ll museo di Carife e della Baronia accoglie ed espone reperti archeologici rinvenuti nel territorio, provenienti da tre nuclei di necropoli databili dal VI secolo fino al IV-III secolo a.C ed è il più importante museo sui Sanniti del territorio.
Questo articolo nasce da un’intervista e una visita guidata con il direttore Flavio Castaldo, che ci ha raccontato la storia del museo e dei popoli che hanno dato vita alla così detta civiltà sannita.
Carife, la scoperta
Dopo il sisma dell’Irpinia del 1980, fu intrapresa una campagna di scavi archeologici che consentì di documentare la frequentazione del territorio da parte dell’uomo fin dal Neolitico antico, come dimostrano gli scavi intrapresi ad Aia di Cappitella e a Piano la Sala-Fiumara. Le testimonianze più importanti sono relative al periodo sannitico, come documentano i molteplici reperti, recentemente esposti nel Museo Archeologico di Carife e della Baronia e provenienti dalla Necropoli dell’Addolorata (IV-III sec. a C.) e da quella di Piano la Sala (VI-IV sec. a. C.), solo in parte sistematicamente esplorate. Alla fine degli anni ‘90, in località Tierzi, si scoprì una serie di fornaci che attestano la presenza in età romana di fabbriche di produzione di terrecotte e coroplastiche.
Il Museo di Carife
Il museo ospita reperti provenienti da Carife e Castel Baronia. A Castel Baronia si rinvenne la necropoli più grande, le altre sono apparentemente più ristrette, forse anche perché meno indagate. È dagli anni Ottanta che non si scava più in modo così estensivo e sicuramente moltissimo è ancora da scoprire. Si fanno indagini solamente grazie a interventi di emergenza durante opere edili pubbliche come strade, acquedotti e pale eoliche o private, per esempio abitazioni o altro tipo di costruzioni.
Le necropoli
La necropoli di località Serra di Marco, Castelbaronia, mostra la disposizione delle tombe all’interno di grandi tumuli o di aree circolari, probabile segno della suddivisione della comunità per clan. Non siamo nella Campania costiera o nelle piane fluviali del Volturno e del Clanis (regi Lagni). Nella zona interna non vi erano le poleis, le città – stato di tipo greco, un sistema politico-sociale adottato anche dalla cultura etrusca. Gli abitati dell’attuale Irpinia erano sparsi, organizzati intorno ad un santuario o lungo una via di circolazione. Un sistema abitativo molto vicino alla cultura dei Dauni, della costa Adriatica.
La necropoli di località Addolorata ha restituito alcune tombe a camera, un unicum in territorio irpino. È stato per questo scelto di preservarle ed esporle al pubblico nel luogo di rinvenimento.
Le sepolture a camera sono realizzate con blocchi di pietra arenaria disposti in modo da costituire un piccolo ambiente con un tetto a doppio spiovente. All’interno la tomba era dotata anche di un letto di deposizione per il defunto e di incassi per gli oggetti del corredo. All’esterno vi era un corridoio di accesso pavimentato con ciotoli di fiume, usato solo nella circostanza della cerimonia funebre. Le tombe, nonostante la monumentalità, dopo il seppellimento erano totalmente interrate. La loro presenza era segnalata con una semplice pietra di arenaria. Le tombe a camera sono databili dal IV al III sec. a.C., in piena età sannitica.
I Sanniti e le popolazioni locali
Esiste una tradizione dura a morire, che identifica gli abitanti di queste zone con i Sanniti che sarebbero emigrati da Nord. Ma dalle ricerche più recenti, si evince una continuità di materiali rinvenuti dall’età del bronzo fino alle guerre tra i Sanniti ed i Romani. Non possiamo dare un nome alla popolazioni che abitarono questi luoghi dalla preistoria fino al 432 a.C., quando lo storico greco Diodoro Siculo ci parla della conquista di Capua da parte dei “Sanniti”.
È la prima volta che si attribuisce questo nome agli abitanti dell’Appennino. Gli storici greci e latini parlavano della costa, ma non dell’interno. Sono i Greci che li chiamano Sanniti, mentre dalle iscrizioni sappiamo che essi chiamarono se stessi Saphineis e il loro territorio Safinim. La scrittura osca è diffusa per lo più a partire dal IV secolo a.C. e adotta caratteri appresi dalle vicine colonie greche.
La massima espansione dell’organizzazione politica dei Sanniti, uniti in una Lega avviene dalla fine del V secolo a.C. con la conquista di Cuma e Capua, e l’occupazione anche di parti del foggiano. la Lega dei Sanniti è la realtà politica più grande dell’Italia centro meridionale e darà molti grattacapi ai Romani, che impiegheranno tre secoli a sconfiggerli definitivamente, cancellando la tradizione culturale e la storia.
La sezione più antica del museo
Nella prima sezione vi sono gli oggetti appartenuti ai Sanniti ante litteram; la maggior parte delle tombe da cui provengono sono a fossa, ma una è diversa perché ad incinerazione.
Sulla costa, dove vi era una diversità di culture, era normale avere tombe con riti diversi, ma nel sesto secolo qui non era la norma, di solito erano seppelliti tutti allo stesso modo. Trovare una persona seppellita con un rito diverso, vuol dire che anche qui incominciarono a esserci nuove influenze o qualche straniero.
Nella prima sala vi sono ceramiche simili per forma a quelle che si sono fatte per secoli nello stesso territorio, ma anche forme, quali ad esempio i kantharoi, simili a tazze, sul genere di quelle dei Dauni o oinochoai, una tipologia di brocca greca usata per il vino, kylikes, le coppe per il vino. Queste ultime dimostrano come si era adottato il rito del simposio greco.
Il simposio greco
Il simposio greco fu un importante fenomeno culturale della società greca dal VII a.C. e consisteva in un convivio, tenuto presso una dimora privata, nel quale gli uomini si ritrovavano per bere, mangiare e cantare insieme, ma anche per discutere di diversi argomenti quali filosofia, politica, poesia e attualità. Al simposio fanno ampio riferimento la letteratura e il teatro greco e le arti figurative lo rappresentarono spesso nella decorazione ceramica.
I vini si tagliavano con acqua, sia perché non erano filtrati, erano più densi, ma anche perché non bisognava ubriacarsi, ma padroneggiare l’arte del vino.
Il simposio oltre che da canti e poesia veniva animato anche da numerosi giochi e passatempi: gioco dei dadi, giochi da tavolo e, senza dubbio, il più caratteristico era il kottabos. Nel kottabos sia i convitati che le etère, che tenevano loro compagnia, dovevano colpire un bersaglio, spesso si trattava di un piatto posto in equilibrio su di un’asta, lanciando, con un colpo di polso, il fondo di vino rimasto nella propria coppa.
Il simposio era aperto ai soli uomini greci e le uniche donne ammesse erano le etere (hetairai, ἑταίραι), figure assimilabili a prostitute/cortigiane d’alta classe, intrattenitrici dotate nell’arte della musica, specialmente nel suonare l’aulos, il flauto, in danza e ginnastica, e nelle discussioni culturali.
Per comprendere bene cosa i Greci intendessero per il rito del simposio si possono leggere i versi del poeta greco Alceo, vissuto fra il 620 ed il 560 a.C. a Mitilene, sull’isola di Lesbo nel Mar Egeo.
“Beviamo, perché aspettare le lucerne? Breve il tempo. O amato fanciullo, prendi le grandi tazze variopinte, perché il figlio di Zeus e Sémele diede agli uomini il vino per dimenticare i dolori. Versa due parti di acqua e una di vino; e colma le tazze fino all’orlo: e l’una segua subito l’altra.”
Le tombe e i simboli della ricchezza delle famiglie proto sannite
Altri oggetti ricorrenti in queste tombe sono le cinture e lance. Non necessariamente erano pertinenti a guerrieri, ma probabilmente erano simboli del potere, legati ai clan. Erano elementi indicativi della ricchezza della famiglia o legati a cariche di magistratura. Se fossero stati guerrieri ci sarebbero nelle tombe anche elmo e armatura.
Nelle tombe delle necropoli della zona si trovano anche buccheri etruschi, ma con forme diverse, a dimostrare che vi fossero con molta probabilità fabbriche locali di bucchero. Avevano appreso la tecnica dagli etruschi, ma l’avevano fatto propria. Le tombe dimostrano come vi fossero rapporti con i Dauni, con i Greci, e con gli Etruschi. I Sanniti erano un popolo con una propria identità, con una cultura complessa che aveva rapporti con tutti i vicini.
In alcune tombe sono stati trovati oggetti molto più antichi della tomba stessa. Questi reperti erano probabilmente oggetti importanti, presenti nelle case delle famiglie aristocratiche, che testimoniavano l’importanza della famiglia. Per questo alcuni di questi erano messi nelle tombe dei capi clan o comunque delle persone considerate più importanti.
La firma del ceramista locale
Alcuni vasi hanno come dei segni, simili a due parentesi, che sono stati trovati in modo ricorrente in molti vasi. È un motivo che rappresenta la firma di un artigiano, infatti vi era una produzione di vasi locali, in quanto la zona è ricchissima di argilla.
Le tombe più ricche
Nella seconda sezione vi sono i materiali ritrovati nelle tombe più importanti. Nel 360 a.C. vi sono tombe con dentro oggetti preziosi, alcuni dei quali molto più antichi della tomba. Nella tomba 89 di Piano la Sala è stato trovato un candelabro etrusco probabilmente del Centro Italia, con un satiro che sacrifica un caprone.
Nella stessa tomba è stato trovato un cratere figurato, con un corteo dionisiaco, vi è una chiara volontà di metterli uno accanto all’altro, dimostrando una profonda conoscenza dei riti dionisiaci greci. Dioniso originariamente fu un dio arcaico della vegetazione, legato alla linfa vitale che scorre nelle piante, poi divenne il dio dell’uva e del vino, e quindi è il nume tutelare dell’ebrezza e della perdita della ragione. Dioniso toglieva le inibizioni, riconduceva gli uomini al loro stato primordiale e selvaggio, li faceva ballare, gridare, agitare, cadere nell’esaltazione parossistica che portava all’orgia e alla violenza, la quale era privata del suo significato negativo, in quanto nulla si riteneva giusto o ingiusto in regime di delirio.
L’immagine del capro, torna anche in altri oggetti di questa sezione del museo, il che dimostra l’importanza delle capre, che erano un elemento di grande ricchezza per la regione. Era la zona dei grandi tratturi e la pastorizia era la ricchezza del luogo.
Sono stati trovati anche dei grandi calderoni in bronzo, vassoi per servire a tavola. Nelle tombe vi erano tutti gli elementi per i banchetti e i simposi. Una parte degli oggetti erano di uso quotidiano o comunque provenienti dalla casa del defunto. Altri erano usati per uso religioso e posti dopo la morte, accanto al defunto. Era difficile che fossero prodotti per le tombe stesse, se si esclude i vasetti miniaturistici a partire dal IV secolo a.C.. Sono infatti troppi piccoli per essere utilizzati. Sono state poi trovate molte ambre, provenienti dall’Europa Centrale, oggetti di provenienza balcanica e un oggetto di avorio, che dimostra come vi fossero molti legami commerciali anche con zone lontane.
I santuari e la natura
I santuari del territorio erano legati all’acqua, alla natura e non avevano edifici monumentali. Almeno, non ne è stato trovato nessuno. Erano probabilmente tutti santuari legati all’acqua, al lavaggio. Le divinità non venivano rappresentate come facevano i Greci.
Solo a Teano e a Capua vi sono rappresentazioni delle divinità italiche, ma qui in zona non ne sono state trovate. Solo nel santuario della Mefite sono state rinvenute delle statuette in legno stilizzate.
Tutto cambiò quando poi questi popoli si sentirono parte della cultura greca prima, romana poi. Le divinità si fusero con quelle greche e adottarono la loro iconografia. Anche se in questi territori vi era una tendenza al conservatorismo e pure successivamente, i luoghi di culto rimasero legati ai boschi e alle fonti e non vi furono costruiti templi monumentali.
L’assimilazione alla cultura romana
L’ultima parte del museo ospita i reperti dell’età romana, l’epoca in cui la zona diventa parte di un immenso impero, con territori in tre continenti. L’epicentro regionale si sposta verso la città romana di Aeclanum e la zona dell’attuale Carife diventa prevalentemente una zona produttiva, vi si trovano molte fornaci. Da quest’epoca in poi, i reperti ritrovati sono simili a quelli che vi erano dovunque nell’Impero Romano.
Il museo e la contemporaneità
Il museo Archeologico di Carife e della Baronia è uno spazio vivo dove si incentivano le visite delle scolaresche del territorio, per far sì che, in primis, sia la comunità stessa a prendersi cura del museo. Vi è una sala conferenza e vi si tengono degli stage per gli studenti della Scuola Biennale di alta formazione Sag, Archeologia Giudiziaria e Crimini contro il Patrimonio Culturale, di cui il direttore del Museo Archeologico di Carife e della Baronia, Flavio Castaldo, è docente.
Tra le attività degli stagisti, vi è la catalogazione dei reperti degli anni Ottanta, che spesso non sono stati ben catalogati. In futuro Castaldo spera anche che il museo e la Soprintendenza si possano fare promotrici di nuove campagne di scavo, visto che dagli anni Ottanta sono purtroppo ferme e vi sono solamente ritrovamenti accidentali, in seguito a progetti edilizi.
Bibliografia
Materiale divulgativo del Museo Archeologico di Carife e della Baronia
Sitografia
http://www.museoarcheologicocarifebaronia.it
http://www.worldhistory.org/trans/it/1-11723/il-simposio/
skuola.net/temi-saggi-svolti/temi/simposio-regole-vino-grecia..html
http://www.studiarapido.it/la-donna-ateniese/
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