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C’era un tempo in cui il Rione Alto non esisteva e, al suo posto, c’era un piccolo insediamento agricolo chiamato “Villaggio dei Cangiani”. Ad essere ancora più specifici è che, in realtà, questo villaggio nemmeno ricadeva nel territorio di Napoli: era infatti la frazione estrema del comune di Chiaiano, creato da Gioacchino Murat.

Oggi esiste ancora e ci racconta la storia di quando l’intera collina era un immenso prato verde.

Alla ricerca del Villaggio dei Cangiani

Ad oggi, camminando fra le asfissianti strade cementate che si diramano fra Via Jannelli e Via D’Antona, non riusciremmo ad individuare nemmeno mezza casa dell’antico villaggio. Non ci sarebbe nemmeno da darci torto: non esiste quasi più nulla, nemmeno il nome del quartiere. “Rione Alto” o -ancor peggio- “Vomero Alto” è infatti una definizione generica nato durante gli anni ’60, per designare tutti quei terreni lottizzati e costruiti selvaggiamente durante gli anni della speculazione quando ormai il Rione Vomero era talmente saturo da non poter ospitare più nemmeno un mattone.

Solo Cappella Cangiani è l’ultimo ricordo delle antiche vestigia del Rione Alto nella toponomastica locale, fatta salva anche la buonanima di San Giacomo dei Capri. Anche se pure quest’ultima è stata demolita e poi ricostruita durante gli anni ’60.

Cappella Cangiani antica
Cappella Cangiani, quella originale. Questo era il vero nucleo del Rione Alto

Per scoprire le origini del Villaggio dei Cangiani, allora, dobbiamo insomma consultare solo i libri di storia e limitarci a guardare gli ultimi edifici estranei all’architettura del Rione, che si trovano dalle parti della rotonda all’inizio di Via Jannelli, prima di salire verso i Camaldoli.

Ci raccontano le fonti che la prima volta in cui compare questo nome è nel 1575, quando fu fondata la prima “Cappella Cangiani“. Il terreno dell’attuale Rione Alto apparteneva certamente ad un tale Anselmo Cangiano e la sua famiglia era proprietaria della terra già dal XV secolo. Questa piccola chiesa fu dedicata a Santa Maria di Costantinopoli e i dipinti dell’epoca sono sopravvissuti nella chiesa moderna, che fu abbattuta e ricostruita numerose volte nel corso dei secoli. Per il resto, la collina era praticamente immacolata. C’erano poche masserie all’altezza dell’attuale Via Quagliariello e il resto della zona era per lo più frequentata da pastori che apprezzavano particolarmente la qualità dei prati. Durante la Repubblica Napoletana del 1799 il Villaggio dei Cangiani fu identificato come “confine della città di Napoli“, togliendolo dal Comune di Chiaiano.

In epoca borbonica fu poi esteso il muro finanziere in questa zona e fu inserito un posto di guardia nel Villaggio dei Cangiani, dato che fu classificato come uno dei 19 ingressi in città. I posti di blocco esistono ancora: uno è l’edificio bianco che si trova all’inizio di Via Cangiani e che, fino a 150 anni fa, era l’unico edificio presente in tutta la zona.

Posto di guardia borbonico Villaggio dei Cangiani
Il palazzo bianco era il posto di guardia borbonico all’inizio del Villaggio dei Cangiani

Nasce la Zona Ospedaliera

Per cominciare a vedere il Rione Alto menzionato nei programmi cittadini, dobbiamo aspettare il 1927, quando il regime fascista mette in atto un ambizioso piano di ristrutturazione degli ospedali cittadini: la zona collinare di Napoli, grazie alla sua famosa aria salubre, sarebbe stata destinata a luogo ospedaliero e universitario. Furono così asfaltate le varie salite pastorali, come Salita Scudillo e Viale dello Scudillo (che diventò Viale Colli Aminei), mentre dall’altro lato furono create Via Pietro Castellino, partendo dall’antica Via Montedonzelli e Via Domenico Fontana, che invece andò a ricoprire un pezzo del tracciato dell’antichissima Strada Due Porte.

Prima di allora, l’unico modo di accedere al Villaggio dei Cangiani era la salitina di San Giacomo dei Capri, che in origine era molto più lunga e arrivava fino all’altezza dell’Ospedale Cardarelli.

Dobbiamo immaginare così questo luogo, immerso nella natura e immutato fino agli inizi del XX secolo, quando diventò la meta privilegiata della Pasquetta napoletana, con le giornate passate fra i prati della zona proprio come oggi si passerebbero in un agriturismo.

Saranno gli anni ’60 a spazzare via con un colpo di mano quasi tutto ciò che c’era prima del Rione Alto: i terreni furono infatti lottizzati e sfruttati fino all’ultimo centimetro edificabile, come testimonia addirittura l’ammasso di edifici costruito alle spalle di San Giacomo dei Capri, con un quartiere lasciato senza piazze e luoghi di aggregazione. Le strade realizzate durante i tempi del fascismo furono infatti rapidamente riempite di traverse, parchi privati ed edifici a cinque e più piani, che trasformarono l’antico pascolo nell’espansione dello scempio fatto Vomero. I vecchi contadini e pastori spesso diventarono portieri dei palazzi e le stalle e i pascoli furono abbandonati, con l’eccezione di Via Jannelli, che ha ancora un lato non edificato simile a come avremmo potuto vedere il Rione Alto cent’anni fa.

La moderna Cappella Cangiani

Il Villaggio dei Cangiani? Esiste ancora!

Il Rione Alto non è però solo storia recente: la piccola Via Cangiani, che oggi sembra quasi trasformata in un piccolo ghetto schiacciato fra le strade sempre trafficate di Via Mariano Semmola e Via Sergio Pansini, un tempo era tutto ciò che di umano poteva offrire questa zona della città. Ed oggi, con gli ultimi edifici dall’aspetto malconcio ancora in piedi, testimonia la storia antica di un intero quartiere che solo in apparenza non ha più memoria..

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Alfredo Buccaro, Giancarlo Alisio, Napoli Millenovecento, Electa, Napoli, 2003
Cappella Cangiani

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