C’è una strada a Chiaia intitolata a un uomo che fu assessore del Comune di Napoli per soli 4 anni, nel lontano 1907. Il suo nome è Giacomo Piscicelli (un cugino alla lontana, Maurizio Piscicelli, ha invece intitolata una strada al Vomero) che, fra navigatori straordinari come Giovanni Bausan, medici indimenticabili come Ferdinando Palasciano e musicisti fantastici come Giuseppe Martucci, sembra quasi sfigurare un semplice assessore, che per giunta nemmeno fece cose straordinarie.
Giacomo Piscicelli, invece, aveva come progetto politico la creazione di una Napoli a misura di turista, aggiustando tutte quelle cose che creavano problemi ai visitatori in città: i tassisti ladri, la spazzatura in strada, i cani randagi, gli scioperi dei mezzi pubblici e i vigili urbani indisciplinati.
Insomma, rispetto ai progetti turistici di Lamont Young con il suo sogno di Rione Venezia, questa è ben poca cosa. Ma anche questo progetto fallì drammaticamente fra opposizioni politiche e rivolte popolari.
Una storia di un amministratore cittadino battagliero e incorruttibile che finì, purtroppo tragicamente.
Dai campi di battaglia a Palazzo San Giacomo
I Piscicelli sono una antica famiglia nobiliare di Napoli che frequenta la città sin dai tempi del Ducato quando, nel 997, abbiamo notizia di un certo Leodoro Piscicello, generale di cavalleria dell’imperatore Basilio II.
Passano quasi 1000 anni nei quali i Piscicelli si dividono in tantissimi rami (De Vito Taeggi, De Vito Longobardi e diversi altri), ma non cambia nulla nelle tradizioni di famiglia. Maurizio e Giacomo, infatti, pur essendo parenti alla lontana, entrambi furono avviati alla carriera militare, facendo strada e gloria fra i ranghi dell’esercito italiano.
Poi le vite si divisero: se Maurizio scelse la gloria militare che lo porterà ad una tragica fine nella battaglia di Caporetto, Giacomo invece svestì la divisa di alto ufficiale di artiglieria per andare nel 1907 a Palazzo San Giacomo, nella giunta comunale guidata da un amico di famiglia, il sindaco Ferdinando del Carretto. Cominciò così un’esperienza di 4 anni in cui l’assessore si distinse in una battaglia contro numerose illegalità praticate sul territorio napoletano, che 10 anni prima furono messe in luce dall’Inchiesta Saredo.
L’altra per regolarizzare il mercato dei cocchieri, gli odierni tassisti, che erano tristemente noti in tutte le cronache cittadine e sconsigliati in tutti i manuali di viaggio per turisti: quasi tutti i viaggiatori che vennero a Napoli raccontano di essere stati truffati o addirittura minacciati dai cocchieri. Memorabile è ad esempio la litigata che fece il giapponese Harukichi Shimoi.
Questa sua opera politica gli valse però una vita impossibile, fra minacce di stampo camorrista e scioperi.
Fra canili, tram e cocchieri: tutto per il turismo
Giacomo Piscicelli non si limitò solo alla regolamentazione del mercato dei cocchieri. Fu infatti il promotore della costruzione del primo canile pubblico di Napoli, a Sant’Eframo Vecchio, per risolvere il problema dei cani randagi in città che, leggendo qualche cronaca dell’epoca, aggredivano gli improvvidi turisti che si avvicinavano alle zone presidiate da qualche branco di cani.
L’introduzione del tassametro e il rinnovamento del parco carrozze, con modelli nuovi dotati di tende e sedili più morbidi, fece infuriare i cocchieri. L’intento dell’assessore era quello di migliorare gli aspetti della città più critici. Troviamo aneddoti orribili sui vetturini napoletani in quasi ogni testo dei secoli passati: da Francesco De Bourcard a Goethe e Marco Monnier nel secolo XIX, arrivando anche ai più recenti Ian Fleming negli anni ’40 e Harukichi Shimoi nel 1917.
Gli scioperi dei cocchieri avevano fatto tremare il Comune più volte (nel 1893 fu addirittura chiamato il capintesta della Pignasecca per riuscire a trovare una mediazione fra i protestanti e la pubblica amministrazione), ma l’assessore, con il placet del sindaco Del Carretto, fece anche intervenire i bersaglieri per placare le manifestazioni.
Non contento, riuscì a inimicarsi anche i tranvieri, che fra i tanti scioperi che indicevano, ne organizzarono uno per l’istituzione di una scuola di Guardie Municipali da piazzare nei tram in veste di controllori e guidatori, per sostituire i macchinisti che saltavano i turni. I servizi di trasporto pubblico a Napoli, infatti, erano considerati fra i peggiori in Italia per ritardi, assenze e scioperi: nel 1903 ci fu uno sciopero durato ben 24 settimane.
Tra scioperi e movimento operaio
La Società Belga dei Tramways, concessionaria dei servizi di trasporto pubblico, era diventata infatti un esempio di corruzione e inefficienza con la connivenza delle amministrazioni, come dimostrato nell’Inchiesta Saredo del 1901.
Nel frattempo, nell’Italia intera, il movimento operaio stava prendendo sempre più piede: nei primi anni del ‘900 tutta Italia fu stravolta da scioperi dei lavoratori che chiedevano garanzie e diritti. I tranvieri di Napoli, infatti, scioperavano per gli stipendi pagati in ritardo ed i turni massacranti.
La vicenda, anni dopo, arrivò in Parlamento a Roma.
La Società dei trams di Napoli, che prima ha cercato di corrompere dei pubblici amministratori, che poi ha cercato di corrompere (e purtroppo le tracce si sono potute ritrovare) dei magistrati, la Società dei trams di Napoli ha tentato di demoralizzare il personale ponendo gli uni contro gli altri, e cercando di acquistare successivamente tutti i così detti capi degli scioperi man mano che questi erano conosciuti.
Intervento di Arturo Labriola nella seduta del 19 maggio 1914 alla Camera dei Deputati
Giacomo Piscicelli fece un’azione beffarda: decise di guidare personalmente un tram davanti al corteo di macchinisti in protesta.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso: si era inimicato macchinisti, imprenditori e tassisti. E non c’è dubbio che pure i cani randagi non dovessero tenerlo in gran simpatia.
«L’Onorevole Labriola chiede di conoscere i provvedimenti presi da Governo per l’assenza totale di un pubblico servizio nella città di Napoli, con grave nocumento del commercio in quella città »
Seduta del 19 maggio 1914, Camera dei Deputati
Le proteste dei fornitori di trasporti pubblici e privati cominciarono a diventare sempre più pressanti, tanto da non lasciare la politica napoletana indifferente.
A Palazzo San Giacomo si cominciò infatti a suggerire all’integerrimo assessore Giacomo Piscicelli di ammorbidire la propria linea, soprattutto dinanzi ad una nuova impresa che stava per affrontare il battagliero assessore: la riforma dei turni e dei regolamenti delle Guardie Municipali (gli odierni Vigili Urbani), considerati inefficienti, e della nettezza urbana, che doveva essere raccolta di notte e doveva garantire le strade principali perfettamente pulite.
I nemici erano ormai davvero tanti, anche all’interno delle stesse amministrazioni pubbliche.
Le dimissioni e la tragica fine
Giacomo Piscicelli, alla fine, con nobile sdegno e grande tristezza decise di dimettersi il 14 gennaio 1911, quando vide naufragare nell’assemblea di Palazzo San Giacomo tutte le sue proposte di riforma della raccolta della spazzatura. E i cocchieri, nonostante l’introduzione del tassametro, continuavano comunque a far tariffe di testa loro senza sanzioni e controlli da parte delle Guardie Municipali.
Per concludere tragicamente la sua storia, finì in modo ancora più triste e sfortunato: nel dicembre 1912, a soli 47 anni, scivolò battendo la testa per terra: morì in ospedale per le complicazioni dovute all’incidente.
La sua eredità fu però raccolta dal figlio Oderisio De Vito Piscicelli che, quarant’anni dopo la morte del padre, lavorò incessantemente per riuscire a fargli dedicare una strada. Alla fine ci riuscì nel 1959, quando il Comune di Napoli era nel pieno delle rivoluzioni urbanistiche e delle colate di cemento, dando il nome del padre a Vico I Santa Maria in Portico.
Giacomo Piscicelli non fu un artista, un letterato o un politico che cambiò le sorti d’Italia. Fu un uomo onesto e battagliero in una città che non ama i Don Chisciotte. Tanto basta per essere un esempio di vita per tutti gli amministratori e cittadini che, passeggiando per Chiaia, incroceranno il suo nome.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Gianni Infusino, Le Nuove Strade di Napoli, Adriano Gallina, Napoli, 1987
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