Tammorra
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Il mondo della tammorra è un universo antico e molto complesso. Per conoscerlo meglio, Storie di Napoli ha intervistato Luca Rossi, musicista, cantore di tammorra che suona in tutto il mondo. Luca Rossi è autore e interprete per il teatro e la musica. È considerato tra i più rappresentativi esponenti della tammorra.

Ha effettuato collaborazioni, partecipazioni e registrazioni con molti esponenti della scena musicale popolare italiana e della musica etnica internazionale: Teresa de Sio, Marcello Colasurdo, Enzo Avitabile, Orchestra Popolare Campana e Eugenio Bennato, NCCP e Tullio de Piscopo, Benham Samani (Iran), Kelvin Sholar (Stati Uniti), Tambours du Mediterraneè (Francia- Tunisia) e con produzioni e compagnie di teatro danza e spettacoli televisivi. Nel 2006 vince il premio Terre Motus, concorso per la musica etnica italiana emergente.

Nel 2011 scrive il metodo didattico “Tammorra – Italian frame drums” distribuito in Italia e all’estero.

 Luca ha studiato etnomusicologia a Bologna e suona la tammorra da quando era adolescente. 

Questa intervista nasce da un dialogo con lui e CiroCiretta, storico femminiello e membro dell’Associazione Femmenell Antiche Napolitane e dalla lettura del libro: Luca Rossi, a chi suona la luna, Giuseppe Vozza Editori, 2021

Quando hai iniziato a suonare la tammorra?

Ero un ragazzino quando ascoltai per la prima volta la tammorra. Rimasi incantato a guardare quel disco che continuava a danzare tra le mani del suonatore. Quel tamburo rotondo, con la pelle ambrata tesa sul legno. Era potente. Creava dei suoni che facevano muovere il cuore. Sembrava una luna. 

Chi sono stati i tuoi maestri?

Fin da piccolo mio padre mi portava a sentire i concerti della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Ero un bambino impacciato, grassottello e scoordinato, ma volevo diventare come loro. Franco Faraldo, che fino a quando non fu colpito da un ictus era il percussionista della N.C.C.P., era lo zio del mio migliore amico delle elementari. Divenne il mio maestro.  Gli anni dell’adolescenza furono anni inquieti, soprattutto a seguito della morte di mia madre. Marinavo la scuola, fumavo, fui anche bocciato per le assenze. Per fortuna che suonavo la tammorra in alcuni gruppi, è stata la mia coperta di Linus. 

Qualche anno dopo conobbi Gianni Rollin, che si definiva un “antropofotografo ballatore”. Fu per me un faro, scrisse il primo libro fotografico sulla tammurriata. Si intitolava Tammurriata: canto di popolo. Scattava le sue foto con la fedelissima Laika analogica. Mi insegnò a guardare come i danzatori ballavano una tammurriata e a riconoscerne gli stili. 

Mi portò a Santa Maria Capua Vetere a vedere le statue delle Matres Matutae, ex voto pagani che rappresentano madri con in braccio tantissimi bambini, simbolo della fertilità. Allargò la mia visione sull’arte antica della musica e della danza. Mi fece comprendere le radici greche della tammurriata e le funzioni rituali delle feste e perché fossero oggi dedicate a delle Madonne. Fu lui che mi fece conoscere Marcello Colasurdo.

Mi parli di Marcello Colasurdo?

Conobbi Marcello a Pomigliano d’Arco. Rollin mi portò lì per ascoltare un intervento di Colasurdo sulla musica etnica al prestigioso Pomigliano Jazz Festival. Gianni Rollin ebbe la brillante idea di farmi accompagnare Marcello in una tammurriata improvvisata. Colasurdo è un cantore incredibile. 

Marcello, inserviente dell’Alenia, per anni si unì agli Zezi di Pomigliano D’arco, gruppo che usava le tammorre per cantare contro lo sfruttamento nelle fabbriche. Fu addirittura scritturato da Fellini per il film l’Intervista. Marcello è ancestrale, senza tempo, mediterraneo.

Potresti dire che è arabo, del Bangladesh, o Sinti. Nel suo Rione lo chiamano “Popolo” e in effetti ha la faccia di tutti i popoli del mondo. E lui quando lo chiamano così, risponde “E che Popolo…,” sapendo solamente lui il significato di quella risposta.

Colasurdo è anche considerato il celebrante durante la juta dei femminielli presso il santuario di Montevergine. 

Da anni è purtroppo gravemente malato e trovo assurdo che non gli sia stata ancora riconosciuta la legge Bacchelli. Fu grazie a Marcello che conobbi le feste devozionali in Campania. 

Marcello Colasurdo e Luca Rossi, sul set di Preghiera, foto di Girolamo di Geronimo

Mi parli di queste feste?

Mi ricordo una notte con Marcello durante la festa della Madonna delle Galline di Pagani. Fummo ospitati in quasi tutti i toselli che segnavano il percorso della festa. Ricordo le mani spaccate a sangue, ma che avevano ancora voglia di suonare. Facemmo ritorno verso notte fonda vero il cortile dell’Africano, ovvero quello del leggendario Franco Tiano e della sua famiglia.

Ci fermammo a suonare fino al mattino. All’alba, un esercito di tammorari si diresse marciando a suono di tamburo presso il santuario di Sant’Alfonso, per poter benedire, ancora una volta, il proprio strumento. Quell’anno fu proprio Franco Tiano che guidò tutto il corteo verso la chiesa. Quella fu anche l’ultima volta che Franco Tiano apparì in pubblico. 

Con Colasurdo hai anche suonato la tammorra durante la candelora di Montevergine

Con Marcello e la tammorra tra le mani ci ritrovammo in una fredda giornata di febbraio, camminando sulla neve a celebrare Mamma Schiavona presso il santuario di Montevergine, il giorno della candelora. Mentre si sale la scala santa, su ogni gradino il solista canta a cappella e il coro di astanti gli risponde chiudendo i versi: “Muntagnone stammo sagliènne e quanta grazie ca stammo avènne”, “nuje simme napulitane e ‘nce venimmo na vota all’anno”.

Entrati in chiesa, la preghiera di Marcello davanti alla Mamma Schiavona, protettrice dei femminielli, è forte, cantata a distesa, come un sacerdote sciamano invoca la grazia e la pace per tutti i presenti. Congedati dalla preghiera, il ritmo delle tammorre e delle castagnette rompe il silenzio etereo del luogo sacro. 

Mi parli di Cicchinella?

La conobbi a Marcianise, un Martedì Grasso, in un cortile si teneva la “chiagnuta”. In una stanza gremita di persone, compreso molti bambini, riuniti introno ad un letto, tre signore anziane, si disperano, strillano, poi cantano. Una suona il tamburo “buccibuccibù. Carnevale è muorto e a saciccia chi ce ‘a dà? Lì…Gioia soia”.

Così cantava Cicchinella, officiante che guidava il rituale collettivo, mentre il corifeo rispondeva battendo le mani e intonando: “a sotto, a sotto, li gioia soia”. Seguivano schiamazzi e suoni di tamburi, poi di nuovo il silenzio. Un finto pianto disperato, ma lacerante e credibile, come quello delle finte prefiche dell’antico Meridione, ricorda la morte di Vicienzo. Vincenzo Carnevale, che come dice la leggenda “tene ‘e coglie d’oro e ‘o pesce argiento”. Vincenzo era rappresentato da un fantoccio vestito di tutto punto sdraiato su un letto.

Mi colpì vedere che nella zona del pube gli avevano messo un salame che gli usciva fuori dalla cerniera dei pantaloni. Di tanto in tanto, una delle donne si gettava sopra con il viso e glie lo mordeva. Poi intonando un lamento senza consolazione diceva “è scuccato ‘o meglio trave d’a casa”. E così avanti continuava la celebrazione del cordoglio collettivo, tra finti pianti isterici, allusioni sessuali e fragorose risate. 

Mi colpì che a suonare il tamburo con una tecnica originalissima e virtuosa fossero donne anziane. Alla fine arriva un finto prete che dà l’estrema unzione e la disperazione delle donne giunge al climax e non risparmia nemmeno il prete. Sopraggiunge quindi un finto boia che prende Vicenzo con un forcone seguito da Cicchinella e le altre anziane e lo porta fuori dove viene bruciato su una pira!

Appena Vicienzo Carnevale viene bruciato dalle fiamme, un sentimento liberatorio si staglia sui volti di tutti. 

Cicchinella e CiroCiretta, funerale di Vicenzo Carnevale, Marcianise 2023

Ci sono altre feste di cui mi vuoi parlare?

Non si può non citare la festa della Madonna dell’Arco al Santuario di Sant’Anastasia. Vedendola non si può non pensare al rapporto dei napoletani e degli abitanti dei paesi vesuviani con il loro vulcano, con la loro montagna sacra. All’interno del santuario c’è chi tra i fedeli si prostra in ginocchio e percorre così tutta la navata. Alcuni lo facevano con la lingua a terra, non è raro vedere persone che hanno reazioni simili a crisi epilettiche o di svenimento davanti alla Madonna. 

Nella piazza antistante al santuario si celebra la festa con le tammorre. Qui vidi per la prima volta suonare la giuglianese, una particolare forma di tammurriata accompagnata dal sisco, un flautino autoctono della zona di Giugliano. La prima volta che lo vidi era suonato da un ragazzo bravissimo che aveva una malformazione alle mani dovuta a una grave ustione.

Negli anni mi sono reso conto che non è raro che i migliori suonatori abbiano qualche malformazione. Sono persone che hanno sublimato il disagio. Mi viene per esempio in mente Marco Limatola, nato focomelico, che è diventato il miglior virtuoso della tammorra che la Campania abbia. 

Marco è fortissimo in qualunque stile di tammurriata, da quella giulianese, a quella dell’Agro Nocerino. 

Cicchinella e Luca Rossi, funerale del Carnevale, Marcianise 2023

Hai conosciuto anche Nanninella?

Sì, la notte di Ferragosto, a Nocera durante la festa dell’assunzione di Maria al cielo presso il santuario di Materdomini. Era la prima volta che andavo a quella festa notturna dedicata all’ultima delle cosiddette “sette sorelle”, le sette Madonne che si venerano in Campania. Mi fermai ad ascoltare una donna anziana che intonava un canto meraviglioso che finiva con “chiagnemo ‘e mamme puverelle”.

Provavano in molti ad accompagnarla con il tamburo, ma non riuscivano a comprendere l’intenzione ritmica del canto. Effettivamente, ascoltando con attenzione, Nanninella cantava in modo dispari le strofe. Fui sorpreso, mi feci prestare da uno dei ragazzi che stava lì una tammorra e provai a seguirla nel canto.

Non fu semplice seguirla, ma lei fu contenta. Era anziana, alta un metro e mezzo e con un volto scavato dal tempo. Quando smise di cantare, mi chiese quando fossi nato. Le dissi che ero nato il 21 gennaio. Mi rispose: “Chi nasce ‘o juorno dispari d’’o mese ‘è janauro nisciuno ‘o po’ ffa’ niente. Pure io so’ d’ ‘o juorno dispari d’ ‘o mese  ‘è Jannuaro. Me vulevano fa’na fattura ma nun ne puttettoro cogliere”. Mi strinse il braccio, accennò un sorriso benedicente e rivolse il suo sguardo oracolare verso l’orizzonte della notte. 

Cicchinella, funerale del Carnevale, Marcianise 2023

Come suonare la tammorra con equilibrio tra tradizione e innovazione?

È una domanda molto complessa, io per esempio quando vado alle feste popolari, alcune volte osservo solamente, da ognuna di esse prendo ispirazione, per poi restituire il mondo che mi hanno aperto, quando suono sui palcoscenici. Ovviamente non è la stessa cosa, in quanto nel momento che restituisco quella musica e quel canto su un palcoscenico, lo faccio con il filtro dei mei occhi. 

CiroCiretta, Cicchinella e Luca Rossi, funerale del Carnevale, Marcianise 2023

Bibliografia

Luca Rossi, a chi suona la luna. Giuseppe Vozza Editori, 2021

Sitografia

https://www.luca-rossi.com

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