La festa dell’”albero della cuccagna” era il momento in cui i cittadini napoletani raggiungevano il loro punto morale più basso davanti ai ricchi che ridevano del popolo disperato, una crudele storia del 1600 che aveva luogo nell’antico Largo di Palazzo, oggi nota come Piazza del Plebiscito. L’epoca storica era quella del viceregno spagnolo, con un popolo devastato dalla povertà, dalla fame e dal malgoverno dei viceré.
In occasione di festeggiamenti pubblici come la nascita dell’erede al trono di Spagna o durante il Carnevale, veniva ordinata e finanziata dai nobili la costruzione di magnifiche e gigantesche macchine e scenografie, da piazzare al centro del Plebiscito. Era una tradizione nota anche in altre corti italiane, come ad esempio a Bologna, a Roma e in Toscana, ma a Napoli diventò una vera e propria arte del massacro in scenografie straordinarie.
L’albero della Cuccagna
All’interno di torri alte anche venti metri venivano piazzati beni di ogni genere, dai gioielli al bestiame ancora vivo, poi, all’esterno, venivano esposte anatre e maiali crocifissi, che mugolavano per ore in preda al dolore e colavano sangue dai loro corpi dilaniati. Tutto a disposizione di un popolo di straccioni che, alla vista di un simile spettacolo di denari e sangue, si esaltava con una ferocia diabolica, provando in ogni modo a parteciparvi, tanto che le strutture dovevano essere sorvegliate 24 ore su 24 da guardie armate prima dell’evento.
Il termine “cuccagna” deriva dal latino medievale “cocania” ed è un termine che usavano scherzosamente gli autori francesi per indicare un posto immaginario in cui anche i cialtroni vivono come i re, circondati da cibo e ogni sorta di bontà. Era un’attrazione organizzata durante il Carnevale napoletano del viceregno e inizialmente consisteva in un banchetto offerto dai nobili ai napoletani meno abbienti, che lottavano per ottenere un pasto “altolocato” per un giorno.
Poi la vicenda cominciò ad assumere forme sempre più grottesche, con il diffondersi in tutte le corti italiane del “gioco della Cuccagna“, ovvero di percorsi ad ostacoli, più o meno difficili, in cui il popolo si sfidava per ottenere ricompense in termini di cibo o denaro al termine della sfida. E fu in una rapida escalation che si giunse alle maxi-strutture del XVIII secolo protagoniste di questo racconto. Inizialmente erano organizzate in carri che sfilavano lungo la città, poi si concentrarono fra Piazza Mercato e Largo di Castello (attuale Piazza Municipio). E infine furono vincolate al Palazzo Reale.
Violenza e sangue
Il giorno dello spettacolo era annunciato addirittura con decreti del viceré: così, dopo aver dato il via ai festeggiamenti con un colpo di cannone, il Plebiscito diventava un colosseo dei tempi moderni: il viceré ed i nobili, affacciati ai loro balconi, sogghignavano nel vedere il popolo miserabile che si accoltellava, lottava, smembrava vivi gli animali che, impazziti, fuggivano e scalciavano nella speranza di sopravvivere a diecimila e più pezzenti affamati e violenti.
Spesso, poi, a causa del peso eccessivo che erano costretti a reggere, i mausolei della cuccagna crollavano su sé stessi, uccidendo decine di persone sotto le travi di legno marcio.
“Purtroppo è passato di moda un divertimento carnevalesco che era tanto adatto al popolo napoletano: intendo il monte di Cuccagna, detto Coccagna. Questo, come un altro Vesuvio, lanciava maccheroni, salsiccie, focacce e altri cibi che scivolavano giù per la sua pendice, incontro alle bocche aperte del popolo”
Karl August Mayer, un professore austriaco che scrisse “vita popolare napoletana” nel 1816
Ma non finiva qui: spesso, fra la folla che, nella ressa, cedeva ad ogni forma di bassezza morale, si nascondevano uomini armati, pronti a vendicare nel sangue questioni personali, più che a partecipare al gioco della Cuccagna.
Ecco così che il gioco, già perverso di sua natura, diventava il segreto teatro di regolamenti di conti e violenze private, una guerra di poveri per le risate dei ricchi.
E, dal balcone del Palazzo Reale, sadicamente i ricchi assistevano ad una infernale sinfonia di urla, sangue, coltelli e singhiozzi. Lo racconta inorridito anche il Marchese De Sade nella cronaca del suo viaggio a Napoli.
La fine della Cuccagna sotto i Borbone
Questi truculenti spettacoli continuarono fino a quando Francesco I di Borbone non ne ordinò la fine, disgustato per tradizioni così violente e primitive. Già sotto Ferdinando IV le feste della Cuccagna cominciarono ad essere celebrate sempre più di rado, in quanto la regina, Maria Carolina, si disse disgustata nel vedere uno spettacolo tanto cruento, che invece storicamente allietava nobili e regnanti.
La Chiesa, che condannava i giochi del popolo, chiamava invece “Cuccagna” i banchetti per i meno abbienti preparati in occasione delle feste.
Il popolo non accolse bene la notizia della fine dei giochi: in tutta Napoli ci furono numerose manifestazioni di protesta da parte di pezzenti che desideravano continuare quel gioco orribile.
Duecento anni dopo l’ultima cuccagna, il silenzioso Plebiscito finge di aver dimenticato il suo passato violento, con un popolo che prima si azzanna, poi si ribella agli stessi potenti che prima lo affamavano.
Quando si guarda piazza del Plebiscito non bisogna rimanere solo abbagliati dalla sua magnificenza: come ogni grande monumento, infatti, nasconde lacrime, disperazione e sangue di un popolo che, in questi rituali antichissimi, paradossalmente festeggiava.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Domenico Scafoglio, Il Gioco della Cuccagna, Avagliano Editore, 2001
Atlas Obscura (inglese)
https://www.treccani.it/vocabolario/cuccagna/
Franco Mancini, Feste ed apparati civili e religiosi in Napoli dal Viceregno alla Capitale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1997
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