Quando spuntano i suoi archi da lontano e piano piano ci si avvicina, si percepisce netta e forte quella sensazione di orgoglio di essere nati qui, in Italia, e soprattutto in Campania, dove lo si può vedere ogni giorno. L’Acquedotto Carolino è una delle opere d’ingegneria idraulica più belle del mondo, nato dell’ingegno di Luigi Vanvitelli e fu un vero e proprio miracolo della matematica: nei suoi 38 chilometri di lunghezza, doveva portare l’acqua dal Monte Taburno alla neonata Reggia di Caserta, passando da Airola al capoluogo della Terra di Lavoro superando colline, montagne e pendii difficilissimi da affrontare a livello ingegneristico.
Fu il simbolo della rinascita del Regno di Napoli, ma anche della sua caduta: proprio ai suoi piedi infatti si svolse una delle battaglie decisive della campagna di Garibaldi. Ed oggi, fra il monumento dei caduti garibaldini e i suoi archi monumentali, è qui per raccontarci meglio di ogni altra cosa una storia di splendori e guerre.
L’opera che doveva stupire il mondo
Tutto cominciò da Carlo di Borbone: il Re, che scelse i migliori intellettuali della sua epoca per formare la nuova corte napoletana, lasciò carta bianca a Luigi Vanvitelli, il piccolo genio figlio del pittore Gaspare. Era infatti necessaria la costruzione di una nuova reggia reale e, con il giardino monumentale e la sua fontana, si doveva anche fornire acqua corrente.
Di fatto quella di Carlo fu un’operazione di marketing: costruire opere immense, bellissime e da record infatti era un chiaro messaggio per dire al mondo che Napoli era tornata fra le grandi città d’Europa ed era capace di stupire tutti grazie alla munificenza del suo re.
Se infatti la Reggia di Caserta fu letteralmente un edificio da record, considerato ancora oggi il più grande palazzo reale del mondo, l’Acquedotto Carolino doveva stupire tutti con il suo ponte monumentale che domina l’intera Valle di Maddaloni.
Vanvitelli, ispirandosi ai modelli classici degli antichi romani, decise infatti di progettare un acquedotto ad archi che sarebbe partito dalle sorgenti del Fizzo ai piedi del monte Taburno, vicino ad Airola, e sarebbe arrivato fino alla Reggia. Un lavoro difficilissimo, data non solo la necessità di portare l’acqua in pendenza per 30 chilometri, ma anche per le asperità del terreno che resero molto difficili i lavori.
La maggior parte dell’acquedotto scorre sottoterra ed è intervallato da alcuni ponti a vista, come il Ponte Carlo III di Airola, il ponte di Durazzano e, ovviamente, quello della Valle di Maddaloni.
L’opera fu progettata nei minimi dettagli: anche nelle parti sotterranee erano presenti tunnel di manutenzione (ancora oggi percorribili).
La spesa per la sua realizzazione fu di 705.826 ducati, equivalenti a circa 10 milioni di euro attuali, non fu nemmeno altissima. Ci basterà pensare che per il palazzo di Caserta ne furono spesi 6.133.508, quasi 10 volte tanto. Va anche specificato che i costi dell’edilizia all’epoca erano nettamente più bassi di oggi: un’opera del genere oggi costerebbe centinaia di milioni di euro.
Il Ponte dell’Acquedotto Carolino, l’opera dei record
La parte del ponte monumentale dell’Acquedotto Carolino è quella che senz’altro ci lascia ancora oggi incantati. Tre ordini di arcate poggiate su 44 piloni, un condotto lungo 529 metri e alto 55, con un dislivello fra l’ingresso e l’uscita di pochissimi centimetri. Fu un’opera di ingegneria idraulica e di matematica senza pari per il passato. L’Università di Ingegneria non esisteva ancora, ma Napoli vantava già all’epoca eccellenti ingegneri e scienziati. Vanvitelli ingaggiò quindi un pool di matematici, fisici e architetti per riuscire a progettare il ponte con la precisione che oggi garantirebbe solo un computer.
Anche la manodopera impiegata era specializzata e fu formata in modo tale da rispettare in modo scientifico le disposizioni dei progettisti: un errore di costruzione, anche solo di pochi centimetri, sarebbe stato fatale per la riuscita dell’intera opera. E invece andò tutto alla perfezione. Anzi, il ponte dell’Acquedotto Carolino è riuscito a superare addirittura tre terremoti violentissimi: l’ultimo nel 1980, quello che rase al suolo mezza Irpinia e mezzo Sannio.
Non intitolatelo a Ferdinando!
Carlo di Borbone, in realtà, non godrà mai della Reggia di Caserta e dell’Acquedotto che porta il suo nome, dato che fu costretto a lasciare il suo amato regno nelle mani del terzo figlio, Ferdinando IV, che fu sostituito nella reggenza da Bernardo Tanucci. Era il 1760 quando fu costruito infatti il primo ponte e Carlo era già andato a vivere a Madrid. Vanvitelli propose di intitolare il primo ponte a Ferdinando e non a Carlo, per ingraziarsi il nuovo Re, ma incontrò l’opposizione strenua proprio del primo ministro, che rimaneva fedelissimo a Carlo: fu così che, dopo una lunga battaglia dialettica e politica, il Ponte di Durazzano rimase senza nome. Quello grande, invece, fu successivamente intitolato a Carlo di Borbone.
Un acquedotto per tutti
I benefici portati dall’Acquedotto Carolino furono estesi a tutta la provincia di Caserta e di Benevento. Non fu infatti un acquedotto “privato” ma, proprio come fecero i Romani con il più famoso Serino, furono aperte numerose condutture che portarono acqua corrente in punti strategici. Pensiamo ad esempio alle seterie di San Leucio, ma anche per un enorme e complesso sistema di mulini che inizialmente serviva come motore per la manifattura necessaria per costruire la Reggia e lo stesso Acquedotto.
Notiamo alla fine ai piedi dell’acquedotto un piccolo sacrario: ricorda la battaglia della Valle di Maddaloni, che è un episodio del più ampio conflitto del Volturno fra le truppe garibaldine e quelle napoletane. Fu inaugurato nel 1899 per volere di un’associazione di ex garibaldini ed è una posizione interessante, perché in pochi metri sono rappresentati il momento di maggior sfarzo della monarchia borbonica e il suo crollo.
Ancora oggi, proprio nella Valle di Maddaloni, possiamo riempirci d’orgoglio mentre ammiriamo una delle più grandi sfide d’ingegneria idraulica di tutti i tempi.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Cesare Cundari, Giovanni Maria Bagord, L’acquedotto carolino, Aracne Editore, Roma, 2012
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