Provolone del Monaco
Print Friendly, PDF & Email

Quante volte abbiamo sentito nominare il famoso provolone del monaco? Ebbene, anche in questo caso, la storia della città di Napoli si lega fortemente a quella della sua provincia e alle “cose buone” che è in grado di offrire.

La storia del provolone del monaco è legata a filo doppio ai contadini del Vomero. Un tempo, questa zona di Napoli era a forte vocazione agricola, ma a partire dal 1700 lo “spazio vitale” cominciò a diminuire, complice l’urbanizzazione della zona. In quegli anni, Napoli era la città più popolosa d’Italia e seconda in Europa, solo dopo Parigi. Fu per questo che molte famiglie furono costrette a trasferirsi, per cercare nuova terra da coltivare e spazi più ampi per poter allevare i propri animali.

Un primo piano del Provolone del Monaco – Foto di Umberto Astarita

I Monti Lattari

La zona prescelta fu quella dei Monti Lattari e fu proprio qui che “prese forma” questa pasta filata “innovativa”, prodotta con latte di vacche autoctone allevate nei verdi pascoli di un’area davvero incontaminata. I Monti Lattari, o meglio, la dorsale montuosa, alta quasi millecinquecento metri, che separa la piana del Sele da quella dell’agro-nocerino-sarnese e più in generale fa da diaframma tra il golfo di Napoli e quello di Salerno. Di certo, la prima attestazione scritta risale al secondo secolo d.C., quando Galeno elogiava la salubrità del latte delle alture di Stabia.

È probabile, pertanto, che in tempi antichi, il “Lattaro” facesse riferimento proprio a un ripiano ondulato tra le zone di Castellammare, Gragnano, Agerola e Pimonte e che solo in tempi più recenti abbia poi abbracciato una dorsale molto più ampia, da Cava de’ Tirreni fino a Punta della Campanella, facendo da entroterra alla Costa d’Amalfi e alla Penisola Sorrentina. È da qui che questo caciocavallo, dal sapore straordinario, partiva per trovare mercato proprio a Napoli, sia per la bontà del prodotto, sia per le possibilità economiche maggiori che c’erano in città.

Perchè è stato chiamato “del monaco”?

Ma perché è passato alla storia con l’appellativo di “monaco”? Ebbene, tutto è nato dall’indumento indossato dai pastori per i quali la via migliore per raggiungere Napoli era quella del mare; un viaggio lungo e faticoso che iniziava nel cuore della notte, quando i provoloni, trasportati a dorso dei muli fino alle spiagge, venivano caricati su imbarcazioni a remi.

Nelle notti fredde e gelide, i casari-commercianti, per ripararsi dall’umidità, erano soliti coprirsi il corpo, e anche il capo, con un grande mantello simile al saio indossato dai monaci. Una volta giunti a Napoli, con il passar del tempo, per i portuali giocherelloni napoletani non sbarcava più un casaro o un pastore, ma semplicemente “’o monaco”.

Un po’ di storia…

Storicamente, l’allevamento dei bovini in tutta la zona dei Monti Lattari risale già al 264 a.C., epoca in cui i Picentini, i primi abitanti di questi monti, furono deportati dalle Marche, in seguito alla sconfitta contro i Romani. Quello dei Picentini era un popolo dedito da tempo alla pastorizia e alla produzione casearia e fu proprio per le eccezionali produzioni e la qualità del latte dei loro armenti che i monti furono denominati «Lactaria Montes».

C’è da dire, però, per completezza delle fonti, che un’altra teoria del geomorfologo Aldo Cinque, farebbe risalire l’etimologia di Lattari al termine “latta”, che significa “superficie piatta e regolare”, facendo riferimento ai ripiani orizzontali e dolcemente inclinati che si ritrovano spesso lungo il corso dei Monti Lattari.

Così come pure è bene ribadire che nonostante le abilità casearie dei Picentini, non fu mai prodotto qualcosa di assimilabile al provolone del monaco. Il motivo è presto spiegato: fu determinante l’opera dei Borbone, che favorirono il miglioramento genetico delle razze allevate attraverso lavori di incrocio dagli ottimi risultati.

Va in particolare citato il lavoro certosino del militare di ventura Avitabile che, attraverso gli incroci di meticci di Bruna Alpina e Podolica con la razza Jersey, pervenne ad ottenere esemplari di una nuova razza: l’Agerolese. La relazione dettagliata risale al 1909, redatta dal dott. Mollo, ma fu presentata al Ministero e la vacca agerolese fu riconosciuta ufficialmente solo nel 1952.

Il marchio DOP

Nel 2010 il Provolone del Monaco è diventato un prodotto a marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) e può essere lavorato solo in un’area specifica e ottenuto solo dal latte di vacche ben determinate. La sua forma deve essere come quella di un melone leggermente allungato, senza la classica “testina” tipica di altri prodotti, con un peso minimo di 2,5 kg ed uno massimo di 8 kg. Vengono usati legacci di rafia per il sostegno a coppia che suddividono il provolone del monaco in un minimo di sei facce.

La sua pasta vira su un colore giallognolo e deve essere elastica e compatta, con piccolissime e tipiche occhiature a “occhio di pernice”, mentre il suo sapore parte dolce, ma conserva anche piacevoli tratti piccanti che si avvertiranno maggiormente con il passar del tempo, partendo da un minimo di sei mesi di stagionatura.

La zona di produzione è limitata ai seguenti comuni: Agerola, Casola di Napoli, Castellammare di Stabia, Gragnano, Lettere, Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Pimonte, Sant’Agnello, Sorrento, Santa Maria La Carità e Vico Equense, mentre il latte deve provenire per almeno il 20% da bovini di razza autoctona agerolese e per il restante 80% da bovini di razze diverse (principalmente frisona, bruna alpina, pezzata rossa, jersey e podolica) allevate esclusivamente nei comuni ricadenti nella DOP.

A conferma della volontà di tutelare ancor di più la qualità di tale prodotto è stato creato anche un “Consorzio di Tutela del Provolone del Monaco D.O.P.”, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali con un Decreto Ministeriale del 21 febbraio 2011 e con sede a Vico Equense.

Ad oggi, il provolone del monaco resta uno dei formaggi più saporiti della nostra regione e che da sempre divide i grandi chef per il suo utilizzo nei famosi spaghetti alla Nerano; un provolone la cui produzione si “intreccia” lungo secoli di storia e che ci regala davvero qualcosa di prezioso.

Bibliografia:

“Guida gastronomica di Vico Equense. Il provolone del monaco” di Francesco Aiello – 2007

“Parco dei Monti Lattari. Costiera sorrentina e amalfitana. Le guide ai sapori e piaceri” – 2021

Sitografia:

https://thinkmilkbesmart.eu/provolone-del-monaco-dop/

Per le foto si ringrazia Umberto Astarita

Diventa un sostenitore!

Storie di Napoli è il più grande ed autorevole sito web di promozione della regione Campania. È gestito in totale autonomia da giovani professionisti del territorio: contribuisci anche tu alla crescita del progetto. Per te, con un piccolo contributo, ci saranno numerosissimi vantaggi: tessera di Storie Campane, libri e magazine gratis e inviti ad eventi esclusivi!

  1. RAFFAELE DI LUCA Avatar

    ESSENDO NAPOLETANO È RESIDENTE A TORINO MI AVETE RIEMPITO IL CUORE DI GIOIA ESSERS AL CORRENTE DI QUESTE STORIE CAMPANE E POI COMMENTATE DA UN MIO GRANDE NIPOTE LEGGERÒ CON MOLTO ENTUSIASMO I COMMENTI STORICI DA QUESTO GRANDE UOMO

  2. Raffaele La Mura Avatar
    Raffaele La Mura

    É un onore un privilegio ed una gioia che una persona stupenda continua a tramandare la straordinaria storia del nostro paese…. Sei un grande Yuri

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *