Nel cuore del quartiere Chiaia, appartata rispetto al caos delle vie dello shopping e dei palazzi liberty, si trova una chiesa di modeste dimensioni, al centro di una piccola piazzetta rettangolare dall’aspetto ricercato. Si tratta della chiesa dell’Ascensione a Chiaia, la cui storia non è sempre stata lineare.
Come spesso accade per edifici molto antichi, anche la chiesa dell’Ascensione a Chiaia ha subito nel corso degli anni vicende alterne, fortune e sfortune che hanno inciso sul suo aspetto originario e sull’importanza che tale edificio ha assunto nei confronti dei napoletani. Scopriamo insieme la sua storia!
Storia della chiesa dell’Ascensione a Chiaia
La “Chiesa dell’Ascensione a Chiaia”, con l’annesso convento dei Celestini, fu fondata agli inizi del Trecento e rinnovata nel 1360 da Nicola Alunno di Alife, Gran Cancelliere del re Roberto d’Angiò. Nonostante le numerose opere di carità portate avanti da Papa Clemente VI, prima, e da Papa Urbano VI, dopo, la chiesa, intorno al 1500, cadde in una profonda decadenza perdurata fino agli inizio del ‘600, l’anno della rinascita.
Fu il nobile portoghese Michele Vaaz de Andrade, conte di Mola, a rinnovare l’edificio come segno di ringraziamento per l’ospitalità ricevuta dai padri celestini. Esisterebbe anche una leggenda, secondo la quale il 3 maggio 1617, nel giorno della festa dell’Ascensione, Vaaz sognò San Pietro Celestini porgergli la mano nel tentativo di difenderlo. Il giorno seguente il conte, accusato per frode ai danni del Regno, sfuggì all’arresto da parte degli agenti del viceré, trovando protezione proprio nella chiesa dell’Ascensione, avendo chiesto diritto d’asilo, durato poi tre anni al termine dei quali fu assolto dopo un lungo processo.
Se la leggenda può essere unicamente classificata come tale, ciò che è certo è che Michele Vazz contribuì alla rinascita della chiesa dell’Ascensione di Chiaia dedicandola a San Michele, il santo dal quale prese il nome, a Sant’Anna, dalla quale prese il nome la moglie, e a San Pietro Celestini. Nonostante la nuova intitolazione, la tradizione volle comunque conservare il nome originario. I lavori durarono fino al 1645 e furono affidati a Cosimo Fanzago.
Circa due secoli più tardi, nel 1808, prima con il re Gioacchino Murat, e poi con la dinastia dei Borbone, fu ordinato lo scioglimento dell’Ordine dei Celestini, tutti i loro beni furono sequestrati, la chiesa fu requisita dallo Stato e destinata ad uso militare. Poco più tardi, nel 1850, l’Arcivescovo di Napoli di quel tempo riuscì a riprendere il controllo della chiesa elevandola a parrocchia. I fedeli entusiasti chiesero, però, che fosse ripristinato anche il titolo originario della chiesa, divenendo così “Parrocchia dell’Ascensione di San Michele”.
La chiesa: interni ed esterni
L’impianto dell’attuale chiesa è a croce greca, ovvero con i quattro bracci che presentano la stessa distanza dal centro della chiesa, sormontato dalla cupola. Quest’ultima subì importanti modifiche ad opera di Matteo Tramontano che nel 1767 la ricostruì con una struttura di pozzolana e lapillo, non riproponendo la struttura originaria con costoloni a spicchi.
Ad oggi la chiesa si presenta, esternamente, con un pronao costituito da tre imponenti arcate grigie e bianche su pilastri. Vi sono tre grandi altari, quello maggiore fu realizzato da Alfonso Gentile nel 1738 e presenta una grande pala di Luca Giordano che raffigura “San Michele sconfigge gli angeli ribelli”. Dello stesso artista è presente anche una “Sant’Anna e la Vergine”. VI sono, infine, tante altre preziose testimonianze di pittura napoletana del XVIII e XIX secolo. Insomma, un edificio dal grande fascino, sia dentro che fuori, che è sopravvissuto nei secoli per giungere fino ai giorni nostri!
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