Sembra strano immaginare che, al centro di Piazza Carlo III, passavano i binari, proprio di fronte al gigantesco Albergo dei Poveri. Era il capolinea dell’antichissima Ferrovia Alifana, che collegava Napoli a Piedimonte d’Alife, ai piedi dei Monti del Matese. Un tragitto abbandonato da cinquant’anni che, in futuro, sarà recuperato per costruire una nuova “metropolitana della Campania.”
Oggi sopravvive la memoria di questo treno in un palazzo, l’attuale Hotel Ferdinando II, che in origine era la stazione della ferrovia inaugurata nel 1913 e Rimasta a Carlo III fino al 1955. Si nota ancora in alto la scritta “Ferrovia Napoli-Piedimonte d’Alife”.
Un’idea vecchia
L’idea di realizzare una stazione che collegasse le zone più lontane della Campania con Napoli non è nuova. Era anche nei progetti d’espansione delle ferrovie di Ferdinando II di Borbone, ma l’idea non prese mai forma.
Se ne riparlò dopo il Risanamento, precisamente nel 1888, quando i comuni dell’entroterra di Napoli, da Caiazzo a Marano, firmarono una petizione per richiedere la costruzione di una ferrovia capace di collegare tutti i casali della provincia, arrivando fino alla Terra di Lavoro. La burocrazia però ha tempi lentissimi: ci fu prima un tentativo di allungare l’ottima rete dei tram napoletani fino ad Aversa, ma il progetto rimase incompiuto.
Poi, nel 1905, furono affidati i lavori ad una ditta di Lione, che creò la società “Ferrovie del Mezzogiorno d’Italia” con sede a Parigi e inaugurò la nuova strada ferrata nel 1913, in presenza di Vittorio Emanuele III che inaugurò il primo viaggio in partenza da Piazza Carlo III.
Alifana Alta e Bassa
La ferrovia fu una vera e propria rivoluzione per l’economia dei paesi dell’entroterra napoletano e casertano: improvvisamente si ritrovarono collegati al centro della città i residenti di Marano, Villaricca, Aversa, S.Maria Capua Vetere, Capua e tantissime altre.
Fu presto aggiunta una biforcazione, che portava da un lato a Capua e dall’altro a Piedimonte. Era addirittura prevista una fermata a Secondigliano, dove in futuro, con ben 50 anni di ritardo dall’ultima corsa dell’Alifana, arriverà la stazione della Metropolitana Linea 1.
La linea era divisa in “Alifana bassa“, che arrivava a Santa Maria Capua Vetere con una locomotiva elettrica, e “Alifana alta“, che arrivava a Piedimonte con una locomotiva a vapore che, come una sorta di “passaggio del testimone”, agganciava il vagone passeggeri.
I treni seguivano la fantasia dell’epoca: erano bianchi e rossi, con una piccola motrice e un vagone passeggeri finemente decorato in legno e metallo, in cui era possibile fumare e sedersi con comodità. Il tragitto era di circa 80km e, in circa 1 ora e mezza, si poteva arrivare in città con una velocità che prima era inimmaginabile raggiungere. Le corse erano 4 al giorno, ma aumentarono nel corso degli anni fino a diventare una all’ora.
All’epoca l’automobile era un bene di lusso per pochi e le strade ed autostrade erano ben poca cosa. Viaggiare da un paese all’altro era lungo e difficile. Unica eccezione erano le immediate vicinanze di Napoli, in cui era possibile arrivare solo grazie alla sviluppatissima rete tramviaria di Napoli, una delle più sviluppate d’Italia, che fu poi smantellata per far posto alle moderne metropolitane.
Dopo la partenza da Piazza Carlo III, si passava per Via Don Bosco e poi per un ponticello che si trova ancora oggi a Via Filippo Maria Briganti e che sembra minuscolo, se confrontato con i giganteschi piloni della tangenziale che lo sovrastano.
L’Alifana sparisce
La II Guerra Mondiale fu la pietra tombale della linea Alifana. L’intero tragitto fu quasi completamente distrutto da bombe, carri armati e boicottaggi tedeschi. Fu conclusa la ricostruzione solo nel 1962, ma la parte bassa era già stata riattivata da diversi anni.
A Santa Maria Capua Vetere era comunque necessario cambiare treno per concludere il viaggio, in quanto i binari dei due tronconi avevano uno scartamento (la distanza fra un binario e l’altro) diverso fra di loro. Nonostante la ricostruzione, rimase quindi la differenza fra i due tracciati.
Nel 1955, a causa del boom economico e della diffusione delle automobili, Carlo III perse poi la sua stazione capolinea, che fu trasferita più avanti. Il passaggio dei treni in un punto centrale di Napoli era un dramma per la circolazione delle auto e degli scooter, che proprio all’epoca stavano cominciando a diventare un oggetto a disposizione di tutte le famiglie. La stazione fu poi arretrata sempre di più, passando prima a Via Don Bosco e poi addirittura a Secondigliano. Infine, nel 1976, la linea fu chiusa per una temporanea manutenzione, nella speranza di ammodernarla. Non fu più fatto nulla. E, fino al 2009, non si sentì più parlare dell’Alifana.
La “ferrovia di cartone”
Il treno, che nel 1913 fu accolto come un’evoluzione importantissima della mobilità in Campania, subì però pochissimi aggiornamenti e diventò presto vecchissimo. Molti ricordano come le carrozze fossero più simili a quelle di un tram che a quelle di un treno, la linea era realizzata con un binario unico e si viaggiava secondo coincidenze fra treni. Anche gli interni delle carrozze erano scomodi e con scarsa manutenzione: alcuni ingressi non avevano nemmeno le porte.
Negli anni ’70, mentre le province di Napoli crescevano in modo sregolato fra abusi edilizi e cemento incontrollato, l’Alifana rimaneva come unico mezzo per collegare rapidamente le zone dell’entroterra campano al centro di Napoli, ma i treni erano ormai in pessime condizioni. Si era guadagnata il soprannome di “ferrovia di cartone” per tutti i disagi creati.
Dopo 33 anni risorge
33 sono gli anni di Cristo, ma anche l’età in cui è risorta l’Alifana. Era il 2009 quando fu completato il restauro della prima tratta, quella che collegava Aversa con Piscinola e, di conseguenza, con la Linea 1. Il tracciato originale della ferrovia è irrecuperabile, in quanto sono presenti tratti completamente distrutti da case, palazzi e strade che sono stati costruiti nei 50 anni successivi alla sua chiusura della parte bassa. Buona parte dei tragitti nuovi sono infatti stati ricavati nel sottosuolo, come una vera e propria metropolitana.
Il nome della nuova Alifana bassa è “linea arcobaleno”, per i colori delle sue stazioni. Il completamento della tratta, con nuove stazioni e la riapertura del vecchio capolinea di Secondigliano (che sarà collegato con la Linea 1) era previsto per il 2020 ma, fra contenziosi legali e ritardi, la data di consegna è slittata più volte.
Piazza Carlo III, invece, non tornerà mai il capolinea di una ferrovia, ma la particolare forma dei suoi giardini tradisce ancora oggi un passato che collegava direttamente il cuore di Napoli con il lontano Matese.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Complimenti a “Ferrovie abbandonate” per la ricostruzione
http://www.napolinelmondo.org/public/wp/lalifan/
http://www.lestradeferrate.it/mono1b.htm
http://www.amicialifana.it/index.htm
Grazie a Salvatore Fioretto per i suggerimenti e le correzioni
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