poco cibo che c’era nelle case in litri di olio bollente, rendendo il pasto, seppur povero, golosissimo.

Frittura mista, ‘e mazzamma, ‘e fravaglia, ‘e paranza

Napoli può essere considerata la capitale della frittura, in quanto ovunque si possono acquistare cuoppi misti di terra o di mare. Il cuoppo di terra con crocchè, zeppole di pastella, fiori di zucca ripieni, montanare e mozzarella in carrozza è il perfetto l’assortimento di cibi, prima di affrontare una lunga passeggiata per le meraviglie della nostra città.

Per diventare dei veri intenditori della frittura di pesce dobbiamo fare, invece, una piccola precisazione. Nella nostra Napoli si è soliti dire “chi tene e sord se magna pisce ‘e taglio, chi no se magia fravaglie“, ciò vuol dire che il pesce è un alimento che costa e chi può spendere compra pesce di qualità, mentre chi non può, compra le “fravaglie“, di solito pesce azzurro e di piccole dimensioni che con il fritto si sposano alla perfezione.

Dobbiamo fare una differenza, però, tra i vari fritti di mare, ciò ci viene spiegato da Amedeo Colella nel suo libro “Mille paraustielli di cucina napoletana“. Abbiamo la frittura ‘e mazzamma, un fritto fatto con un pesce di bassa qualità, di solito lo scarto di ciò che resta del pescato che non si è riusciti a vedere.

La frittura ‘e fravaglia, o fravaglio, è composta invece da pesci di più alta qualità, rispetto alla mazzamma, ma di piccole dimensioni. Per intenderci, si tratta dei pesci come: alici, sarde, triglie, gamberi. E infine la frittura ‘e paranza, in cui vi sono pesci di più grandi dimensioni, rispetto a quella di fravaglia, ma ancora molto piccoli. Questo tipo di fritto prende il nome dalla paranza, la tipica barca per la pesca a strascico.

Dopo aver fatto queste precisazioni, l’unica cosa che ci resta è ordinare un buon fritto… sia di mare che di terra.

Bibliografia

Amedeo Colella, Mille paraustielli di cucina napoletana, cultura nova, 2019

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