La steppa russa e la riva fiorita di Posillipo sembrano due mondi inaccostabili fra loro. Eppure fra Napoli e la Russia c’è una speciale amicizia che dura da più di tre secoli e che ha lasciato numerosissime tracce ancora oggi visibili per le strade. (ed anche nei cognomi: vi dice qualcosa Papoff?)
Basta infatti camminare nel cuore di Napoli, per Piazza Trieste e Trento, e compare una lapide scritta in cirillico nell’angolo di un balconcino: racconta la storia del primo contatto fra i russi ed i napoletani. Ed a San Pietroburgo basta andare davanti alla Cattedrale della Madonna di Kazan per avere una strana sensazione di deja vu: non è qualcosa di già visto?
Il napoletano che progettò San Pietroburgo
Il nome di un tale Karl Ivanovich probabilmente non sveglia alcuna memoria. Per i russi, invece, è un personaggio fondamentale nella storia di San Pietroburgo: l’architetto napoletano disegnò letteralmente l’ex capitale russa. Fu lui infatti a tracciare strade, palazzi e quartieri con lo stile neoclassico tanto caro alla Napoli borbonica.
Il nome vero dell’architetto era Carlo Rossi, napoletano e figlio di una ex ballerina russa. Si trasferì in Russia e visse lì fino alla morte.
Si dice che i napoletani portino la propria città nel cuore per tutta la vita e, in effetti, il caso dell’architetto Rossi\Ivanovich ne è la dimostrazione: sono numerosissimi gli edifici di San Pietroburgo più o meno ispirati alle architetture napoletane: su tutti il Teatro Aleksandrinskij, con la facciata assai simile al San Carlo.
La Cattedrale della Madonna di Kazan, quella nella fotografia, presenta notevoli somiglianze con la Basilica San Francesco di Paola, ma in questo caso la chiesa russa è stata costruita prima di quella napoletana e non ci sono prove certe di influenze architettoniche reciproche.
La musica di Napoli sullo Sputnik
Rossi non fu però il solo napoletano a trasferirsi a San Pietroburgo: ci pensarono infatti anche musicisti come Giovanni Paisiello, che passò gran parte della sua carriera alla corte della Zarina Caterina I di Russia, ad inizio XIX secolo. Ed addirittura la canzone più famosa del mondo, ‘O sole mio, nacque ad Odessa: la compose Edoardo Capurro in un momento di nostalgia durante un tour in Ucraina (che era controllata dalla Russia), dato che i musicisti napoletani erano richiestissimi in tutti i teatri dell’Impero.
La canzone fu cantata anche fuori dal pianeta Terra nel 1961: l’astronauta Juri Gagarin, durante il primo viaggio dell’Uomo nello Spazio, nel silenzio della sua astronave canticchiava le strofe di ‘O Sole Mio. E Napoli, a novembre 2017, ha omaggiato l’impresa di Gagarin con una statua nell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte.
Poi a Mosca, nel 2019, l’artista napoletano Jorit ha dipinto un gigantesco murales del cosmonauta sovietico.
Razumovsky, il primo ambasciatore russo in Italia
Sembra il cognome di un pianista o un artista di teatro russo. Ed invece Razumovsky fu uno dei diplomatici più influenti della sua epoca, l’uomo che ridisegnò tutti i confini dell’est Europa durante la restaurazione del 1816, portando la Russia a diventare una potenza politica interessata agli affari dell’Europa.
Nel frattempo, a Napoli, la dinastia borbonica era nota per non essere amante della politica estera. L’unica alleanza alla quale i vari Francesco e Ferdinando non rinunciarono mai fu proprio quella con il popolo russo, prima con l’imperatrice Caterina, con Pietro e poi con Nicola I.
L’alleanza fra Napoli e Russia nacque con Ferdinando IV di Borbone che, nel 1779, invitò i diplomatici russi a Napoli. Il neonato Regno, infatti, dipendeva ancora completamente dalla diplomazia spagnola e cercava di acquistare la propria dignità diplomatica. Razumovsky fu il primo dignitario inviato dalla corte di San Pietroburgo in Italia e non fu un caso che Napoli fu la città scelta per la sede dell’ambasciata. L’anno era il 1779 e, da quel momento, cominciarono scambi culturali sempre più stretti fra il Sud Italia ed il profondo nord.
Come se non bastasse, fu probabilmente l’amicizia fra Napoli e l’Impero del nord a segnare il destino del Regno delle Due Sicilie: nel 1853 Ferdinando II si rifiutò di combattere contro il proprio alleato durante la Guerra di Crimea portata avanti da inglesi e francesi. Secondo molti storici, questa decisione comportò la rottura di ogni rapporto diplomatico con le potenze europee e, inevitabilmente, l’accelerazione di tutti quegli intrecci che portarono all’Unità d’Italia.
I Cavalli di bronzo, Pietrarsa e l’amicizia fra Nicola I e Ferdinando II
Nicola I era un habitué delle strade di Napoli, si dice che fosse innamorato delle terre meridionali d’Italia e che l’amico Ferdinando II lo accoglieva ben volentieri anche per lunghissime vacanze.
Da buon ospite, lo zar di Russia portava doni per ogni visita: fra persone normali solitamente si porta un dolce quando si va a casa di qualcuno, Nicola I volle invece strafare e portò due giganteschi cavalli di bronzo, la copia esatta di due statue poste sul Ponte Anickov sulla Prospettiva Nevski.
Il trasporto delicatissimo dei materiali di bronzo, prodotti dall’esperto scultore, fu affidato ad un anonimo marinaio di Procida noto per la sua bravura nella navigazione: fu chiamato da Napoli a San Pietroburgo con il solo scopo di attraversare i mari del nord e portare le statue a Napoli via mare.
Nicola I non se ne andò dal Regno delle Due Sicilie senza portare con sé l’esempio di Pietrarsa, l’officina ferroviaria che nel XIX secolo era fra le più avanzate al mondo: inviò tecnici e scienziati russi per studiare i modelli di economia borbonici e replicare perfettamente l’industria napoletana nella città di Kronstadt.
Pare che l’ammirazione di Ferdinando II nei confronti del suo “collega” Nicola I fosse così profonda che il re di Napoli fece realizzare un quadro con il ritratto del re russo. Ancora oggi è esposto all’interno di Palazzo Reale.
Funiculì Funicolà alla corte di Nicola II
I russi hanno avuto sempre un debole per la musica classica. Non potevano quindi non amare i tantissimi tenori napoletani, che spesso andarono ad esibirsi nei paesi dell’antico Impero, come ad esempio accadeva spesso ad Odessa, città napoletana in Ucraina, o con la nascita di ‘o Sole mio, sempre sul Mar Nero.
Questa storia riguarda invece il tenore Francesco Marconi ed è datata 1890, la racconta Giovanni De Caro nel suo libro “Napoli Racconta”. Lo Zar era Nicola II ed invitò a corte l’artista napoletano per un’esibizione. Ad un certo punto il regnante chiese al napoletano di cantargli la canzone più famosa a Napoli.
Marconi non si fece pregare due volte e, davanti allo sguardo soddisfatto dello zar, cantò il ritornello di Funiculì Funicolà.
“Il ragazzo da Napoli”
Passano cent’anni dall’ultimo contatto ufficiale fra Napoli e Russia. Il mondo è nel gelo della Guerra Fredda e la Russia è un mondo che non vuole saperne più nulla dell’occidente. Ma Napoli rimane un ponte culturale che scavalca anche la Cortina di Ferro: nel 1958 nasce il cartone animato “Il ragazzo da Napoli”, completamente prodotto da autori sovietici ed “ispirato alle opere di Gianni Rodari“. Racconta la storia di un tale Ciccio che, dopo aver preso un mappamondo magico fra le strade di Napoli, intraprende un viaggio pieno di pericoli per riuscire a ripararlo e salvare il mondo.
-Federico Quagliuolo
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