La Real Casa dei matti di Aversa è stato il primo ospedale psichiatrico d’Italia e tra i primi in Europa, inaugurato all’inizio del XIX secolo, anche se gli edifici che compongono il complesso sono molto più antichi. Chiuso in seguito all’approvazione della Legge Basaglia, le sue pareti ricordano storie di dolore, ma anche di un’importante innovazione nel mondo della sanità pubblica.
La fondazione della Real casa dei matti di Aversa
Alle porte della città di Aversa sorge un cupo e cadente edificio dalla vernice che forse, un tempo, appariva di un colore rosso acceso, ma che ora è impallidita e perlopiù scrostata dalle sue vecchie pareti, in parte coperte di edera; dal bugnato sgretolato e dai vetri delle finestre rotti, che vanno a completare un quadro spettrale.
Affacciandosi al secolare cancello arrugginito che circonda questa struttura fatiscente e la separa da una stretta strada affollata di palazzi, si scorge il basolato in parte sollevato del viale d’accesso, circondato da vegetazione incolta, che conduce all’ingresso di ciò che resta della “Real Casa dei Matti“.
Lo stato di profonda decadenza in cui versa questo luogo, non così diverso da quello che si può riscontrare in altre strutture psichiatriche abbandonate, come l’ex Ospedale Leonardo Bianchi di Napoli, non rende giustizia alla sua lunghissima storia.
Il complesso di edifici che ha costituito, a partire dall’11 marzo 1813, la Real casa dei matti, istituita per volontà del re di Napoli Gioacchino Murat, è in realtà un antichissimo convento di frati francescani, dedicato a Santa Maria Maddalena, che vide la prima pietra posata nel lontano 1269 e diversi ampliamenti nel corso dei secoli. I religiosi lo abitarono fino alla sua conversione in struttura ospedaliera.
In realtà, il Convento di Santa Maria Maddalena ha ospitato anche altri tipi di pazienti oltre a quelli con disturbi mentali: fu un luogo di ricovero, in passato, anche per lebbrosi. Oltretutto, la Real casa dei matti di Aversa non fu l’unica fondata in quegli anni e, soprattutto, non fu l’unica che sorse da un esproprio di beni ecclesiastici, proprio come da progetto di Gioacchino Murat.
L’istituzione di un luogo che fosse integralmente dedicato a persone affette da disturbi mentali risultò particolarmente sentito e soprattutto urgente, poiché una delle strutture nell’intero Regno di Napoli che le ospitava era proprio l’Ospedale degli Incurabili, nel cuore del centro storico di Napoli. Ma i “matti” non erano gli unici malati ospitati, il che rendeva l’ambiente estremamente affollato e difficile da gestire.
Con la Restaurazione, Ferdinando IV volle che la Real casa dei matti di Aversa e quelle fondate in seguito rimanessero attive, data la loro grande utilità nel decongestionare gli altri ospedali e nel fornire cure mediche innovative, sui dettami dei medici francesi Pinel e Esquirol, “alienisti” che contribuirono a far prendere piede in definitiva alla branca della psichiatria.
Nuovi direttori, nuovi reparti
A partire dall’assegnazione dell’incarico al primo direttore della Real Casa dei matti di Aversa, l’abate Giovanni Linguiti, il complesso vide numerosi adattamenti nel corso degli anni, per cercare di venire incontro il più possibile alle ultime novità in ambito medico per trattare al meglio i pazienti affetti da patologie psichiatriche, facendo in modo che la struttura diventasse di primaria importanza per il Regno delle Due Sicilie e tra quelle di maggior lustro in Europa.
I successivi direttori hanno provveduto a espandere e dividere in reparti più specifici le varie aree del complesso, sulla base delle patologie che la letteratura medica del tempo consentiva di distinguere. Inoltre, furono gradualmente ampliate le aree ricreative che avevano lo scopo di consentire ai pazienti, spesso considerati come degli “emarginati sociali”, di avere occasioni per svagarsi, scoprire interessi e socializzare.
Tuttavia, gli edifici disponibili, specialmente i più datati, non avevano spazi sufficienti per un numero sempre crescente di pazienti. Questo portò la Real casa dei matti ad un primo periodo di grande decadenza, che però vide una svolta quando il timone passò, nel 1861, a Biagio Gioacchino Miraglia.
Il dottor Miraglia, che lavorò sia come medico, sotto la guida del direttore Simoneschi, sia come direttore, si distinse sia per le sue pubblicazioni, sia per la fondazione di una delle prime riviste di psichiatria in Italia, sia per le importanti innovazioni che apportò al suo luogo di lavoro: divise i reparti in otto blocchi, uno per classe di disturbo psichiatrico, il tutto a sua volta ripartito in un padiglione per uomini ed uno per donne.
Un altro importante cambiamento strutturale fu apportato dal direttore Gaspare Virgilio, che fece costruire altri edifici più piccoli e separati l’un l’altro da viali alberati, un tipo di disposizione che sarebbe stata attuata negli anni successivi anche da altri ospedali psichiatrici.
I nuovi edifici furono intitolati ad illustri accademici e a direttori della Real casa dei matti, tra i cui nomi figura quello dell’illustre psichiatra Leonardo Bianchi.
Egli soppresse quasi immediatamente gli strumenti di coercizione, sostenendo che il lavoro e l’attività, intellettuale e fisica, potessero salvare i pazienti dall’oblio. Questi furono spesso impegnati nell’agricoltura e nei giochi, osservando come il divertimento facesse bene alla loro psiche.
Con l’inizio del ‘900 e la Legge sui manicomi del 1904, l’ospedale fu adeguato alle più recenti disposizioni e subì un’altra importante ristrutturazione.
Con la seconda guerra mondiale, la struttura subì notevoli danni e fu anche parzialmente occupata dagli Alleati. Solo alcuni anni dopo si sarebbero effettuati dei lavori di ristrutturazione e ammodernamento, determinando così un impatto fortemente negativo sui pazienti.
Il declino
Dal secondo dopoguerra in avanti, la Real casa dei matti, che da anni aveva acquisito il nome di “Ospedale psichiatrico Santa Maria Maddalena”, perse il suo ruolo di punta tra le strutture psichiatriche nazionali. Il numero di pazienti si ridusse drasticamente, gli edifici ed il loro equipaggiamento risultavano oramai inadeguati alla psichiatria moderna ed il colpo di grazia fu inflitto al seguito dell’approvazione della Legge Basaglia del 1978, che regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio e che, gradualmente, portò alla chiusura definitiva dei manicomi.
Tra gli anni ’80 e ’90 furono collocati nel complesso di Santa Maria Maddalena degli uffici dell’ASL e fu ufficialmente istituito un archivio storico. La chiusura definitiva avvenne solo nel 1999.
Oggi, l’intera struttura versa in stato di totale abbandono, ma è in cantiere un progetto di recupero da parte del Comune di Aversa.
-Leonardo Quagliuolo
Sitografia
Carte da legare – Ministero della cultura
“Primo rapporto sugli archivi degli ex ospedali psichiatrici“
Regione Emilia Romagna (planimetria dalla biblioteca scientifica Carlo Livi)
Lascia un commento