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Serva, fantesca.
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estens.Donna del popolo sguaiata e volgare, incline al pettegolezzo e alla rissa.
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Quante volte abbiamo sentito il termine vaiassa? L’etimologia che abbiamo riportato è la più accreditata, ma comunque resta insicura.
Quello che sappiamo con certezza è che la figura della serva sguaiata e pettegola è una delle più colorite e forti della scena folklorica napoletana. Non è un caso, in effetti, che attraverso i secoli il termine si sia conservato intatto e salga facilmente alle labbra di tutti nel momento in cui vogliano denominare un particolare tipo di persona.
Tuttavia occorre cancellare dalla nostra mente l’immagine della “vaiassa moderna”: quella, insomma, che siamo abituati a vedere gironzolare per la città con modi non esattamente aggraziati e discreti; dobbiamo fare uno sforzo d’immaginazione e risalire all’origine primaria del termine. Servirà, all’occorrenza, un tuffo nella colorata, colorita, povera e agitata Napoli del ‘600.
La vaiassa, in questo contesto, altri non era che la serva di casa, la fantesca, come d’altronde riporta il primo significato del termine: tra gonne ampie, fasce colorate, panni stesi e secchi d’acqua contribuiva a costruire il variopinto quadro della Napoli spagnola.
E in effetti, nei primi anni del XVII secolo, ci fu uno scrittore che decise di lasciare ai posteri un’epopea altrettanto variopinta di questo tipo umano: stiamo parlando di Giulio Cesare Cortese e della sua Vaiasseide.
Apparso per la prima volta sui tavoli delle tipografie napoletane nel 1612, l’opera è un poemetto eroicomico in cinque canti, e narra le avventure d’amore di tre serve: Renza, Preziosa e Carmosina. I padroni delle tre protagoniste tentano di ostacolare il loro matrimonio coi rispettivi innamorati, Manichiello, Cienzo e Ciullo.
Secondo alcune fonti, l’idea per scrivere l’opera sarebbe venuta all’autore in seguito a un rifiuto amoroso: una gentildonna di Firenze, dove si trovava in viaggio, lo avrebbe rifiutato arrivando a colpirlo con una scarpetta. Questo comico episodio, forse aneddotico, forse veritiero, sarebbe dunque alla base della Vaiasseide.
L’opera costituisce un preziosissimo affresco del popolo napoletano del XVII secolo; le scene quotidiane che parodiano le grandi scene epiche, i vocaboli chiassosi e coloriti che sbeffeggiano il barocco dei marinisti e più in generale la vivacità e l’intelligenza della penna di Cortese offrono una testimonianza su questo periodo storico pari a quella di alcuni coloratissimi quadri del tempo.
Attraverso i versi di quest’opera possiamo respirare a pieni polmoni antiche e lontane tradizioni della nostra città: dai piatti tipici della nostra gastronomia offerti alle nozze alle superstiziosi sulle coppie d’innamorati, passando per una sfilza proverbi e motti popolari.
Io canto commo belle e vertolose (virtuose)So’ le vaiasse de chesta cetate,E quanto iocarelle e vroccolose,Massema quanno stanno ‘nnammorate;
Beatrice Morra
Illustrazione in copertina di Lisa Mocciaro
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