La cucina popolare, si sa, si tramanda prevalentemente tramite tradizione orale. Le ricette si passano dai genitori ai figli, secondo regole che spesso sono familiari e non per forza condivise. Ci sono però alcuni libri di cucina napoletana che raccontano la storia della città stessa. Ripercorriamo la storia bimillenaria della cucina napoletana attraverso i libri.
I libri di cucina napoletana più antichi
Il capostipite di tutti i ricettari di cucina napoletana è quello del cuoco romano Apicio, che scrisse il De re coquinaria. In questo volume ritroviamo alcune ricette che si tramandano fino ai giorni d’oggi: la modalità di conservazione sotto aceto, che darà vita alle zucchine alla scapece; il garum, che darà vita alla colatura di alici; le laganum, cucinate a strati con carne ( qualcosa di simile alle lasagne) e zuppe di verdure, legumi e carni, la probabile antesignana della menesta mmaretata.
Tra i libri di cucina napoletana più antichi troviamo anche il Liber de Coquina, redatto presso la corte angioina nel Medioevo, in cui si trova un primo riferimento alla ricetta della genovese (De Tria Juanuensis).
In epoca cinquecentesca un affresco della cucina napoletana arriva dal volume del marchese Giovan Battista del Tufo dal titolo Il ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli, che indugia sui costumi gastronomici del popolo napoletano. Il nobile parla di dolci, rustici, zuppe (pastiera, sanguinaccio, casatiello), piatti che si assaggiano ancora oggi sulle nostre tavole.
Nella prima metà del Seicento, Giovan Battista Crisci scrive La lucerna de’ corteggiani che è un elenco di vivande e menù utilizzati nelle corti aristocratiche di napoletane.
I primi libri di cucina napoletana che si possano definire tali
Il primo ricettario di cucina napoletana che si possa definire tale è il libro di Vincenzo Corrado, monzù di cose aristocratiche, del 1765, intitolato Il cuoco galante. Siamo nel regno di Ferdinando I di Borbone e di sua moglie Maria Carolina, e il libro parla proprio dei cibi che si mangiavano a corte, quelli più ricchi ed aristocratici, di derivazione francese; manca completamente qualsiasi riferimento al cibo della Napoli popolare.
Qualche anno più avanti lo stesso autore pubblicherà i primi studi sull’importanza di un’alimentazione basata su prodotti vegetali piuttosto che animali, prodotti semplici essenziali, di stagione. Si tratta del libro dal titolo Il Cibo pitagorico.
Al 1837 risale il ricettario più importante tra i libri di cucina napoletana, La cucina teorico pratica di Ippolito Cavalcanti. Anch’esso è un libro di cucina aristocratica, riportante un menù diverso per ogni giorno dell’anno. C’è anche un capitolo dal titolo Cucina casereccia, ma è pur sempre una cucina sofisticata, da aristocratici, mai veramente semplice e popolare.
Alla fine del libro Ippolito Cavalcanti rende anche omaggio alla lingua napoletana, scrivendo tutto l’ultimo capitolo in dialetto.
I libri di cucina napoletani più recenti
Tra i ricettari più recenti troviamo quelle che attualmente sono considerate le pietre miliari della cucina napoletana. Si tratta del volume La cucina napoletana di Jeanne Carola Francesconi, del 1965, definito ancora oggi la “bibbia” della cucina napoletana.
Presentato da Luciano De Crescenzo, “Frijenno magnanno” è un’altra raccolta di ricette tipiche campane per tutti gli appassionati di cucina, è il libro rosso e giallo che si vede in praticamente tutte le cucine delle nostre case!
Claudia Colella
Bibliografia: Mille paraustielli di cucina napoletana, Amedeo Colella
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