Truffatore, traditore, doppiogiochista, trasformista, camorrista: Liborio Romano fu uno dei personaggi più controversi dell’Unità d’Italia, il napoletano che diede potere ai camorristi, una delle personalità meno conosciute e più interessanti di tutta la storia dell’Unità.
Un giurista brillante
Qualche anno prima dell’arrivo di Garibaldi Liborio Romano era un giovanissimo professore di Diritto Civile e Commerciale dell’Università di Napoli e proprio nell’ambiente universitario conobbe la Carboneria, una setta segreta nata a Napoli, e tutti i suoi personaggi, fra cui Giuseppe Pisanelli, il padre del primo Codice Civile d’Italia. Dopo i moti rivoluzionari del 1848, però, la vita di Romano si trasformò in una fuga dalle guardie di Ferdinando II, con una condanna a morte per aver cospirato contro lo Stato.
Poi, con una mossa a sorpresa del disperato Re Francesco, proprio il nemico dei Borbone, Don Liborio, fu nominato capo della polizia. Lui, l’oppositore, l’uomo che, da quarant’anni, fuggiva dalla polizia del Re, si trovò a comandarla. Liborio Romano fu infatti furbo: aveva capito che ormai Napoli stava per diventar provincia di un nuovo regno e, mentre fingeva di mantenersi fedele ai Borbone, sfruttò la sua posizione di potere per mandare segretamente lettere a Cavour in cui rivelava tutti i segreti di Stato borbonici e preparava il terreno per l’arrivo di Garibaldi nella capitale.
L’Unità, una questione di avvocati
Cavour propose quindi una idea: perché non sfruttare il potere di Liborio Romano per arruolare tutti i malavitosi e gli scontenti, organizzando una rivolta armata a Napoli? Il Conte voleva evitare in ogni modo che Garibaldi conquistasse la capitale del Regno delle Due Sicilie, nel terrore di perdere il controllo della situazione. E così, deluso dal tentativo fallito di golpe di Pisanelli, si rivolse all’altro giurista napoletano e in contemporanea parlava con Raffaele Conforti. Insomma, l’Unità fu una questione di avvocati.
Romano trovò la proposta interessante, ma provò a salvare la sua città da una battaglia che l’avrebbe distrutta.
Propose quindi al Re Francesco II di andar via a Gaeta prima dell’arrivo di Garibaldi, in modo da evitare una battaglia a Napoli, che Cavour gli aveva segretamente anticipato. Poi, finalmente libero e rimasto solo in città, convocò nel suo ministero un personaggio oscuro: Tore ‘e Criscienzo, il temutissimo boss della camorra. E qui nacque il problema.
L’accordo con la Camorra
Don Liborio, sfruttando il suo potere di capo della polizia, aveva infatti inviato una lettera in cui chiedeva la scarcerazione di Salvatore De Crescenzo, per proporgli un affare: in cambio della libertà: creare un esercito di camorristi che avrebbe tenuto tranquillo il popolo per garantire un ingresso tranquillo a Garibaldi, senza un conflitto armato che avrebbe danneggiato Napoli.
Così i camorristi, i “malamente“, gli stessi personaggi che, fino a poco prima, erano considerati nemici della legge, ma che segretamente più volte si trovarono a fare da polizia di quartiere, si ritrovarono improvvisamente con una coccarda rossa sulla giacca, delle armi clandestine ed il nome di “Guardia Cittadina“: il potere di questo sporco esercito non era scritto in alcuna legge o regolamento e si tradusse in violenze, pestaggi e repressione di ogni attività che non piaceva al sanguinario Don Totore De Crescenzo.
Fu quindi realizzata l’ultima parte del perfetto piano del Conte di Cavour: dopo aver convinto un altro napoletano, Raffaele Conforti, a promuovere una votazione popolare per legittimare l’annessione del Sud Italia, proprio i camorristi accompagnarono i votanti a fare “la scelta giusta” durante il Plebiscito: Napoli diventò l’unica capitale d’Europa ad essere declassata a provincia.
Come eliminare Liborio Romano?
Era il 1861 e, nell’ufficio del fremente primo ministro piemontese, si presentò un avvocato napoletano, Raffaele Conforti, che disse la frase: “Consegno l’Italia al suo re“.
Adesso bisognava solo eliminare tutti i personaggi scomodi che potevano macchiare l’eroica storia dell’Unità. E fra questi individui “nocivi”, c’era lo stesso Garibaldi, che ormai godeva di una popolarità pressoché illimitata, ma era davvero scomodo per il governo piemontese.
L‘avvocato Conforti era una pedina eliminabile facilmente: Cavour scrisse in una lettera conservata a Roma: “nominatelo magistrato e che non si parli mai più di lui“; Liborio Romano era invece pericoloso: amico dei camorristi e legato a Tore ‘e Criscienzo. Fu lui l’uomo ad accogliere Garibaldi in città: era popolarissimo nelle terre del Sud appena conquistate. Il nuovo governo Italiano non poteva mostrarsi amico di un simile personaggio, ma non poteva nemmeno eliminarlo: come liberarsene?
Idea: portarlo in parlamento. La fama di “amico dei criminali” non avrebbe dato nessuna credibilità all’attività politica di Romano: anche stavolta Cavour ci aveva visto giusto.
Il parlamento della giovane Italia era infatti una esplosione di entusiasmo, fiducia e sogni: Liborio Romano aveva ormai settant’anni e, giunto a Torino, si avviò in una euforica folla di giacche ed accenti di ogni regione d’Italia fatta di anziani intellettuali che videro realizzate le loro antiche battaglie misti a giovanissimi nomi del futuro, che sarebbero diventati i ministri della Grande Guerra. Torino sembrava in quel momento il centro del mondo e Vittorio Emanuele era il padre del futuro.
Cominciata la riunione del parlamento, l’ entusiasmo di tanti politici si tramutò in preoccupazione.
Fatale illusione, inescusabile e tanto più grave errore
– Liborio Romano, Memorie Politiche
La repressione del brigantaggio
Solo due anni dopo la prima riunione del parlamento, infatti, lo stesso Romano assistette all’approvazione della Legge Pica “per l’epurazione dei camorristi e dei briganti nelle province infette“: a nulla valsero le sue proteste, perché era evidente che quella legge sarebbe stata usata per eliminare anche personaggi scomodi. Non era questa l’Unità progettata da Romano.
Fu istituito un tribunale militare e lo stesso Salvatore De Crescenzo fu portato in carcere, in cui fu accolto dai criminali come un re: tutti i delinquenti si assoggettarono da soli al potere del camorrista e, in pochi giorni, Don Totore diventò il padrone del penitenziario, con la polizia carceraria che, impotente, si limitò ad osservare le attività di uno dei criminali più famosi della Storia.
E Liborio Romano?
Dopo aver capito di essere stato l’ignara pedina di un perverso gioco politico, furioso, pubblicò un documento in cui indicò nomi e cognomi di tutti i personaggi che si erano arricchiti illecitamente durante il periodo della dittatura di Napoli. Poi si ritirò deluso nella casa di famiglia a Patù, per lasciarsi consolare dal mare incantevole della provincia di Lecce.
E morì solo, pieno di dubbi e con l’animo tormentato, nel 1867.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Liborio Romano, Memorie Politiche, Giuffrè, Torino, 1992
Francesco Barbagallo, Storia della Camorra, Laterza, Bari, 2010
John Dickie, Onorate Società, Laterza, Bari, 2012
Isaia Sales, La Camorra, Le Camorre, Napoli, 1998
Marc Monnier, La Camorra, Napoli, 1862
https://www.comune.patu.gov.it/vivere-il-comune/territorio/personaggi-illustri/item/liborio-romano
http://www.donliborioromano.it/biografia.asp
P.S.
Una curiosità: cosa c’entra Liborio Romano con il tre di bastoni nelle carte napoletane?
Lo abbiamo raccontato in questa storia: http://storienapoli.it/carte-napoletane-magia-occulto-segreto-cartomanzia/
P.P.S.
La camorra nell’esercizio delle funzioni pubbliche di ordine e sicurezza non fu affatto una novità: ne fece anche largo uso Ferdinando II, utilizzandola come una vera e propria “polizia segreta”.
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