Davanti all’ingresso del Porto di Napoli c’è l’Obelisco di Portosalvo. Si tratta di un monumento che, in effetti, sembra lì quasi per caso: si trova accanto ad una strada perfettamente lastricata, ma mai battuta dalle auto perché è tagliata a destra e a sinistra. Alle spalle custodisce la Chiesa di Portosalvo, da cui prende il nome, e tutt’attorno è accompagnato ogni giorno dallo smog delle auto e dai senzatetto che ci dormono accanto.
Questo monumento, in realtà, non ha nulla a che fare con la chiesa vicino. Fu eretto da Ferdinando IV di Borbone per celebrare la caduta della Repubblica Napoletana del 1799. Ogni simbolo, fra quelli superstiti, racconta infatti un elemento religioso collegato all’Esercito della Santa Fede che cacciò i rivoluzionari da Napoli.
Una questione di fede e di fucili
L’anno era il 1799 e la brevissima storia della Repubblica Napoletana stava per finire nel sangue: il cardinale Fabrizio Ruffo riuscì a convincere Ferdinando IV di Borbone a finanziare una spedizione militare per riconquistare Napoli. I fondi furono pochi, ma l’uomo di Chiesa si dimostrò un generale spietato e micidiale come Garibaldi: proprio come sarebbe accaduto sessant’anni dopo, il cardinale radunò un esercito di volontari che risalì per l’intera Italia e, battaglia dopo battaglia, riconquistò l’intero regno. Era il famoso “Esercito della Santa Fede“, che diventò il massimo esempio di lealtà alla monarchia borbonica.
Anche in questo caso fu decisivo l’aiuto degli inglesi, con l’ammiraglio Horatio Nelson che aiutò da mare l’ingresso in città dei sanfedisti. Non mancarono nemmeno le truppe austriache e russe.
Storia e significato dell’obelisco di Portosalvo
L’Obelisco di Portosalvo fu eretto in segno di devozione e di avvertimento: Ferdinando IV entrò in città e volle costruire un monumento simbolico proprio nella zona del porto che, storicamente, fu sede di ogni rivolta popolare. Ogni facciata dell’obelisco rappresenta infatti un santo diverso che ha accompagnato l’esercito sanfedista nella sua spedizione.
La Madonna è immancabile. I napoletani hanno una devozione intima e profondissima verso la “mamma” per eccellenza, probabilmente figlia dell’antichissimo culto di Iside che affonda le radici nelle tradizioni egizie portate nella antichissima Neapolis.
Sant’Antonio di Padova, oltre ad essere uno dei tantissimi compatroni di Napoli, fu anche l’ispiratore della missione sanfedista. Una delle immagini di propaganda a favore dell’esercito del Cardinale Ruffo fu infatti una litografia che mostrava Sant’Antonio che guidava le truppe di volontari in guerra. Il cardinale scelse con attenzione anche il giorno d’ingresso delle sue truppe in città: il 13 giugno. Guardacaso, il giorno di Sant’Antonio.
San Gennaro. Il vescovo beneventano è il santo per eccellenza dei napoletani. Inizialmente ci fu però un brutto screzio con il povero Gennaro: fu accusato di tradimento dai sanfedisti perché aveva fatto il miracolo della liquefazione del sangue anche per gli atei francesi. In quell’occasione fu “squalificato” dalla carica di santo protettore e sostituito con Sant’Antonio.
L’Obelisco di Portosalvo fu un atto di riconciliazione: per la prima volta dalla “rottura”, San Gennaro fece di nuovo apparizione su un monumento sacro.
San Francesco di Paola è il santo protettore dei calabresi ed entrò in città a pieno titolo, dato che il cardinale Ruffo era di San Lucido (Cosenza) e la buona maggioranza dell’esercito della Santa Fede proveniva dalla regione più a sud del Regno di Napoli.
Oggi, purtroppo, non c’è più.
I passanti più distratti spesso immaginano che l’obelisco appartenga alla triste chiesetta omonima, ma non è proprio così. Nonostante questa lontananza storica fra i due monumenti, il presente è condiviso da entrambi, senza dimenticare la fontana della maruzza: una serie di infiniti atti di vandalismo.
-Federico Quagliuolo
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