Andreuccio da Perugia è uno dei personaggi più noti tra tutti i protagonisti delle novelle raccolte da Giovanni Boccaccio nel suo “Decameron”. Il racconto permette ancora ad oggi a noi lettori di ricavare le peculiarità della Napoli di fine ‘300, quella in cui Andreuccio vive la sua disavventura nelle vesti di uno sfortunato mercante.

L’autore offre la visione di una Napoli difficile da vivere, ricca di intrighi, sotterfugi e personaggi pronti a ingannare l’altro per raggiungere i propri obiettivi: una Napoli, come vedremo, a lui ben nota e, nonostante tutto, tanto amata.

Giovanni Boccaccio e il periodo napoletano

Giovanni Boccaccio, il più noto degli autori trecenteschi italiani insieme a Dante e Petrarca, nacque settecento anni orsono a Firenze, ma Napoli vanta il privilegio di averlo cresciuto fra le sue braccia durante gli anni adolescenziali.

Figlio di un commerciante di nome Boccaccino, si trasferì nel capoluogo campano all’età di quattordici anni per seguire gli affari del padre, il quale era intenzionato ad avviarlo alla stessa professione.

Il giovanissimo Boccaccio, però, dall’animo appassionato, ribelle e coraggioso, avvertiva un forte disagio nel dover imparare il mestiere di agente di cambio: preferiva di gran lunga, con disappunto del padre, inseguire l’amore per gli studi letterali. Cercando di dissuaderlo, Boccaccino lo iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Napoli Federico II, non riuscendo, però, a raggiungere il suo scopo. Infatti, Boccaccio seguì per un anno le lezioni del poeta e giurista Cino da Pistoia, ma il suo fine non era studiare il diritto: aspettava che il corso finisse per assistere ai dibattiti poetici che il suo insegnante impartiva subito dopo al di fuori dell’università.

Ritratto di Giovanni Boccaccio

Grazie all’influenza di Cino, Boccaccio si accostò alla tradizione stilnovista e portò a compimento le prime opere (quelle del “periodo napoletano”, appunto). Inoltre, entrò in contatto sia con gli ambienti accademici letterali e sia con la corte angioina, non smettendo, però, al contempo, di perseguire l’attività commerciale impostogli dal padre. In realtà, questa non fu altro che un vantaggio per la carriera letteraria di Boccaccio: infatti, le avventure e le storie dei mercanti o di altra gente, con cui intratteneva rapporti lavorativi, furono sicuramente di grande ispirazione per le novelle del suo Decameron, come quella celebre di Andreuccio da Perugia.

Il Decameron e la sua cornice

I giovani della onesta brigata, intenti a narrarsi novelle

Giovanni Boccaccio compose il Decameron intorno al 1349, spinto dal desiderio di scrivere una raccolta di racconti legati da una cornice narrativa. Quest’ultima è formata dalla “onesta brigata”, ovvero da sette giovani donne e tre giovani uomini che, incontratisi nella chiesa di Santa Maria Novella di Firenze, prendono la decisione di lasciare la città per sottrarsi al rischio di contrarre la peste, scoppiata nel capoluogo toscano nel 1348.

I dieci ragazzi trovano rifugio in alcune ville di campagna dove si trattengono per la durata di dieci giorni, durante i quali scelgono di passare il tempo narrandosi a turno novelle incentrate ogni pomeriggio su un tema diverso, scelto da un membro della brigata che godrà del “reggimento”, ovvero del potere di stabilire di cosa trattare.
Il reggimento scade al sorgere del Sole, e viene assegnato a un sempre nuovo componente del gruppo, permettendo a tutti di ricoprirlo.

Nel giro di dieci giornate, così, i dieci ragazzi finiscono col raccontarsi un totale di cento novelle, costituendo la cornice narrativa che permette di dare coesione all’opera intera.

La novella di Andreuccio da Perugia e la sua (dis)avventura napoletana

Quella di Andreuccio da Perugia è la quinta novella della seconda giornata, nella quale, sotto il reggimento di una delle giovani, Filomena, “si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine”. Dunque le dieci novelle del secondo giorno devono obbligatoriamente incentrarsi su dei personaggi che, nonostante le proprie disavventure, riescono infine a raggiungere i loro obiettivi e la felicità, come è il caso, vedremo, di Andreuccio da Perugia, protagonista della novella narrata da Fiammetta (altro membro della brigata).

Andreuccio da Perugia, venuto a Napoli a comperar cavalli, in una notte da tre gravi accidenti sopra preso, da tutti scampato con un rubino si torna a casa sua.

II 5, DECAMERON

Andreuccio di Pietro è un commerciante di cavalli perugino che, venuto a conoscenza del buon mercato di cavalli nel napoletano, decide di raggiungere il capoluogo campano per far affari, portando con sé una sacca con cinquecento fiorini d’oro.

Giunto al mercato di Napoli, Andreuccio sfoggia in giro la sua borsa colma di ricchezze, con un pizzico di vanità e orgoglio, dimostrando che fosse lì per fare grandi acquisti. In quel mentre, l’ingenuo mercante viene notato da una bella e giovane prostituta che mette subito gli occhi sui suoi soldi e lo osserva per capire come poter averli tutti per sé.

La donna nota un’anziana signora avvicinarsi poi ad Andreuccio, salutandolo con grande affetto e seguitando a chiacchierare. Una volta allontanatosi Andreuccio, la prostituta ne approfitta per indagare sulla sua identità, chiedendo informazioni alla vecchia. Scopre così che Andreuccio è un ricco mercante e che la donna aveva lavorato per lui e per il padre, prima in Sicilia e poi a Perugia. La vecchia tontolona, senza farsi scrupoli, racconta nel dettaglio la vita di Andreuccio a quella sconosciuta, menzionando anche i nomi di tutto il parentado.

A questo punto, la prostituta architetta il suo piano: manda una serva nell’albergo di Andreuccio per informarlo che “una gentil donna di questa terra, quando gli piacesse, vi parleria volentieri” e che “quando di venir vi piaccia, ella v’attende in casa sua”. Andreuccio, incuriosito, segue la serva fino alla casa della donna misteriosa, che, appena lo vede, lo riempie di abbracci e baci, inventando di essere nientepopodimeno che sua sorella, nata da una precedente relazione del loro padre, nei tempi in cui viveva in Sicilia.

Racconta anche che il loro padre la aveva abbandonata quand’era neonata a sua mamma, per costruirsi una nuova vita a Perugia. Poi, per sembrare ancora più convincente, chiede ad Andreuccio come stiano tutti i vari parenti, chiamandoli per nome, in maniera tale da togliere ogni dubbio alla povera vittima riguardo la veridicità delle sue parole.

Andreuccio, cascato appieno nel tranello, in seguito accetta di restare da lei a cena e, addirittura, viene persuaso a pernottare in una delle stanze in quanto, a detta della “sorella”, “Napoli non è terra da andarvi per entro di notte”. Fatto accomodare in una camera, Andreuccio posa sacca coi denari sul letto e fa per mettersi a dormire, ma, prima, va in cerca del bagno: poggia, però, il piede su una tavola di legno del pavimento, la quale si capovolge, facendolo cadere giù.

Lo sventurato mercante si ritrova, così, in uno stretto, basso e puzzolente vicoletto fra due case e invano chiama aiuto. La prostituta, cogliendo l’opportunità al volo, rimette a posto la tavola che si era capovolta e si appropria dei denari che Andreuccio aveva lasciato sul letto.

Andreuccio, non avendo ricevuto soccorsi, sale su un muretto che dà l’accesso alla strada principale e, recatosi fuori l’ingresso di casa della ladra, grida e batte i pugni sulla porta, nella vana speranza di riuscire a recuperare i suoi cinquecento fiorini, non credendo ancora, però, di esser stato derubato e ingannato: “Oimè lasso, in come piccol tempo ho io perduti cinquecento fiorini e una sorella!”.

Nessuno viene ad aprire al povero Andreuccio e, iniziando a adirarsi per la situazione, l’ingenuo mercante batte alla porta della finta sorellastra con una pietra, finendo con lo svegliare l’intero vicinato. Uno degli uomini della via, innervosito dal gran trambusto, minaccia di ucciderlo se non va via subito, non dando ascolto alle parole di Andreuccio secondo cui sta semplicemente cercando di rientrare in casa della sorella.

Andreuccio, spaventato da quella minaccia, corre via e si rifugia in un casolare, dove due uomini, straniti dal forte puzzo che Andreuccio emanava (causato dall’essersi sporcato nel buio vicoletto), gli si avvicinano per interrogarlo su cosa gli fosse accaduto. Questi capiscono che era finito a casa di una nota prostituta e che doveva ritenersi fortunato ad essere ancora vivo: se fosse rimasto lì tutta la notte avrebbe perso anche la vita, oltre che i fiorini.

Infine, i due uomini, che si svelano poi essere anch’essi ladri, invitano Andreuccio a commetter un furto insieme a loro: quel giorno era stato appena sepolto un arcivescovo napoletano, insieme ai suoi ricchissimi ornamenti, tra cui un rubino al dito, che valeva oltre cinquecento fiorini. I due nuovi personaggi promettono ad Andreuccio che, partecipando al furto, avrebbe riottenuto la quantità di denaro appena perso.

I tre si recano verso la chiesa dove l’arcivescovo è stato da poco seppellito, ma decidono prima di fermarsi presso un pozzo per dare la possibilità ad Andreuccio di togliersi il forte puzzo di dosso. I ladri lo legano a una corda e lo calano giù nel pozzo, ma, poco dopo, vedono arrivare delle guardie, e decidono di darsela a gambe all’insaputa del povero Andreuccio, intento ancora a darsi una rinfrescata.

Le guardie, avvicinatesi al pozzo per bere, tirano su la corda, convinti che legata ad essa ci sia il solito secchio d’acqua, inconsapevoli di star invece trainando su Andreuccio. Quest’ultimo, non appena appoggia le sue mani al bordo della cisterna, spaventa così tanto gli sbirri che, lasciata la fune, scappano subito via.

Andreuccio, pur non capendo cosa sia appena accaduto, raggiunge nella chiesa i due ladri, con i quali si apre un dibattito: chi dei tre avrà il coraggio di entrare nella tomba dell’arcivescovo per togliere da dosso al cadavere tutti i suoi gioielli e beni preziosi? Ovviamente i due imbroglioni costringono Andreuccio ad abbattere ogni timore ed entrarvi, pronti a ritirare la refurtiva che il giovane mercante gli avrebbe man mano passato.

Andreuccio, per non correre il rischio di rimanere senza refurtiva, temendo che i due ladri non vogliano poi spartirne alcuna parte con lui, decide di infilarsi al dito l’anello di rubino dell’arcivescovo di nascosto. Dopo aver spogliato il cadavere di ogni sua ricchezza, Andreuccio si accinge a uscir fuori dalla tomba, ma i due ladri, per niente intenzionati a condividere i gioielli con lui, ne chiudono il coperchio e scappano via, bloccandolo lì dentro.

Andreuccio è sconvolto e traumatizzato; per lui sembra non esservi via d’uscita, fin quando non sente le voci di alcuni uomini provenire dalla chiesa. Questi son venuti a con lo stesso obiettivo di Andreuccio e dei due furfanti: rubare le ricchezze contenute nella tomba dell’arcivescovo. Nessuno di loro, però, vuole scendervi: tutti, tranne uno di loro, hanno paura del cadavere. L’unico coraggioso, dunque, prende l’iniziativa di addentrarsi nella tomba, calando dapprima le gambe. Andreuccio, per farli impaurire e scappar via, gli tocca una gamba come per trascinarlo giù con sé. Al ché il ladro emana un grido di terrore e fugge via, inseguito dal resto della compagnia, lasciando il coperchio scoperto.

Andreuccio grazie all’improvviso ingegno riesce così a uscire dalla tomba, portando ovviamente con sé l’anello di rubino. E, dopo le disavventure passate in meno di ventiquattr’ore, decide bene di tornarsene a Perugia, soddisfatto di aver ottenuto una ricchezza maggiore rispetto a quella con cui era partito, seppur in maniera ben diversa rispetto a come si aspettava.

Quella di Andreuccio da Perugia, è una novella che indaga sul processo di maturazione dell’uomo. Originariamente il protagonista appare come sciocco, ingenuo e credulone, oltre che sfortunato a causa delle varie disavventure. In realtà, la sventura si accanisce contro di lui in quanto Andreuccio non ha la capacità né di aggirarla, né di fronteggiarla. Si lascia, infatti, abbindolare prima da una prostituta e poi da due furfanti che, nonostante siano personaggi negativi, permettono al protagonista di sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e del mondo, maturando e divenendo infine astuto e intelligente.

Bibliografia

DECAMERON, Giovanni Boccaccio; a cura di Amedeo Quondam, Maurizio Fiorilla e Giancarlo Alfano; BUR Rizzoli, 2019.

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