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Formaggio e salame sono una delle delizie della vita. Ed esiste anche un formaggio che al suo interno ha un salame o una soppressata: si chiama caciocavallo dell’emigrante ed è una eccellenza del Cilento, precisamente di Vallo di Diano.
Dietro il gusto delizioso, però, racconta una storia di emigrazione e sofferenze di inizio ‘900, quando migliaia di meridionali disperati si riversavano sulle coste degli Stati Uniti alla ricerca di fortuna e non potevano nemmeno portare con sé i sapori di casa.

Caciocavallo dell'emigrante
Caciocavallo dell’emigrante. Fotografia di @_rossy_gram da MyVallo

Il caciocavallo dell’emigrante: furbizia e nostalgia di casa

Gli Stati Uniti, davanti al fiume di italiani, polacchi e irlandesi che invadevano la east coast, decisero di stabilire regole igieniche severe. Ogni popolo portava infatti con sé ricordi, abitudini, parassiti e cose da mangiare che, potenzialmente, potevano scatenare pericolosissime emergenze sanitarie. Per questa ragione, fra le importazioni vietate c’era anche la carne di maiale, il che portò all’immediata confisca di qualsiasi salame o altro prodotto similare.

La norma sanitaria non valeva per i prodotti caseari: per questa ragione, una volta diffusa la voce dei controlli delle autorità americane, gli emigranti decisero di risolvere il problema con una mossa d’astuzia: lavorare la pasta dei formaggi attorno ai salumi per nasconderli agli occhi delle guardie americane. Il formaggio avrebbe anche consentito una buona conservazione della carne al suo interno.

Poi, sulle nuove tavole americane, spesso ricavate in tuguri in cui erano ammassati decine di compaesani, avrebbero trovato da mangiare l’ultimo sapore di casa. Il caciocavallo dell’emigrante era infatti consumato a piccole dosi e con grande desiderio, fino all’inevitabile fine anche delle ultime provviste.

L’origine della ricetta è contesa fra Calabria e Campania: caciocavallo e salami sono infatti eccellenze territoriali in comune fra Irpinia, Cilento e Sila. È impossibile riuscire a risalire con certezza all’inventore del primo caciocavallo dell’emigrante, ma è certo che ogni regione meridionale sviluppò la sua ricetta. Nella provincia cosentina, infatti, al posto del salame si inseriva la soppressata.

Oggi è una ricetta ricordata solo dai nonni più anziani, quelli che ricordano l’ultimo flusso di migranti degli anni ’30 e che, magari, proprio in tenerissima età videro separarsi fratelli e cugini in luoghi lontani oltre l’immaginario di un bambino.

Naufragio mediterraneo
Un tempo i protagonisti dei naufragi nel mediterraneo erano i nostri conterranei

Italiani, migranti clandestini

Gli italiani emigranti in America non erano visti come piacevoli ospiti come accadde ad inizio XIX secolo, ma come veri e propri invasori. Assieme alle altre popolazioni povere erano ghettizzati nelle grandi città, trattati alla stregua di schiavi e costretti a fare i lavori più umili con paghe misere e senza tutele. In compenso, gli italiani portarono in America la criminalità organizzata, che finì addirittura in una guerra fra mafia e camorra nel 1907.

Un’eredità dolce di un periodo tragico

Oggi il caciocavallo dell’emigrante è un’eccellenza culinaria della provincia di Salerno, che fu fra le più flagellate dal fenomeno dell’emigrazione dei giovani verso il Nuovo Continente: un esempio è la storia di Joe Petrosino, l’eroe antimafia per eccellenza negli Stati Uniti. Ironicamente, negli anni ’50, il Cilento ha accolto proprio l’americano che studiò la cucina mediterranea e la rese famosa in tutto il mondo: Ancel Keys.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Culinary Backstreets

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