I turisti pagavano i napoletani per mangiare la pasta. Se questa cosa ci sembra davvero strana, dobbiamo fare qualche passo indietro, nell’atmosfera della Napoli del Grand Tour dei secoli passati.
Passeggiando nelle strette strade della Napoli XIX secolo, quelle che esistevano prima del Risanamento, un turista affamato avrebbe incontrato una ricca offerta di street food locale: le bancarelle offrivano carne e dolci, mentre alcune donne cucinavano zuppe di erbe nei loro bassi. Spesso erano presenti piccoli recinti condominiali in cui i capretti aspettavano pazientemente la mungitura.
Nelle strade del mercato, però, quelli che più urlavano erano i venditori di maccheroni che solitamente camminavano con carretti che portavano calderoni colmi di spaghetti bollenti. La pasta veniva poi consegnata a uomini e donne affamati che, per pochi spiccioli, la mangiavano in un solo boccone a mani nude. Erano i famosi mangiamaccheroni napoletani.
Cosa sono i maccheroni?
Dobbiamo tener conto che le tipologie di pasta, con i loro nomi propri, non facevano parte del lessico comune presso il popolo napoletano. In generale si identificava tutta la pasta genericamente come “maccheroni”, anche se singolarmente già si faceva distinzione tra spaghetti, fusilli all’avellinese (e alla napoletana) e altre tipologie di pasta.
D’altro canto, il popolo napoletano era già tristemente famoso per la sua fame sin dai tempi del viceregno spagnolo: si diceva che in città, a causa della miseria suprema che regnava, i napoletani fossero costretti a mangiare anche l’erba ai bordi delle strade pur di nutrirsi. Da qui, il termine “mangiafoglia”.
Questo epiteto si trasformò in “mangiamaccheroni” dopo il regno di Ferdinando IV di Borbone: complice il miglioramento delle condizioni economiche del popolo e grazie ai numerosi accordi commerciali dell’Austria e del Regno di Napoli con le americhe, arrivarono nel Sud Italia numerosi carichi di sementi a buon mercato, dai pomodori alle patate, che rivoluzionarono completamente la cucina napoletana. Anche la pasta e il grano, complici le politiche commerciali di Bernardo Tanucci, diventarono prodotti a basso costo che, complice la situazione climatica perfetta dei paesi vesuviani in cui furono impiantati i pastifici, furono presto adottati come principale nutrimento della popolazione.
Mangiare la pasta a pagamento: una attività consigliata per i turisti
Questo atto di disperazione, spesso sgraziato, rumoroso e sporco, era una delle attrazioni preferite dai turisti stranieri a Napoli.
La città era infatti una delle mete principali del Grand Tour delle ricche famiglie borghesi e nobili dell’Europa intera, che passavano in enorme numero nella capitale del Regno per aumentare il proprio bagaglio culturale. Sul finire del XIX secolo, complice poi il notevole abbassamento dei prezzi dei viaggi e la costruzione delle prime ferrovie, cominciarono anche ad aumentare gli afflussi turistici in città. Ciò che non viene raccontato, però, è che i divertimenti di questi turisti erano spesso demenziali, violenti o amorali in maniera non diversa dalle mode che oggi vediamo su Tiktok.
Davanti ai vari carretti dei venditori di pasta, sparsi in tutto il centro storico della città, si appostavano gruppi di miserabili che chiedevano ai turisti qualche monetina per esibirsi in uno spettacolo tristissimo: mangiare la pasta con le mani. Il fotografo e scrittore americano John Lawson Stoddard, ad esempio, ci racconta nel suo libro “Florence, Naples, Rome”, che si fermò ad offrire ben 20 piatti di maccheroni a un gruppetto di napoletani con il solo scopo di divertirsi nel guardarli mangiare la pasta. Alla fine del racconto spiegò che, anziché divertirsi, rimase particolarmente scosso dalla scena di violenza e fame che si parò davanti a lui: alcuni, pur di strappare un solo spaghetto in più, cominciarono a spintonarsi e picchiarsi urlando. Altri, nel frattempo, si ficcavano masse di spaghetti in bocca più grandi della loro stessa gola, pur di mangiare prima degli altri.
Che sapore aveva la pasta napoletana?
Completamente diverso da quella attuale. Non solo la qualità di grano non era quella moderna (a partire dalla metà del XIX secolo fu adottato il grano Taganrog grazie ad accordi con la Russia, poi si tornò ad usare grano italiano), ma anche la cottura della pasta seguiva procedimenti diversi e non rispettosi delle minime norme igienico sanitarie.
Nei calderoni carichi d’acqua bollente, presa dalle numerose falde acquifere cittadine, veniva calata la pasta accompagnata da lardo e frattaglie di animali in modo da farla insaporire, quasi come se fosse un brodino. Anche la cottura durava moltissimo tempo e la pasta era conservata all’interno dell’acqua calda, diventando quindi sempre più molliccia e scotta. Il condimento di solito era formaggio grattugiato, basilico o qualche altra erba per insaporirla. A partire dal XIX secolo, invece, diventò chiaramente il pomodoro.
Il nostro turista americano, Stoddard, ci regala una testimonianza preziosissima spiegandoci anche il sapore dello street food dell’epoca: un retrogusto acidulo dopo un sapore carico di grasso ai limiti dello stomachevole. Disse che dopo aver mangiato i maccheroni, stette così male che solo scrivere di quel sapore gli fa tornare il voltastomaco. Questa cosa è facilmente spiegata dalla qualità degli ingredienti: erano probabilmente conservati in maniera non adeguata, forse avariati. Allo stesso modo, il trattamento delle interiora degli animali anche in quel caso non era stato fatto a regola d’arte.
Goethe, Sommer e i pastaioli
Questa storia dei venditori di pasta è documentata da numerosissime fonti: ci sono non solo le guide turistiche straniere, principalmente inglesi e francesi. Goethe fu il primo a raccontare questo episodio, per giunta notando che, dal primo al secondo viaggio a Napoli, i carretti di venditori di pasta sembravano quadruplicati. Ed erano passati solamente pochi mesi.
Anche il canonico Andrea De Jorio, che fu uno dei più importanti studiosi dei costumi popolari napoletani tra il ‘700 e l’800, ci descrive con grande efficacia le abitudini dei maccaronari napoletani. Spesso i disperati più fantasiosi si travestivano da pulcinella e improvvisavano danze e balletti mentre mangiavano pasta, in modo da incentivare il turista a lasciare magari anche una mancia.
Con l’avvento della fotografia, questa perversa moda dei maccheroni napoletani andò addirittura a diventare un business vero e proprio fatto di cartoline, disegni e fotografie fatte in studio con gente travestita da pulcinella che mangia la pasta. I fotografi pagavano pochi spiccioli qualche volontario preso dalle strade e, al costo come sempre di un piatto di maccheroni, si mettevano a disposizione per mangiare la pasta e realizzare cartoline e fotografie da rivendere ai turisti nelle botteghe locali.
Mangiare la pasta è una cosa indecorosa per i napoletani: lo stop del fascismo
Alla fine ci pensò il Ministero della Propaganda durante il ventennio a chiudere, una volta e per tutte, una vicenda umiliante che andava avanti per secoli. Fu infatti invitato il Podestà di Napoli a usare il pugno duro contro tutti i fotografi e le attività turistiche che incoraggiassero l’esibizione dei napoletani che mangiano pasta. Addirittura proprio ai fotografi fu minacciata la revoca della licenza qualora avessero continuato a vendere foto poco decorose di Napoli ai turisti.
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