La strage del Venerdì Santo. In un angolo di Sant’Anna di Palazzo, tre vite innocenti furono spezzate in un agguato che portava con sé il marchio indelebile della camorra.
La faida tra clan
La faida tra il clan Mariano e una fazione di scissionisti, capeggiata da S. Cardillo e A. Ranieri, aveva radici profonde. 24 marzo 1991, l’agguato mirato a V. Romano, braccio destro di C. Mariano, fallì. Invece, l’autista di Romano, C. Napolitano, perse la vita, mentre Romano rimase gravemente ferito. Così ebbe inizio la strage del Venerdì Santo

La strage del 29 marzo
Cinque giorni dopo, il 29 marzo, il clan Mariano orchestrò una risposta brutale. Un commando armato, armato di mitragliette Uzi, fece irruzione in Sant’Anna di Palazzo, aprendo il fuoco indiscriminatamente. Le vittime furono Luigi Terracciano, 37 anni, Umberto Esposito, 30 anni, e Carmelo Pipoli, 34 anni. Tutti e tre stavano semplicemente andando a giocare a calcetto, ignari del destino che li attendeva.
Le vittime innocenti della strage del Venerdì Santo
Le indagini rivelarono che nessuna delle vittime aveva legami con il mondo della criminalità organizzata. Erano uomini comuni, con sogni e speranze, che quel giorno incrociarono la tragica traiettoria di un conflitto che non li riguardava.
Arresti e condanne
L’eco della strage portò a una serie di arresti. C. Mariano, ritenuto il mandante dell’agguato, fu catturato e condannato all’ergastolo. Le indagini identificarono anche altri membri coinvolti, tra cui P. Pesce, che, dopo essere stato condannato in primo grado, fu successivamente assolto in appello.
Un ricordo che resta impresso
La strage del Venerdì Santo rimane uno dei capitoli più dolorosi nella storia recente di Napoli. Un monito sulla brutalità della violenza camorristica e sulla tragica realtà che spesso le vittime innocenti pagano il prezzo più alto nei conflitti tra clan.
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