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Immaginiamo una gigantesca nave in cui si muovono fantasmi. Non ci sono luci, la ruggine e la muffa hanno ormai distrutto. Non è una storia di pirati, ma l’avventura della Nave Odessa ormeggiata nel porto di Napoli per ben 6 anni.

Qui vissero isolati per anni senza viveri, acqua corrente, luce e riscaldamento, i marinai della nave. In attesa di una giustizia che non arriverà.

L’orgoglio dell’Unione Sovietica

Odessa, che con tragica ironia condivide con Napoli la sua stessa fondazione, fu il nome di battesimo della più importante e grande nave della flotta civile sovietica. Era un transatlantico costruito in un cantiere inglese e battezzato nel 1974, lungo 134 metri e capace di ospitare palestre, piscine, campi da basket, saune, bar, discoteche, ristoranti, palestre, casinò, un ospedale con tanto di sala operatoria e addirittura un cinema con 200 posti. Praticamente una nave da crociera di lusso capace di rivaleggiare con i titani moderni che frequentano la Stazione Marittima di Napoli.

Nonostante numeri così grandi, la nave trasportava appena 570 persone con un equipaggio formato da 230 ucraini e 35 tedeschi che accompagnava i passeggeri fra il Sudamerica e i Caraibi e, nel periodo estivo, partivano nella Scandinavia e finivano appunto nel Mediterraneo in cui la tappa privilegiata era Capri. Ed è proprio qui che comincia l’odissea.

L’ultimo viaggio verso Napoli

L’Unione Sovietica aveva ammainato da pochissimo tempo la sua bandiera, in quella storica notte del 25 dicembre 1991, e le sue ex repubbliche erano nel pieno del caos della riorganizzazione amministrativa. La giovanissima Ucraina, quindi, si trovò nel pieno di una grossa controversia internazionale riguardante la sua compagnia di navigazione, la Blasco, che aveva debiti per diversi milioni nei confronti di società italiane, tedesche e turche. Una situazione che arrivò al suo culmine il 10 aprile 1995, quando la Polizia sequestrò la Nave Odessa nel porto di Napoli, al rientro dalla tappa di Capri. Ci fu solo il tempo per far evacuare i passeggeri, poi i marinai furono circondati dai militari e costretti a rimanere sulla nave, in attesa di una soluzione per il rimpatrio.

Arrivò dall’Ucraina un telex per rassicurare l’equipaggio: “attendete il tempo di dissequestrarla, si risolverà in poco tempo e tornerete a casa” Stava per cominciare una delle storie più assurde di sempre durata ben 7 anni.

L’inferno a bordo della Nave Odessa

Mentre l’Ucraina, l’Italia la Germania e la Turchia litigavano in tribunale, a vivere l’inferno furono i marinai della Nave Odessa. Anche loro, infatti, erano fra i danneggiati dall’enorme buco economico lasciato dall’improvvisa bancarotta dell’azienda di navigazione e, senza possibilità di tornare a casa, senza una lira in tesca e senza altre soluzioni per ottenere giustizia, decisero ostinatamente di rimanere al largo del Molo San Vincenzo, a bordo dell’ex nave sovietica, in segno di protesta. Questa decisione costò ben 6 anni di attese e la vita di diverse persone dell’equipaggio.

Mi hanno detto che per far un programma in Tv hanno portato delle persone su un’isola che devono riuscire a sopravvivere. Potevano venire qui e filmare noi, senza fare la fatica di portare gente in giro

Andrey Irlikov, primo ufficiale

La vita a bordo della nave Odessa, infatti, è stata documentata in un tragico e intenso documentario di Leonardo Di Costanzo e Bruno Oliviero, che racconta le condizioni estreme in cui i marinai furono costretti a vivere in attesa di una giustizia che arriverà solo alla soglia del nuovo millennio.

I marinai, che nel tempo erano passati da 257 a solo 34, rimanevano asserragliati con una caparbietà militare fra le lamiere di un gigantesco relitto che, senza manutenzione da anni, stava cedendo alla violenza del mare. Finito il carburante, l’elettricità e il gas, senza nessuno capace di poter fornire i più basilari strumenti di una vita contemporanea, i marinai ucraini vissero nell’oscurità più completa, muovendosi fra i corridoi monumentali di quella che un tempo era la più bella nave dell’Unione Sovietica.
Nel frattempo la salsedine aggrediva, la muffa avanzava e gli inverni ghiacciavano le stanze, distruggendo ciò che rimaneva di quell’atmosfera di festa che caratterizzava i bar, le discoteche e le sale da gioco della nave, rimaste invece buie come spettrali case infestate.

Meno male che ci siamo fermati a Napoli perché credo che si ci fossimo fermati in un altro porto saremmo già morti. Qui riceviamo l’aiuto di molte persone

Nicolay Schevtso, marinaio

Le uniche forme di sostentamento per gli ostinati marinai venivano da atti di solidarietà dei portuali di Napoli, che si spingevano di frequente verso la nave per regalare cibo o acqua, dato che la scialuppa di salvataggio aveva esaurito il carburante ed era ormai impossibile da muovere anche solo con i remi. Per i primi anni di occupazione, invece, venivano anche dalle navi ucraine che, quando attraccavano a Napoli, trasportavano sempre qualche pacco dalle famiglie dei marinai.

La nave Odessa nel porto di Napoli. Fotografia di Odessa – Indigo Film

Tra difficoltà, malattie e morte

Numerosi giornalisti hanno realizzato reportage della nave, con scene davvero drammatiche: ci sono infatti immagini dei marinai che, a capodanno, ballano da soli con una scatola di panettone vuota. Altre persone, invece, si riconoscono solo dal rumore dei passi nel buio più totale, dato che ad un certo punto anche le torce elettriche avevano smesso di funzionare. E poi, la morte di uno dei membri dell’equipaggio, stremato da una vita impossibile per quasi ogni uomo.

Nel frattempo l’ostinata battaglia legale e burocratica dei marinai della Nave Odessa continuava, nella speranza di riuscire a riottenere una dignità ancor prima di uno stipendio.

Gli ultimi momenti della Nave Odessa

Per i napoletani il relitto della Nave Odessa vicino al Molo San Vincenzo era ormai diventata un elemento ordinario del paesaggio, che si scorgeva dai traghetti in partenza verso le isole. Se infatti più a nord Villaggio Coppola esibiva le sue rovine di quelle pazze vacanze degli anni ’70, a pochi chilometri l’incantevole costa di Baia era devastata dal “cimitero delle navi”, un infinito ammasso di colossi marini abbandonati. L’ultimo, la Sassari Primo, sarà eliminato solo nel 2018. E infine, come ultimo mostro che rassegna i conti di un secolo che ha devastato i panorami campani, giaceva ancora intatto il cadavere dell’Italsider di Bagnoli.

In questo quadro orripilante delle coste campane degli anni ’90, il transatlantico si inseriva con una certa disinvoltura e così rimarrà fino al novembre del 1999, quando il Tribunale di Napoli dichiarò finalmente la vendita coatta di ciò che restava di quell’orribile relitto.

Il risarcimento, però, fu una beffa: i tribunali italiani diedero infatti risarcimenti irrisori per le famiglie degli ultimi 9 marinai dell’ormai ex transatlantico sovietico, chiudendo in modo drammatico questa complessa e intricata vicenda giudiziaria nel porto di Napoli.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Corriere della Sera – Inserisci il titolo del primo piano
Video Rai.TV – Documentari – Odessa
UN TRIBUNALE DI NAPOLI IL 6 NOVEMBRE SENTENZIERA’ SUL BLOCCO DELLA “ODESSA” (informare.it)

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