Il grande poeta e scrittore Gabriele d’Annunzio amava il lotto; una passione quanto mai “pop” per un uomo tutt’altro che convenzionale. Per i numeri e per il loro significato, il Vate manifestava talvolta una vera e propria ossessione. Un interesse, quello per la numerologia, che si accompagnava all’acquisto di numerosi amuleti e talismani propiziatori (tra i tanti, corna contro la jettatura). Se si visita la sua ultima dimora “Il Vittoriale” – vastissimo complesso ubicato nella parte alta di Gardone Riviera (BS) – si viene letteralmente abbacinati dalla quantità infinita di oggetti presenti nelle stanze del complesso. Essi sono circa 10.000 e sono custoditi nelle stanze della Prioria, ovvero la casa di “Frate Gabriel priore”; a questi, vanno sommati oltre trentamila volumi, ancora consultabili per motivi di studio.

Panoramica del “Vittoriale” a Gardone Riviera (BS) – foto di Augusto Rizza (per gentile concessione della Fondazione Il Vittoriale)

Nelle suggestive camere, rieccheggiano atmosfere che uniscono gli umori orientali a quelli occidentali; organi e tessuti dalle tinte scure, conferiscono una sacralità inedita agli ambienti. In questo contesto così lussuoso e singolare, non risulta difficile immaginare il poeta placidamente sdraiato su uno dei suoi maestosi divani, circondato da cuscini e da magnifiche lampade opalescenti, impegnato a riflettere su quale serie numerica puntare.

L’Officina, lo studio di d’Annunzio. Stanza luminosa e ariosa – soprattutto se rapportata alle altre camere -, era il luogo adibito alla scrittura e alla ricerca. In fondo, sulla destra, un calco in gesso raffigurante la Duse. L’effige è coperta da un sottile velo, in quanto la donna era “testimone velata” dell’impegno del Vate come scrittore – foto di Marco Beck Peccoz (per gentile connessione della Fondazione Il Vittoriale)

Superstizione o curiosità?

Ma D’Annunzio era davvero una persona superstiziosa o semplicemente un curioso? Non ci sono dubbi sul fatto che fosse avido di sapere; fin da giovanissimo, si rivelò un uomo dotato di un’intelligenza vivace, desideroso di approfondire tutti i campi del sapere. Ardito e all’avanguardia, per tutta la vita D’Annunzio conservò uno spirito indomito e curioso, sempre aperto alle novità. A lui dobbiamo alcuni la creazione di alcune parole ed espressioni entrate nel lessico comune come tramezzino, scudetto, vigili del fuoco, veivolo e automobile (declinata la femminile).

Il Vate si dedicava con abnegazione ai piaceri carnali, per i quali pretendeva da sé stesso e dalle compagne una particolare cura nella preparazione all’incontro. D’Annunzio adorava i cani e i cavalli e non disdegnava di rivolgere la sua attenzione ad aspetti più prosaici dell’esistenza come, appunto, il gioco del lotto. Fu anche un grande amante della chiromanzia e non di rado frequentava maghi, cartomanti e veggenti. Appare impossibile confermare se la sua fosse una vera superstizione; va detto, però, che cercava di non perdere mai un appuntamento con la dea Fortuna.

Immagine tratta dal web

Una passione tutta napoletana

Il Vate vinse il suo primo terno in Campania. Il fatto è stato ricostruito con minuziosa dovizia di particolari dal giornalista e storico Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani. Nel volume La mia vita carnale. Amori e passioni di Gabriele d’Annunzio lo studioso racconta «Partendo da Resina per Firenze trovò, in una giacca che non indossava da tempo, dieci lire; le dette a Rocco Pesce, il suo cameriere dell’epoca, con tre numeri. La sera di sabato uscirono e Pesce telegrafò «Vittoria». D’Annunzio aveva per la testa per altri pensieri e telegrafò a sua volta chiedendo chiarimenti. Pesce, che non doveva essere un’aquila, chiarì con un altro telegramma «Vittoria su tutta la linea». Solo al ritorno, Gabriele poté sapere di cosa si trattava».

Una vincita importante del Vate risale al 1907 quando, da un terno (14-64-68) giocato sulla ruota di Firenze, ricavò ben 42.000 lire, una cifra per l’epoca considerevole. 80.000 lire le vinse invece nel 1927 con un altro terno secco, somma che venne adeguatamente festeggiata.

I numeri del Vate

I numeri da giocare gli giungevano spesso per caso; si racconta che un giorno d’Annunzio svegliandosi da un riposino pomeridiano, vide che le lancette dell’orologio segnavano le 17:30; i due numeri li giocò immediatamente. Come evidenzia Attilio Mazza nel suo D’Annunzio e l’occulto il poeta prediligeva i numeri dispari; era convinto che i pari portassero sfortuna. I suoi numeri preferiti erano l’11 (il preferito in assoluto), il 9, il 7, il 21 e il 27. Nel creare le combinazioni da giocare, però, si concedeva di utilizzare anche i numeri pari. Le ruote su cui preferiva puntare erano quelle di Firenze, Venezia e Milano e, generalmente, giocava cifre che si aggiravano intorno alle 100 lire.

I numeri della tombola – fonte web

L’amore per Napoli

«Non la amerei se non giocassi al lotto regolarmente». Così soleva dire il poeta parlando di Napoli: attraverso il lotto, d’Annunzio rafforzò il suo amore per la città, dove visse, tra il 1891 e il 1893, un periodo molto intenso sia sotto il profilo professionale che personale. A Napoli, il Vate concluse la raccolta di poesie Elegie romane (iniziata nell’estate 1887), che fece pubblicare dall’editore Zanichelli di Bologna.

Nel 1893, diede invece alle stampe Poema paradisiaco, un’opera che costituisce un punto di svolta nella sua produzione letteraria. Nel frattempo, a Resina nacque dalla relazione con Maria Gravina Cruyllas quella che sarà la figlia amatissima, Renata, chiamata affettuosamente “Ciciuzza”. A seguito di una sfida ingaggiata dal poeta Ferdinando Russo ai tavoli del caffè Gambrinus – almeno così vuole la tradizione – d’Annunzio compose, nel 1892, la celebre ‘A Vucchella, canzone che riscosse un grande successo grazie anche alla corposa interpretazione di Enrico Caruso.

Il lotto: croce e delizia

Tra un viaggio e l’altro, il gioco del lotto appariva come una costante nella vita di d’Annunzio. Poche volte vince, molte volte perde. Nonostante questo, il vizio del gioco lo accompagna negli anni, e sembra acuirsi in età senile, diventando una passione sfrenata.

Solo una volta, e questo lo racconta il figlio Mario, il Vate rinunciò a giocare: il fatto avvenne a Bologna dove, uscito da un albergo, venne circondato da un gruppo di studenti. «Quando questi lo lasciarono, continuarono a seguirlo con lo sguardo. Mio padre, che era uscito per andare a giocare un terno, si vergognò al solo pensiero che la gente pensasse che un uomo così diverso avesse qualcosa in comune con la mediocre meschinità umana e decise di rientrare in albergo». Il problema fu che il terno uscì davvero, facendo disperare non poco il poeta.

Si ringrazia la Fondazione Il Vittoriale per il materiale fornito.

Bibliografia

Attilio Mazza, D’Annunzio e l’occulto, Roma, Edizioni Mediterranee, 1995

Francesco Barbagallo, Napoli, Belle Époque, Roma-Bari, Laterza, 2015

Giordano Bruno Guerreri, La mia vita carnale. Amori e passioni di Gabriele d’Annunzio, Milano, Mondadori, 2017

Giordano Bruno Guerreri, D’Annunzio. La vita come opera d’arte, Milano, Rizzoli, 2023

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