Il 18 maggio 1990, nel cuore del Rione Sanità di Napoli, si consumò una tragedia che scosse profondamente l’intera comunità cittadina. In un agguato di camorra, persero la vita Gennaro Pandolfi, un venditore ambulante di 29 anni, e suo figlio Nunzio, di soli due anni.

La dinamica dell’omicidio

Quella sera, Gennaro Pandolfi era appena tornato a casa dopo un periodo di ricovero ospedaliero a seguito di un incidente che gli aveva causato l’amputazione di quattro dita del piede. La famiglia aveva organizzato una piccola festa a sorpresa in vicoletto San Vincenzo alla Sanità, dove vivevano con la madre di Vincenza, compagna di Gennaro. Durante la celebrazione, mentre Gennaro teneva in braccio il piccolo Nunzio, due killer fecero irruzione nella casa, sparando all’impazzata. L’agguato provocò la morte immediata di Gennaro e del bambino, quest’ultimo colpito al cuore da un’unica pallottola. Nunzio spirò durante l’intervento chirurgico.

Gennaro Pandolfi

Il contesto criminale

Gennaro Pandolfi era noto nell’ambiente camorristico come autista del boss Luigi Giuliano del clan di Forcella. La sua uccisione si inserisce in un periodo di intensa faida tra il clan Giuliano e l’Alleanza di Secondigliano, che comprendeva gruppi come i Casalesi e i Mallardo. L’omicidio di Gennaro e del piccolo Nunzio fu interpretato come un atto di vendetta per un precedente omicidio legato al clan Contini, associato al clan Giuliano.

Le indagini e il processo

Le indagini portarono all’identificazione degli esecutori materiali dell’omicidio: E. Morra e M. Rapone. Grazie alla testimonianza di G. Poziello, che riconobbe i due come i killer, entrambi furono condannati all’ergastolo. Tuttavia, l’identificazione dei mandanti richiese più tempo. Nel 2006, le dichiarazioni di collaboratori di giustizia indicarono in G. Licciardi, L. Guida e G. Mallardo i responsabili dell’ordine di uccidere Gennaro Pandolfi. Nel 2009, la Corte d’Assise di Napoli condannò all’ergastolo Mallardo e Guida. Tuttavia, in appello, nel 2010, entrambe le condanne furono annullate a causa di incongruenze nelle testimonianze dei collaboratori, portando all’assoluzione dei due boss.

L’impatto sulla comunità e il ricordo

La morte del piccolo Nunzio suscitò un’ondata di indignazione e dolore. Durante i funerali, il parroco di Santa Caterina a Formiello, don Franco Rapullino, pronunciò un commovente appello: “Fujtevenne ‘a Napule” (“Andate via da Napoli”), esprimendo la disperazione per la violenza che affliggeva la città. Oggi, il nome di Nunzio è ricordato insieme alle oltre mille vittime innocenti delle mafie, mantenendo viva la memoria e l’impegno nella lotta contro la criminalità organizzata

Sitografia


Wikipedia

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