Roscigno

Bisognerebbe entrarci in punta di piedi a Roscigno Vecchia e, in generale, in tutti quei luoghi che sanno di antico.
Esiste anche una Roscigno giovane, ricostruita a poca distanza, ma qui vi racconteremo la storia del primo insediamento, lasciato dai suoi abitanti per “cause di forza maggiore”, e che ha ancora tanto da raccontare.

L’etimologia di Roscigno

Partiamo dal nome; perché per capire la storia dei luoghi bisogna prima di tutto ricercare l’etimologia delle parole. Di ricostruzioni ce ne sono tante. La prima fonte certa risale al 1086 quando Giordano, figlio di Giovanni conte di Capaccio e di Corneto (l’attuale Corleto Monforte), donò la Chiesa di Santa Venere ai monaci dell’Abbazia di Cava de’ Tirreni.

In tale “strumento” Roscigno veniva indicata come “Russino”, diventata poi “Russigno”, “Ruscigni” e, infine, “Roscigno”. Il suo nome potrebbe risalire sia al canto degli usignoli, dal latino “luscinia”, un tempo qui molto diffusi, sia alla particolarità della sua terra rossa e che farebbe derivare il toponimo da “russeus”, “rosso” a cui fu aggiunto il suffisso “-ineus”, appunto per ricordare la natura rossastra dei terreni di quest’area del Cilento.

La storia di Roscigno

Il territorio di Roscigno cominciò ad essere abitato proprio dall’anno Mille, sia per la presenza nelle vicinanze di un complesso monastico, sia per la presenza di pastori che per evitare lunghe trasferte cominciarono a costruire in quest’area dei ricoveri per uomini e animali. La storia di questo luogo, però, è legata a filo doppio al Monte Pruno, agli Enotri prima e ai Lucani poi.

Furono proprio questi popoli ad abitare per primi quest’area ed il ritrovamento di tantissime suppellettili di terracotta ha conferito a questo luogo un’importante rilevanza storica che ha condotto alla nascita del Parco Archeologico del Monte Pruno, gestito in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli che ha avviato anche una Scuola di Scavo, e del Museo Archeologico dove poter ammirare tutti i reperti finora ritrovati e databili tra il VI e il III secolo a.C.

Le frane e l’inizio dell’abbandono

La storia di Roscigno è legata a quella dell’instabilità della sua terra e al fatto che fu ricostruito per ben tre volte a seguito di varie frane avvenute tra il Seicento e la fine dell’Ottocento, facendo guadagnare a questo luogo la fama di “paese che cammina”.

Agli inizi del Novecento, il Genio Civile decise di evacuare l’area e di ricostruire il nuovo paese su un pianoro molto più stabile, seppur a breve distanza dallo storico abitato che negli anni è diventato il famoso “paese fantasma”. C’è ancora tutto: la Chiesa dedicata a San Nicola di Bari del Settecento, la piazza, la fontana, le case (diroccate), ciò che manca sono le persone, anche se, in seguito alla decisione di sgombrare l’area, alcuni abitanti decisero di restare, sprezzanti del pericolo.

Suor Dorina l’ultima abitante e Giuseppe il custode

Per anni Teodora Lorenzo, per tutti Dorina, è stata l’unica e ultima abitante di Roscigno Vecchia: era lì ad accogliere turisti e curiosi e con il suo dialetto raccontava ogni dettaglio, cosa c’era in quella casa abbondonata o nell’altro rudere crollato, scusandosi per eventuali errori perché lei “nun parlava francese”. Non aveva voluto seguire la sorella Concetta e il fratello Mario ed era rimasta lì, nella casa del padre, seppur senza luce, acqua e gas.

Dorina morì nel 2000, a 85 anni, e da allora si è fatta strada la figura di un altro veterano: Giuseppe Spagnuolo, emigrato dapprima in Lombardia, poi in Svizzera, salvo poi tornare a Roscigno qualche decennio fa e diventare, col tempo, il vero custode del luogo e del Museo della Civiltà Contadina.
Proprio per questo più che più che “l’ultimo abitante” è considerato “il primo del millennio”.

Il Monte Pruno e il balcone degli Alburni

Roscigno si trova a quasi seicento metri sul livello del mare, mentre il Monte Pruno, la vetta abitata un tempo da Enotri e Lucani, ne raggiunge quasi novecento, diventando, proprio per questo, luogo di importanza strategica e guadagnando l’appellativo di “balcone degli Alburni”.

La sua posizione era davvero invidiabile per i popoli di un tempo, sia perché collegava il Vallo di Diano al Cilento interno, sia per la sua inaccessibilità che lo rendeva praticamente inespugnabile per la presenza di profondi strapiombi e sia per la presenza, nelle vicinanze, di numerosi corsi d’acqua. Fu proprio per questi motivi che i Lucani costruirono qui un’opera architettonica eccezionale: imponenti mura di difesa con fondazioni ancorate nella roccia viva dalla larghezza di cinque metri e di cui oggi è stato riportato alla luce un tratto abbastanza lungo. Inoltre, grazie agli scavi avvenuti con sistematicità negli ultimi decenni, è stata ritrovata una vera e propria necropoli databile VI secolo a.C.

Roscigno e il suo futuro

Tanti sono i film che sono stati ambientati a Roscigno Vecchia, da “Noi credevamo” di Mario Martone a “Radio West” di Alessandro Valori, complice un borgo rimasto così com’era a inizio Novecento e che conserva tutto il fascino del passato, seppur segnato dall’inesauribile scorrere del tempo.

Quando Onorato Volzone, giornalista de “Il Mattino”, scoprì Roscigno nel 1982 lo definì “la Pompei del Novecento”, avviando un’importante discussione sulla sua valorizzazione. Col tempo tanto è stato fatto, dalla nascita della Pro Loco cittadina al Museo della Civiltà Contadina, considerato uno dei più importanti del Sud Italia, fino all’inserimento di Roscigno Vecchia nella lista dei siti Patrimonio Unesco, avvenuta nel 1998.

Inutile dire che ora con il Museo Archeologico degli Scavi di Monte Pruno e con un rinnovato interesse turistico, si spera in un potenziamento della fitta rete sentieristica dell’area e in un’opera di ristrutturazione totale del borgo.
Come ha scritto Carmen Pellegrino nel suo libro “Cade la terra”: “qui la magnificenza è nella polvere” ed è da qui che andrebbe ricostruito questo borgo, dalla stessa polvere di chi lo ha eretto.
Proprio come hanno fatto loro.
Pietra su pietra!

Bibliografia

“Il mio Cilento: viaggio in un territorio dell’anima” – Mariantonietta Sorrentino – Editore: La Piccirella Rossella

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