Se in Polonia parli di “somme napoletane“, non ti stai presentando molto bene all’interlocutore. Si tratta infatti di un modo di dire usato quando una persona chiede in prestito una somma di denaro che sa già di non restituire.
Si riferisce a un episodio molto particolare: il prestito colossale che Bona Sforza, nipote dell’ex re di Napoli, fece a Fernando Alvarez de Toledo, viceré di Napoli per conto di Filippo II d’Asburgo. A seguito di una truffa non verrà mai più restituito.
Bona Sforza, una donna straordinaria
Bona Sforza era milanese d’origine, ma figlia di Isabella di Napoli: gli Aragona, infatti, prima di cedere il regno, strinsero strettissimi rapporti con i duchi di Milano, tant’è vero che il ducato di Bari diventò un’enclave milanese in terra napoletana, governata da esponenti della famiglia del Biscione.
Bona Sforza era una donna brillante, intelligente, colta e dal carisma immenso. Mantenne strettissimi rapporti anche con Napoli ed è infatti proprio a Castel Capuano che fu celebrato il suo matrimonio con Sigismondo, re di Polonia. Fu una festa che entrò nella leggenda.
Durante i suoi 38 anni sul trono di Cracovia, Bona fu temuta, rispettata e ascoltata, e non dimenticò mai il suo amore per l’Italia. Anzi, è molto interessante leggere le sue lettere: quando parla del suo paese d’origine, lei si dice “italiana” e parla di “Italia” come entità geografica unita. Può sembrare una sciocchezza, ma all’epoca i riferimenti alla penisola erano limitati ai piccoli regni che la componevano: un cittadino del Regno di Napoli si definiva “napolitano“.
Fu anche una grandissima promotrice di commerci fra Polonia e Italia, aumentando . Moltissimi mercanti napoletani e lombardi salirono nel paese nordeuropeo e, ancora oggi, la lingua polacca è contaminata da numerosissimi termini italiani, in special modo nelle verdure che, ancora oggi, sono chiamate “włoszczyzna” (letteralmente: “italiane”).
Fu definita la “prima donna economista al potere” perché, grazie alle sue politiche, riuscì ad arricchire la Polonia con fortune colossali. Ed è per questa ragione che attirò l’odio degli Asburgo e della Spagna, che riuscirono a boicottarla organizzando intrighi e manovre politiche per isolarla e costringerla a tornare in Italia.
Le somme napoletane e la grande truffa
Bona Sforza arrivò nel 1556 a Bari con 24 carri carichi di oro, pesanti complessivamente quasi due tonnellate. Praticamente si parla di circa 110 milioni di euro al cambio attuale dell’oro ma, se valutiamo il potere di acquisto dell’epoca, la cifra era simile al miliardo di euro moderno e suscitò non poche invidie fra i suoi stessi collaboratori.
Fu così che la donna fu contattata da Fernando Alvarez de Toledo, viceré di Napoli, per chiedere un prestito colossale: 430.000 ducati per finanziare la guerra della Spagna contro la Francia.
Bona Sforza era l’unica persona in Italia capace di prestare una cifra simile. Intervenne addirittura il re Filippo II di Spagna, che giocò sull’ambizione della donna: in cambio di questa somma, le fu ventilata l’opportunità di salire nel palazzo vicereale di Napoli. Chiaramente era un trucco per convincerla.
E invece accadde l’opposto: gli Asburgo cominciarono una campagna di diffamazione su Bona Sforza, che cominciò a diventare famosa per essere una pazza, dittatrice e avvelenatrice. L’ambiente di Bari era ormai invivibile per la donna che nemmeno poteva più uscire dal palazzo senza temere per la propria vita e fu così che decise di fuggire in Polonia.
Troppo tardi: Gian Lorenzo Pappacoda, uno dei suoi più fidati consiglieri, era stato corrotto dal viceré di Napoli e, durante la cena prima della partenza, le somministrò un calice di vino avvelenato. Poi, in preda al delirio dato dai veleni, la costrinse a firmare un falso testamento in cui cedeva il Principato di Bari alla corona di Spagna e rinunciava alla riscossione delle famose somme napoletane.
Bona sforza riuscì, raccogliendo tutte le sue energie, a scrivere un ultimo documento in cui lasciava il credito e il principato di Bari in eredità a suo figlio, Sigismondo di Polonia. Il problema è che il documento rimase carta morta.
Una brutta fine per la Polonia
L’epilogo della vicenda delle somme napoletane è veramente triste: Filippo II non restituì nemmeno un ducato, Bona Sforza morì il 19 novembre 1557 a Bari da sola, derubata da ogni suo avere e in totale povertà e suo figlio, Sigismondo Augusto re di Polonia, cercò disperatamente di recuperare i debiti con un disperato tentativo diplomatico. Ma combattere contro gli Asburgo era come far la guerra a un gigante.
La Polonia, comunque, non si arrese per i seguenti due secoli: continuarono, di monarchia in monarchia, i tentativi di farsi restituire almeno quei 430.000 ducati, una volta arresi sulle pretese territoriali in Italia. Ma la Spagna fece sempre muro. Poi ci pensò la Storia a risolvere il problema nel modo più crudele possibile: nel XVIII secolo, infatti, la Polonia fu smembrata.
Con i se e con i ma la storia non si è mai fatta. Certo, oggi sarebbe davvero strano sentire parlare polacco in Puglia!
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Ha fatto una fortuna più grande dei Rockefeller. Com’era Bona Sforza? – RMF 24
WŁOSZCZYZNA, VELENO E PESCE GATTO NAPOLETANO – o qualcosa sulla Regina Bonia – Polonia VIVA
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