La “fresella” è il tipico pasto fresco perfetto per le roventi estati campane, e non solo, dato che tutto il Sud Italia possiede la propria versione della fresella. Questo pane biscottato veniva già mangiato in epoche antichissime, una storia millenaria alle spalle che l’ha vista protagonista delle tavole più disparate: dai Fenici ai Romani, dalla miseria della guerra alle tavole regali imbandite di ogni prelibatezza.
Storia e aneddoti della “fresella” (o “frisella napoletana”)
La fresella è un piatto fresco e veloce, che ritorna ogni anno sulle tavole estive di ogni casa campana, e non solo. Il condimento tipico per noi campani è con la classica caponata napoletana: pomodori, basilico, un filo d’olio, un pizzico di sale, una manciata di olive, tonno o alici.
Ma prima di lanciarci nella spiegazione di tutti i modi con cui condire questa fetta di pane biscottata ammorbidita in acqua, andiamo ad analizzare un pò la storia di questo alimento.
Il nome di questo particolare biscotto schiacciato deriva dal verbo latino “frendere” che tradotto indicherebbe l’azione di spezzare, macinare, frangere. Già i Romani conoscevano questo alimento, ma tornando addirittura indietro nel X secolo a.C, i Fenici, abili navigatori, erano soliti portare durante i loro lunghi viaggi queste fette di pane biscottato e duro, in quanto era un alimento molto semplice da conservare e per ammorbidirlo bisognava semplicemente intingerlo, anche perchè no, in acqua di mare.
La lunga conservazione delle freselle ha fatto sì che queste fossero utilizzate anche durante periodi di guerra come alimento per i soldati. Essendo un piatto povero, era anche molto consumato tra gli indigenti, ma era apprezzato anche da membri di casate reale: una volta spezzate e fatte ammorbidire nel brodo caldo, infatti, le freselle erano uno dei piatti preferiti del re Ferdinando IV di Borbone.
La fresella si presta bene anche ad essere inzuppata nella zuppa di cozze, di trippa ma anche per essere condita con ortaggi, come la caponata precedentemente citata.
La nascita della fresella venduta dal tarallaro
Le freselle, come già anticipato, sono taralli di farina bianca o integrale, tagliati orizzontalmente e rimessi nel forno ad asciugare. Assumono una consistenza molto dura dovuta alla doppia cottura, ma basta bagnarle in acqua o con un sughetto per renderle di una consistenza più molle.
Questi dischi biscottati venivano venduti dai tarallari, o anche le tarallare, venditori ambulanti che andavano su e giù per i quartieri della città gridando: “Taralle, taralle càvere!“. Oltre a vendere le freselle, i tarallari, nella loro sporta non potevano mai far mancare i “taralli ‘nzogna e pepe“.
Questi ultimi nacquero alla fine del Settecento ad opera dei fornai che, invece di buttare via la rimanenza di pasta di pane, vi aggiungevano lo strutto e abbondante pepe. Impastavano tutto insieme e, creando delle striscione, andavano a ricreare la classica forma del tarallo che gustiamo tutt’oggi. Solo alla fine dell’Ottocento, ai taralli ‘nzogna e pepe vennero aggiunte le mandorle triturate.
Freselle e taralli, i modi di dire più disparati
In lingua napoletana si usa la parola “fresella” anche per indicare una percossa, uno schiaffo ben piazzato: “c’aggio dato ‘nu pare ‘e freselle“. Inoltre, quando si vuole prendere in giro un ragazzo che è troppo preso dalla sua fidanzata, si usa dire: “chillo tene ‘e freselle annanze all’uocchie” dove l’alimento in questo caso allude alla vagina.
“E’ fernuta ‘a tarallucce e vino“: impossibile non aver mai sentito questo modo di dire. Si usa spesso per indicare una situazione in cui prima era in corso un litigio, spesso familiare, e dopo un confronto è tornata la pace.
Bibliografia
Amedeo Colella; Mille paraustielli di cucina napoletana; Cultura Nova; 2019
Yvonne Carbonaro; Il cibo racconta Napoli; Kairos Edizioni; 2018
Gianni de Buy; Frijenno e Magganno; Il Libro in Piazza Edizioni; 1993
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